Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47896 del 22/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 47896 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CONSOLINI OSCAR N. IL 21/07/1970
YZEIRI MUHAREM N. IL 16/09/1976
avverso la sentenza n. 3600/2011 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
12/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Alstre.”47
che ha concluso per I •

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Data Udienza: 22/10/2013

Ritenuto in fatto

CONSOLINI Oscar e YZEIRI Muharem ricorrono avverso la sentenza di cui in epigrafe che,
riformando per entrambi in melius

quella di primo grado, quanto al trattamento

sanzionatorio, per il resto confermava il giudizio di responsabilità per i reati a ciascuno
ascritti.

essersi rifiutato di fornire alla polizia giudiziaria il nome della persona da cui aveva
acquistato sostanza stupefacente, contestava l’affermazione di responsabilità assumendo
che il fatto del favoreggiamento sarebbe stato commesso in epoca anteriore a quello per
cui vi era stata contestazione e condanna, onde le dichiarazioni incriminate sarebbero
state inutilizzabili perché assunte in violazione dell’articolo 63 c.p.p. Doveva essere
dichiarato non punibile ex articolo 384 c.p., giacchè, proprio in ragione della pretesa
riconducibilità delle dichiarazioni ad epoca anteriore, le dichiarazioni oggetto di
contestazione sarebbero state necessitate proprio al fine di evitare di dover ammettere le
precedenti dichiarazioni reticenti.

YZEIRI Muharem, ritenuto responsabile del reato di offerta in vendita di quantità non
modica di sostanza stupefacente, articola quattro motivi di censura, riproponendo, per
vero, doglianze già disattese in appello.
Con il primo motivo, contesta la interpretazioni delle intercettazioni ambientali da cui si
sarebbe desunta la responsabilità per la condotta incriminata.
Con il secondo, si censura la affermata sussistenza del reato di offerta in assenza di
effettiva disponibilità della sostanza.
Con il terzo, sostiene che, comunque la condotta per il reato di offerta illecita avrebbe
determinato un vizio di correlazione rispetto alla accusa di concorso nella
commercializzazione della droga contestatagli unitamente a quelli poi ritenuti essere i

CONSOLINI Oscar, ritenuto responsabile del reato di favoreggiamento personale, per

destinatari dell’offerta in vendita.
Con il quarto, infine, la doglianza si incentra sul diniego dell’attenuante del fatto di lieve
entità, di cui al comma 5 dell’articolo 73 del dpr n. 309 del 1990, che doveva riconoscersi
per il favor rei in ragione del fatto che la trattativa illecita non si era poi concretizzata.

Considerato in diritto

I ricorsi sono manifestamente infondati a fronte di una decisione adeguatamente
motivata, priva di censure in diritto e, non sindacabile, per l’effetto, quanto
all’apprezzamento dei fatti sub iudice

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Ciò vale in primo luogo quanto alla posizione del Consolini.

Correttamente la Corte di merito ha fatto applicazione del principio secondo cui
l’acquirente di modiche quantità di sostanza stupefacente, nei cui confronti non siano
emersi elementi indizianti di uso non personale, può essere sentito nel corso delle
indagini preliminari come persona informata dei fatti, essendo irrilevante, a tal fine, che
egli possa essere soggetto a sanzione amministrativa per l’uso personale: ne consegue la

Morea, nonché Sezione VI, 17 giugno 2010- 1° ottobre 2010 n. 35401. B.).

In fatto, la Corte territoriale si è soffermata a chiarire che l’episodio incriminato era
quello riportato in contestazione 10 marzo 2009, non potendosi attribuire rilevanza alle
precedenti dichiarazioni, come sostenuto dalla difesa: tale ricostruzione – in linea del
resto con l’imputazione – non è suscettibile di una diversa ricostruzione in questa sede,
non potendo tra l’altro questa Corte provvedere ad apprezzare il rilievo di tali precedenti
dichiarazioni [oggetto di produzione da parte della difesa, con allegazione del sintetico
verbale di sit rese dal Consolini alla p.g.] rispetto ai fatti di interesse.

Neppure può trovare accoglimento il ricorso del coimputato.

Quanto al primo motivo, basterebbe ricordare che, in materia di intercettazioni
telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce
una questione di fatto, rimessa dunque alla valutazione del giudice di merito, che si
sottrae al sindacato di legittimità se motivata in conformità ai criteri della logica e delle
massime di esperienza (Sezione VI, 25 gennaio 2013- 17 maggio 2013 n. 21192, Barla
ed altri).

