Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47908 del 22/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 47908 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CINO EDUARDO N. IL 07/04/1977
avverso l’ordinanza n. 68/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del
21/10/2011
sentita la elazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
lette/se te le conclusioni del PG Dott. V dico 0 1 141.0.~ o
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Uditi difensor Avv.;

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< Data Udienza: 22/10/2013 Ritenuto in fatto CINO Edoardo ricorre avverso l'ordinanza con cui la Corte di appello di Palermo ha rigettato l'istanza di riparazione per ingiusta detenzione, conseguente al suo proscioglimento dal reato di associazione per delinquere, per il quale era stata assolto in secondo grado ex atit. 530, comma 2, c.p.p. con la formula per non avere commesso il fatto. la colpa grave della istante nel comportamento dallo stesso tenuto prima della emissione della misura nei suoi confronti. La Corte territoriale ha fondato la condotta ostativa sul coinvolgimento del Cino nella sparizione di una motocicletta, su richiesta del reggente di fatto della famiglia mafiosa di Racalmuto, al fine di screditare la collaborazione di un appartenente all'associazione mafiosa. Da tale episodio, la Corte territoriale riteneva accertatili contatti con la consorteria mafiosa, idonei a fondare il giudizio di colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione. Con il ricorso si censura la illegittimità ed illogicità della decisione, sostenendo che il giudice della riparazione aveva omesso di considerare che il Tribunale di Palermo in sede di riesame aveva annullato l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP dello stesso tribunale in data 27.7.2007, escludendo l' esistenza delle condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p. Si sostiene, altresì, che il giudice della riparazione aveva travisato il contenuto della sentenza assolutoria laddove aveva collegato l'episodio del nascondimento della moto all'asserita consapevolezza dell'istante di avvantaggiare la consorteria mafiosa, in contrasto con quanto affermato dalla Corte di assise di appello. Anche i rapporti tra il Cino ed il coimputato Di Gati, indicato nell'ordinanza impugnata quale reggente del mandamento mafioso di Racalmuto, erano stati illogicamente individuati quali elemento caratterizzante la colpa grave dell'istante, senza tener conto che il Gati, all'epoca Con l'ordinanza impugnata la Corte di merito ha escluso il diritto alla riparazione ravvisando dei fatti, era soggetto incensurato e non gravato da alcuna misura coercitiva o di prevenzione. E' stata depositata dall'Avvocatura dello Stato memoria di costituzione a favore del Ministero dell'Economia e delle Finanze con la quale è stato richiesto il rigetto del ricorso. E' stata, altresì, depositata memoria difensiva nell'interesse del Cino a sostegno dei motivi contenuti nel ricorso. 2 'li Considerato in diritto Il ricorso è infondato. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la fattispecie in esame non rientra tra le E' noto che l' ipotesi di ingiustizia formale riguarda ii i casi in cui, a prescindere dall'esito del processo (quindi anche in caso di condanna), venga accertato con decisione irrevocabile che la custodia cautelare è stata disposta o mantenuta illegittimamente ( in questo caso, pertanto, l'ingiustizia appartiene alla situazione cautelare, rilevano cioè i vizi della misura tipizzati dal legislatore ed accertati con provvedimento irrevocabile), cioè, in generale, nell'assenza delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 (gravi indizi di colpevolezza) e 280 c.p.p. (titolo del reato, ovvero nell'ipotesi del reato punito con pena edittale inferiore al limite quantitativo indicato nell'art. 280 c.p.p.). Sulla nozione di "decisione irrevocabile" è da registrare una evoluzione della giurisprudenza di legittimità. Le Sezioni Unite di questa Corte ( v. sentenza 12 ottobre 1993, n.20, Durante, rv. 195353355), chiamate a risolvere il contrasto circa la persistenza o meno dell'interesse ad impugnare il provvedimento di custodia cautelare da parte dell'indagato ritornato in libertà, avevano riconosciuto essere vero che in alcune ipotesi, pur marginali, l'illegittimità della misura cautelare, ai sensi dell'art. 314,comma secondo, cod.proc.pen, può risultare in modo implicito, e tuttavia evidente, dalla stessa sentenza definitiva di merito, mentre per tutti gli altri casi, e specialmente per quello concernente i gravi indizi di colpevolezza, la decisione irrevocabile è quella, non impugnata, resa in sede di riesame o appello avverso il provvedimento restrittivo della libertà o quella emessa da questa Corte a seguito di ricorso. casi di ingiustizia formale della detenzione. Tale ipotesi marginali sono state individuate dalla Suprema Corte" nei casi in cui l'imputato sia stato condannato per un reato diverso da quello contestato ed inoltre punito con pena edittale non superiore nel massimo a tre anni di reclusione, per cui la misura cautelare risulti ex post inflitta in violazione del citato art. 280 c.p.p., ovvero nel caso in cui l'imputato sia stato viceversa assolto perché il reato era estinto sin dal momento di applicazione o conferma della