Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47901 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 47901 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

Data Udienza: 24/10/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
BRESCIA
nei confronti di:
GHIDONI ELISABETTA N. IL 26/10/1974
avverso la sentenza n. 2428/2012 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
20/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
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che ha concluso per
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Ritenuto in fatto

GHIDONI Elisabetta ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, in riforma della sentenza
di primo grado, su appello del P.G.. l’ ha riconosciuta colpevole del reato di cui all’art. 186,
comma 7, del codice della strada per essersi rifiutata di sottoporsi all’accertamento dello stato
di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze alcoliche ( fatto del
19.6.2010).

degli elementi sintomatici, descritti dall’agente verbalizzante, e la condotta della giovane che
“lungi dall’essere paralizzata da un parossismo ansioso, come ipotizzato dal primo giudice,
sulla scorta del giudizio ( necessariamente astratto ) reso dalla psicoterapeuta della giovane,
aveva richiesto più volte agli operanti di non procedere ( evidentemente conscia del proprio
stato di ebbrezza acuta e delle conseguenze che ne sarebbero derivate), giungendo ad
inginocchiarsi più volte per terra”, implorando gli agenti di lasciarla andare.

Con il primo motivo la ricorrente deduce l’omessa citazione dell’imputata nel giudizio di primo
grado ed eccepisce in questa sede la nullità della sentenza pronunciata dal primo giudice e la
conseguente nullità della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo lamenta la manifesta illogicità e la carenza della motivazione laddove il
giudice di appello, nel ribaltare il giudizio di responsabilità dell’imputata, aveva omesso l’analisi
della deposizione della psicoterapeuta, escludendo la sussistenza della condizione di
parossismo ansioso, esaltando invece l’atteggiamento dei poliziotti che, nonostante le
invocazione della prevenuta, non avrebbero desistito dal loro proposito.

Considerato in diritto

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il giudice individuava le prove della responsabilità della imputata, attraverso la valorizzazione

In via preliminare va esaminata l’ eccezione di nullità della sentenza di primo grado sollevata
dalla ricorrente.

L’eccezione proposta è manifestamente infondata.

La Corte territoriale ha correttamente rilevato, ciò risultando anche dall’esame della
documentazione allegata al ricorso, che dalle attestazioni dell’ufficiale giudiziario, recatosi il
4.8.2011 n via Giacomo Matteotti 10 (luogo ove l’imputata aveva dichiarato domicilio in data
19/6/2010) per procedere alla notifica del decreto di citazione a giudizio per l’udienza del
15.12. 2011, la Ghidoni era irreperibile e ciò aveva legittimatO il ricorso alla procedura di
notifica ex art. 161, comma 4, c.p.p.nélle mani del difensore di fiducia.

2

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••

Come già chiarito da questa Corte, infatti, la disposizione di cui all’art. 161 c.p.p., comma 4,
c.p.p. – che consente la notifica degli atti mediante consegna al difensore nel caso in cui risulti
l’impossibilità della notificazione all’imputato presso il domicilio dichiarato- richiede, quale
condizione sufficiente l’accertamento da parte dell’ufficiale giudiziario dell’avvenuto
trasferimento di domicilio o di altra causa che renda definitivamente impossibili le notificazioni
in quel luogo ( v. in tal senso da ultimo, Sez.III, 24 gennaio 2013, n. 10227, Imbastari, rv
254422).

giudicante, nel respingere l’eccezione di nullità della notifica per omessa citazione
dell’imputata, abbia inteso riferirsi alla pregressa udienza del 14 luglio 2011.

Manifestamente infondato è anche il secondo motivo.
Nel giudizio di legittimità, vale la regola secondo la quale il giudice d’appello può pervenire ad
una ricostruzione del fatto difforme da quella effettuata dal giudice di primo grado, ma in tal
caso, per non incorrere nel vizio di motivazione, ha l’onere di tenere conto delle valutazioni in
proposito svolte da quest’ultimo e di indicare le ragioni per le quali intende discostarsene.
Ciò non comporta che, ove sussista diversità di valutazioni tra i giudici di merito, oggetto
dell’esame in sede di legittimità siano entrambe le decisioni, dovendo la verifica investire
soltanto la sentenza del giudice d’appello, la cui opinione si sostituisce a quella del primo
giudice.
La valutazione degli elementi probatori rimane, pertanto, sempre affidata esclusivamente
all’apprezzamento del giudice d’appello ( v. in tal senso Sez. VI, 7 aprile 2011, n. 26810, p.c.
in proc. Vella).

Nel caso in esame, il giudicante non si è sottratto a tali principi e la coerenza logica della
decisione resiste alle censure sollevate dalla ricorrente.
I giudici di appello hanno fondato il giudizio di responsabilità dell’imputata facendo riferimento
agli elementi oggettivi emergenti dagli atti: la descrizione dei sintomi presentati dalla Ghidoni
che deponevano per un evidente stato di ebbrezza e la positività del pre-test effettuato; la
condotta tenuta dalla stessa con gli operanti, dinanzi ai quali giungeva ad inginocchiarsi più
volte a terra, pregandoli di lascarla andare; il rifiuto così di fatto opposto dalla donna agli
agenti di sottoporsi all’esame dell’etilometro.
Attraverso la valutazione di tali elementi concreti la Corte di merito è pervenuta alla logica
conclusione della insussistenza dello stato di “parossismo ansioso”, ipotizzato dal primo giudice
sulla scorta del giudizio necessariamente astratto della psicoterapeuta della giovane.
Il giudice di appello ha, pertanto, sostituito all’analisi compiuta dal primo giudice una sua
analisi degli elementi probatori ed ha svolto considerazioni del tutto logiche e coerenti per
motivare il dissenso rispetto alla sentenza di primo grado.

3

Non trova, peraltro, riscontro in atti quanto affermato dal difensore sulla circostanza che il

Rispetto a tale percorso motivazionale le doglianze di parte ricorrente si risolvono in una
censura di merito, inaccoglibile per quanto sopra detto.

Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria a favore della
cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero,

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 24 ottobre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

P.Q.M.

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