Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47913 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 47913 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AL VARO CARMINE N. IL 17/11/1972
avverso l’ordinanza n. 52/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
20/09/2011
sentita la lazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
lette/se ite le conclusioni del PG Dott. g- t- ou
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Data Udienza: 24/10/2013

Ritenuto in fatto

ALVARO Carmine, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione
avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Milano,con la quale è stata rigettata la sua
istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 10.3.2008 al 14.4.2010
nell’ambito di un procedimento in cui gli erano stati contestati, in concorso con altri, i
reati di rapina, furto e porto di taglierino, dai quali era stato assolto ex art. 530 comma 2

Il giudice della riparazione, dopo aver richiamato la parte della sentenza di secondo
grado, laddove era stato conferma to il gudizio di attendibilità in ordine alle chiamate in
(

E 4to )

correità, provenienti da un coimputatovfia affermato che tale chiamata in correità ed i
riscontri alla stessa, oltre a fornire adeguata ragione della emissione della misura
cautelare, era idonea anche al mantenimento della stessa, se raccordate con quanto
dichiarato dall’Alvaro in sede di interrogatorio di garanzia, con i suoi precedenti penali
specifici e con la pacifica conoscenza tra tutti i soggetti rinviati a giudizio per le rapine.
La condotta gravemente colposa dell’Alvaro veniva individuata, in particolare, nell’avere
fornito lo stesso, in sede di interrogatorio di garanzia, una spiegazione in totale
dissonanza dei suoi rapporti con il chiamante in correità, sostenendo di averlo incontrato
casualmente, mentre era in compagnia del cugino, e di avere rifiutato entrambi le
proposte del primo di commettere le rapine. Tale contiguità, è stata altresì confermata
anche dallo scambio dei numeri di telefono cellulare- ammesso dallo stesso Alvaro- da
intercettazioni telefoniche e dalle assidue frequentazioni da parte dell’istante, insieme agli
altri imputati, di una casa, di tale Daniela Caraffa. Da questi elementi, raccordati agli
specifici precedenti dell’Alvaro, il giudice della riparazione traeva il convincimento della
sussistenza di una condotta gravemente negligente ed imprudente idonea a generare
l’errore dell’autorità procedente sulla falsa apparenza della sua configurazione come
illecito penale.

Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione dell’art.
314 c.p.p., censurando l’interpretazione data dei fatti da parte del giudice della
riparazione. Si evidenzia che nessuna negligenza e imprudenza era ravvisabile nella
condotta dell’istante, il quale sin dall’interrogatorio di garanzia aveva dichiarato la propria
innocenza ed estraneità ai fatti, fornendo ampia spiegazione circa il suo rapporto
occasionale- in occasione della trattativa dell’acquisto di un’autovettura da parte del
cugino- con il chiamante in correità, confermata dalle risultanze processuali ( in
particolare dalle dichiarazioni rese dal cugino in sede di interrogatorio). L’occasionalità di
tale conoscenza sarebbe, altresì, dimostrata anche dall’evidente non corrispondenza tra le

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c.p.p.con la formula “per non aver commesso il fatto”.

sue sembianze e quelle descritte dall’Egitto ( il quale lo aveva descritto erroneamente
come una persona dai capelli rosso carota).
Si sottolinea altresì che il giudice della riparazione aveva omesso di considerare che
proprio la mancanza di riscontri esterni alle dichiarazioni dell’Egitto avevano determinato
l’assoluzione dell’imputato.
Si censura, infine, l’ordinanza impugnata anche nella parte in cui avrebbe ritenuto che la
personalità dell’Alvaro, gravato da precedenti penali, costituirebbe di per sé indice di

E’ stata ritualmente depositata memoria di costituzione nell’interesse del Ministero
dell’Economia e Finanze con la quale è stata rilevata la infondatezza del ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

Come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa riparazione, è connotato
da totale autonomia ed impegna piani di indagine diversi e che possono portare a
conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel processo, ma rigetto della richiesta
riparatoria) sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto
ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti.
In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella
loro valenza indiziaria o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a
determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato,
l’adozione della misura, traendo in inganno il giudice. Invero il giudice della riparazione,
basandosi su fatti concreti, deve valutare non se la condotta integri estremi di reato, ma
solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore
dell’autorità procedente,la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale,

colpa grave.

dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto ( v., da ultimo Sezione IV,
10 giugno 2010, n. 34662, La Rosa, rv.248077).

Gli elementi di valutazione, quindi, non devono essere diversi, mentre è differente
l’oggetto di verifica: non più la responsabilità dell’imputato (ragion per cui una sua
eventuale assoluzione può non avere alcun rilievo) ma se la sua condotta – seppur in
presenza dell’errore altrui – sia stato presupposto della falsa apparenza di integrazione
dell’illecito penale, e sia legata in rapporto di causa-effetto con la detenzione.