In realtà, la Corte di merito, ha accompagnato il giudizio di responsabilità con la disamina
di elementi ulteriori quali l’apprezzamento diretto da parte degli operanti di un incontro
ritenuto non arbitrariamente coerente con il contenuto delle intercettazioni e il riscontro
dato dalla localizzazione a mezzo GPS dell’autovettura dei soggetti considerati quali
acquirenti: è una ricostruzione qui non rinnovabile.

Manifestamente infondata la doglianza sul proprium del reato di offerta, ove si consideri
che, secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, il proprium dell’offerta illecita
non è dato dall’avere l’agente la disponibilità immediata della droga, essendo il reato
integrato anche dalla semplice “dichiarazione” dell’agente, purchè realizzabile e non
priva di serietà, alla luce delle circostanze e modalità del fatto, di essere in grado di
procurarsi la droga da mettere a disposizione dell’altro soggetto (cfr., tra le tante,
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utilizzabilità delle dichiarazioni rese in tale veste (cfr. Sezioni unite, 22 febbraio 2007,

Sezione VI, 16 marzo 2004, Benevento ed altri; Sezione VI, 19 ottobre 2004, Bassi ed
altri, laddove, in particolare, si è affermato che ai fini della punibilità della condotta di
“offerta” è necessario e sufficiente che l’offerente abbia l’effettiva, anche se non attuale,
disponibilità della droga, purchè, pertanto, egli sia in grado, concretamente, di
procurarsela; mentre, per contro, non è necessario, per il perfezionamento dell’ipotesi
criminosa, il raggiungimento di un accordo con il cessionario della droga, né, tantomeno,

Qui, la Corte di merito, in modo non arbitrario e non censurabile in fatto, attraverso la
disamina degli elementi raccolti, ha desunto la “serietà” della trattativa.

Non si è realizzata, poi, alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e
sentenza.

Vale ricordare che, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per
aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi
essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista
dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui
scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad
accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero
confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia
di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato,
attraverso l’ iter

del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di

difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sezione II, 7 maggio 2013- 17 maggio
2013 n. 21170, Maturi).

Per l’effetto, l’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da
qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la
modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato: la nozione
strutturale di “fatto” contenuta nelle disposizioni in questione, va quindi coniugata con
quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di
difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di
un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del
giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso
come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sezione
IV, 27 novembre 2012- 21 dicembre 2012 n. 49828, Ravelli).

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la traditi° concreta della sostanza).

Sul punto la Corte di merito ha ampiamente corrisposto, evidenziando tra l’altro come
nello stesso capo di imputazione fosse stata descritta puntualmente, in fatto, la condotta
poi ravvisata a carico del prevenuto. Questi, quindi, ha avuto ampia possibilità di
difendersi.
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Corre ttctè il diniego dell’attenuante del fatto di lieve entità.

lieve entità (articolo 73, comma 5, del dpr 9 ottobre 1990 n. 309) può essere
riconosciuta solo in ipotesi di “minima offensività penale” della condotta, deducibile sia
dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla norma (mezzi,
modalità e circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno
soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri.
Ciò in quanto la finalità dell’attenuante si ricollega al criterio di ragionevolezza derivante
dall’articolo 3 della Costituzione, che impone – tanto al legislatore, quanto all’interpretela proporzione tra la quantità e la qualità della pena e l’offensività del fatto ( v.Sezione
IV, 13 maggio 2010- 10 agosto 2010 n. 31639, Lucresi).

Nel caso in esame, il giudice di appello ha valorizzato negativamente, in modo non
arbitrario, il quantitativo della sostanza oggetto dell’offerta, e l’apprezzamento
complessivo del traffico cui tale stupefacente era destinato, traendone la conseguenza
della insussistenza dell’attenuante.

La decisione è corretta e congruamente motivata, reggendo al vaglio di questa Corte, non
potendosi certo condividere l’assunto difensivo secondo cui la attenuante avrebbe dovuto
essere concessa in ragione del fatto che, trattandosi di offerta, la trattativa non si era
perfezionata. E’ argomento non condivisibile che dovrebbe portare inaccettabilmente a
ritenere sempre l’attenuante in caso di offerta illecita proprio in ragione del fatto che tale
condotta si caratterizza per l’assenza della traditio della droga.

Alla inammissibilità dei ricorsi, riconducibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost., sent. 7-13
giugno 2000, n. 186), consegue la condanna dei ricorrenti medesimi al pagamento delle
spese processuali e ciascuno a quello di una somma, che congruamente si determina in
mille euro, in favore della cassa delle ammende.

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In tema di sostanze stupefacenti, come è noto, la circostanza attenuante del fatto di

P. Q. M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno a quello della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in data 22 ottobre 2013

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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