stessa misura". Successivamente, un'altra sentenza delle Sezioni unite (8 luglio 1994, Buffa, rv 198211214) affermò che l'interesse dell'indagato a coltivare l'istanza di riesame non viene meno a seguito di revoca della misura cautelare, intervenuta nel corso del procedimento di riesame, in quanto la decisione irrevocabile, necessaria ex art. 314 c.p.p.. per la riparazione dell'ingiusta detenzione, può essere individuata soltanto nell'ordinanza non 3 v impugnata emessa dal Tribunale ai sensi degli artt. 309 e 310 c.p.p., ovvero nella pronunzia adottata dalla Corte di Cassazione a seguito di ricorso contro tale ordinanza o in sede di ricorso "per saltum" avverso il provvedimento cautelare. Più recentemente, e ciò viene detto solo per completezza espositiva, vi è stata una ulteriore evoluzione di tale orientamento (v. da ultimo Sez. IV, 8 maggio 2009, Spezi, rv. 243640, ed i riferimenti in essa contenuti ) in forza del quale può affermarsi, in conclusione, che l'accertamento delle condizioni di applicabilità della misura cautelare proscioglimento nel merito, purchè il contenuto della decisione sia incompatibile con l'esistenza di quella condizioni. Nel caso in esame l'illegittimità della misura cautelare ai sensi dell'art. 314, comma 2, c.p.p. non emerge né dalle vicende in sede cautelare né dalle sentenza di merito. L'ordinanza del Tribunale del riesame, con la quale è stata accolta la richiesta di riesame del Cino, su ricorso del PM, è stata annullata dalla S.C. con sentenza in data 4.4.2008 , che ha riconosciuto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza . L'annullamento è stato disposto senza rinvio perché nel frattempo il Tribunale di Palermo, all'esito di giudizio abbreviato, aveva pronunciato sentenza di condanna a carico del Cino per il delitto di cui all'art. 416 bis c.p. L'ingiustizia formale della detenzione non è desumibile neanche dalla decisione della Corte di appello, che ha assolto il Cino ex art. 530, comma 2, c.p.p. con la formula per non aver commesso il fatto. Come rilevato nella ordinanza impugnata, la sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte di Assise di appello si fonda essenzialmente sulla incertezza probatoria sull'elemento soggettivo ed il suo contenuto non è certamente incompatibile con l' esistenza delle condizioni delle condizioni di applicabilità della misura cautelare previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p. ( peraltro, in questo caso, non poste in discussione per effetto della sentenza sopra indicata pronunciata dalla S.C., che ha annullato il provvedimento del Tribunale del riesame) . Nel caso di specie la Corte di merito ha motivato in modo congruo e logico in ordine alla condotta del ricorrente ed alla sua idoneità ad ingenerare nell'autorità, che ha disposto la privazione della sua libertà, il convincimento del suo contributo partecipativo al reato di associazione per delinquere attraverso la valorizzazione dell'episodio della sparizione di una motocicletta, su richiesta del reggente di fatto della famiglia mafiosa di Racalmuto, coimputato, al fine di screditare la collaborazione di un appartenente all'associazione mafiosa e della frequentazione dell'istante con il medesimo coimputato. 4 v previste dagli artt. 273 e 280 c.p.p. può intervenire anche a seguito della sentenza di Sul punto va ricordato che nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si sia sostanziata nel porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere percepita come contigua a quella criminale ( v. da ultimo Sez. IV, 25 novembre 2010, n. 45418, Carere, rv. 249237 ed i riferimenti ivi contenuti). In tal senso la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che le frequentazioni ambigue ossia quelle che si prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi essere con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti possono dare luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione (cfr. a proposito dell'idoneità delle frequentazioni ambigue ad escludere l'indennizzo, Sez. III, 30 novembre 2007, Pandullo, rv. 238782, Sez. IV, 25 giugno del 1998, Nemala, rv. 212114 e da ultimo, Sez. IV, 11 luglio 2012, Lombardi, non massimata). La motivazione sul punto fornita è congrua e resiste alla lettura di segno diverso operata nel ricorso, diretta ad avallare l' apodittica tesi di un travisamento del fatto da parte del giudice della riparazione della sentenza di assoluzione e a valorizzare l'assenza di consapevolezza da parte dell'istante della caratura mafiosa delle frequentazioni, in contrasto con gli elementi logicamente valorizzati dalla Corte territoriale idonei a dimostrare il coinvolgimento diretto del prevenuto in un contesto ambientale oggettivamente e soggettivamente ambiguo, con evidente incidenza causale nell'adozione del provvedimento restrittivo. In conclusione, l'ordinanza impugnata sfugge da censure in questa sede, perché fa corretta applicazione dei principi di diritto operanti nella subiecta materia ed è assistita da congrua motivazione. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente che liquida in complessivi euro 750,00. Così deciso nella camera di consiglio del 22 ottobre 2013 Il Consigliere estensore Il Presidente di complicità, quando non sono giustificate da rapporti di parentela, e sono poste in

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