L’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti dell’ Alvaro è motivata, oltre che
in base alla chiamata in correità (da parte dell’Egitto, che aveva organizzato le rapine)

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Iv

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che non gli è ovviamente attribuibile a titolo di colpa, anche attraverso il rilievo dei
riscontri costituiti dalle esame delle intercettazioni, da cui risulta l’assidua frequentazione
dell’Alvaro con i coimputati, e delle dichiarazioni rese da tale Daniela Caraffa, che aveva
confermato le assidue frequentazioni della sua casa da parte dell’istante, unitamente
agli altri coimputati.
In questo quadro- che non risulta smentito neanche dalla sentenza di assoluzione- la
condotta dell’Alvaro, il quale in sede di interrogatorio di garanzia aveva rilasciato

casualmente l’Egitto, è stata correttamente e logicamente valutata dal giudice della
riparazione rilevante ai fini della configurabilità della colpa grave, avendo contribuito
all’adozione ed al mantenimento della misura cautelare nei suoi confronti.
A tale proposito deve osservarsi che indubbiamente la facoltà da parte dell’indagato di
rispondere alle domande in sede di interrogatorio senza dire la verità costituisce esercizio
di un proprio diritto, riconosciutogli dalla legge, e, perciò, essa è circostanza di norma del
tutto neutra al fine della sua riconducibilità all’area del dolo o della colpa grave ostativa al
riconoscimento del diritto alla riparazione; così come, di regola, anche la reticenza ed il
silenzio, che costituiscono pure esse modalità e contenuti dell’esercizio del diritto di difesa
dell’indagato.
Ma è altrettanto indubbio che tali condotte, pur costituendo esercizio del diritto di difesa,
possono rilevare sotto il profilo del dolo o della colpa grave nel caso in cui l’indagato sia in
grado di fornire specifiche circostanze, non note all’organo inquirente, idonee a
prospettare una logica spiegazione al fine di escludere e caducare il valore indiziante degli
elementi acquisiti in sede investigativa che determinarono l’emissione del provvedimento
cautelare, e le taccia; in tal caso, infatti, pur nel rispetto del diritto di difesa e delle
opzioni attuative dello stesso, vi è un onere di rappresentazione ed allegazione da parte
dell’indagato, al fine di porre l’organo inquirente nelle condizioni di valutare quelle
prospettazioni ed allegazioni, di comporle nell’unitario quadro investigativo e indiziario, e
di rilevare, eventualmente, l’errore in cui si è incorsi nell’instaurazione dello stato
detentivo. In una tale prospettiva, poiché a quel momento solo l’indagato è in grado di
rappresentare utili e giustificativi elementi di valutazione, la circostanza che invece
falsamente ne prospetti altri (o che serbi il silenzio sui medesimi) contribuisce,
concausalmente, al mantenimento del suo stato detentivo ( v. in tal senso, tra le ultime,
Sezione IV, 17 novembre 2011, n. 7296, Berdicchia, rv. 251928).
In questa prospettiva si è mossa l’ordinanza impugnata.
Corretta appare, di conseguenza, la valutazione della Corte di appello che ha ritenuto le
falsi dichiarazioni rilasciate dall’Alvaro sinergiche al determinarsi e protrarsi dello stato di
detenzione, e, sulla base anche di tale considerazione, ha escluso la sussistenza del
diritto alla riparazione.

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dichiarazioni mendaci affermando di aver incontrato una volta sola, del tutto

Non può, pertanto, fondatamente essere posto in dubbio da parte ricorrente che la Corte
di merito abbia correttamente assolto l’obbligo di motivazione, verificando in concreto che
il provvedimento con il quale fu disposta la misura coercitiva fu adottato anche per effetto
di quei comportamenti evidenziati nella ordinanza impugnata e giudicati gravemente
colposi, che, però, sono stati ritenuti non decisivi ai fini del giudizio di responsabilità.

Né l’ordinanza è censurabile laddove a sostegno delle considerazioni svolte sulla condotta

che insieme agli elementi sopra indicati, possono aver convinto l’autorità procedente del
suo coinvolgimento nei delitti contestati, ponendosi gli stessi come indici segnaletici di
elevata pericolosità sociale, e come tali, introducendo un ulteriore fattore di valutazione
favorevole alla configurabilità della colpa grave dell’istante nelle determinazione dello
stato di detenzione, avendo rafforzato nell’autorità procedente il convincimento della
configurabilità degli illeciti penali.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente, liquidate
come in dispositivo.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla
rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in complessivi euro
750,00.
Così deciso nella camera di consiglio del 24 ottobre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

gravemente colposa dell’Alvaro indica anche i precedenti penali specifici del ricorrente,

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