Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47876 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 47876 Anno 2013
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOLINARO SALVATORE, nato il 02/01/1973
avverso l ‘ordinanza n. 297/2012 CORTE APPELLO di CATANZARO, del
02/11/2012;

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
lette le conclusioni del Procuratore Generale dott. Carmine Stabile,
che ha chiesto rigettarsi il ricorso con le conseguenti statuizioni.

Data Udienza: 14/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 2 novembre 2012, la Corte d’appello di Catanzaro,
decidendo quale giudice dell’esecuzione, ha revocato il beneficio dell’indulto
concesso a Molinaro Salvatore, ai sensi della legge n. 241 del 2006, con ordinanza
del 22 febbraio 2012 del Tribunale di Lamezia Terme, in relazione alla condanna
di anni tre di reclusione ed euro millecento di multa, con riguardo alla sentenza
del 14 dicembre 2010 della stessa Corte, irrevocabile l’8 novembre 2011.

3, della indicata legge per avere il condannato commesso il reato indicato al capo
35) della imputazione, considerato più grave tra quelli giudicati e unificati nel
vincolo della continuazione con la sentenza del 22 novembre 2011 della Corte
d’appello di Catania (definitiva il 27 giugno 2012), il 30 novembre 2008, e quindi
nel termine di cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, riportando
per tale reato la condanna alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione ed
euro milleottocento di multa, rilevabile dalla motivazione della sentenza nel
capitolo dedicato al trattamento sanzionatorio, mentre non rilevava la circostanza,
dedotta dalla difesa, che la definitività della sentenza, posta dal Procuratore della
Repubblica di Catanzaro a fondamento della richiesta di revoca, fosse intervenuta
dopo il decorso del quinquennio di riferimento.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato
personalmente, che ne ha chiesto l’annullamento sulla base di unico motivo, con il
quale ha denunciato violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art.
606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, il Giudice dell’esecuzione è incorso nei dedotti vizi per
non avere spiegato le ragioni e indicato il riferimento normativo della disposta
revoca dell’indulto, che supponeva il passaggio in giudicato della sentenza
postuma di condanna, posta alla base della richiesta e della relativa decisione,
entro il termine di cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge n. 241
del 2006.
Detto termine, previsto dall’art. 1, comma 3, della medesima legge, non
poteva, infatti, riguardare il solo compimento di un delitto non colposo nel termine
di legge, ma doveva riferirsi – in coerenza con la ratio della disciplina normativa
dell’indulto ispirata al principio di celerità dello svolgimento del processo penale,
teso a tutelare la libertà personale dell’imputato e la certezza della pena e
applicabile anche in sede di esecuzione della pena – alla condanna definitiva da
due anni in su di detenzione, non dovendo una definizione non celere dei processi
andare a discapito dell’imputato/condannato e lasciare sospesa l’esecuzione della
pena in relazione a un evento futuro e incerto sia nell’an che nel quando.
2

La Corte riteneva che sussistessero i presupposti previsti dall’art. 1, comma

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria
scritta ed ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso per la condivisibilità e
correttezza delle ragioni della decisione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Questa Corte ha più volte affermato che l’indulto concesso con la legge n.
241 del 2006 è revocabile – ai sensi dell’art. 1, comma 3, della stessa legge e
della generale previsione dell’art. 174, comma 3, cod. pen. in relazione all’art.
151, comma 4, cod. pen. – a condizione che sia commesso, nel quinquennio
successivo alla data di entrata in vigore della legge, e quindi tra il primo agosto
2006 e il primo agosto 2011, un delitto non colposo per il quale chi ne ha
usufruito riporti condanna in concreto a pena detentiva non inferiore a due anni,
senza richiedersi anche che entro il medesimo termine sia divenuta irrevocabile la
relativa sentenza di condanna (tra le altre, Sez. 1, n. 7095 del 15/11/2011,
dep. 23/02/2012, Nolè, Rv. 252411; Sez. 1, n. 45770 del 25/11/2008, dep.
11/12/2008, Ammar, non massimata sul punto).
2.1. Tale principio, già puntualizzato con riguardo alla revoca dell’indulto in
base al d.P.R. n. 394 del 1990 (tra le altre, Sez. 1, n. 1848 del 09/12/2008,
dep. 19/01/2009, P.G. in proc. Romano, Rv. 242725; Sez. 1, n. 23293 del
04/04/2001, dep. 07/06/2001, Quattrocchi, Rv. 219482; Sez. 1, n. 259 del
23/01/1995, dep. 31/03/1995,

Barreca,

Rv.

201091) e ad analoghe norme

contenute nei precedenti provvedimenti di indulto (tra le altre, Sez. 2, n. 2356 del
22/12/1972, dep. 30/06/1973, Cardilli, Rv. 124500), è stato fondato sulla univoca
previsione nella norma, quale condizione risolutiva del beneficio dell’indulto, della
commissione, entro il termine indicato, del delitto determinante la revoca, e non
della pronuncia di condanna a questo relativa e della sua definitività.
Esso è stato anche correlato alla diversa previsione normativa della revoca
dell’indulto condizionato di cui al d.P.R. n. 460 del 1959, il cui art. 13 (“Il
beneficio dell’indulto è revocato di diritto qualora chi ne abbia usufruito riporti,
entro cinque anni dalla data dell’entrata in vigore del presente decreto, altra
condanna per delitto non colposo a pena restrittiva della libertà personale della
durata non inferiore a mesi sei”) è stato interpretato nel senso della espressa
previsione della necessità che, entro il termine di cinque anni dalla data di entrata
in vigore del provvedimento di clemenza, fosse divenuta irrevocabile la sentenza
di condanna pronunciata per il nuovo reato, commesso entro lo stesso termine
(tra le altre, Sez. 2, n. 705 del 02/03/1966, dep. 07/05/1966, Scandaliato, Rv.

3

1. Il ricorso è infondato.

101379; Sez. 2, n. 2997 del 20/12/1965, dep. 31/01/1966, Caradonna, Rv.
100374), e rapportato al diverso istituto della revoca della sospensione
condizionale della pena ex art. 168, comma 4, n. 2, cod. pen., la cui formulazione
postula – trattandosi di rimuovere una situazione giuridica già stabilita con
pronuncia irrevocabile – che nel termine di legge il condannato “riporti altra
condanna per delitto anteriormente commesso” (tra le altre, Sez. 1, n.39867 del
24/09/2012, dep. 09/10/2012, Mazzilli, Rv. 253368; Sez. 4, n. 45716 del
11/11/2008, dep. 10/12/2008, Peruzzini, Rv. 242036; Sez. 1, n. 43238 del

2.2. Dell’indicato principio, che il collegio condivide e riafferma non
ravvisando ragioni di diverso apprezzamento in diritto, neppure traibili dalle
generiche argomentazioni difensive, si è fatta nella specie esatta interpretazione e
corretta applicazione.
Il Giudice dell’esecuzione, invero, legittimamente riferendosi alla pena inflitta
per la più grave delle violazioni unificate ex art. 81 cpv. cod. pen., secondo i
condivisi arresti di legittimità (tra le altre, da ultimo, Sez. 1, n. 4084 del
11/01/2013, dep. 25/01/2013, D’Amico, Rv. 254608), ha ritenuto causa di revoca
di diritto del beneficio dell’indulto, concesso con ordinanza del 22 febbraio 2012,
la commissione da parte del ricorrente il 30 novembre 2008, e quindi entro il
temine di cinque anni decorrente dalla data di entrata in vigore della legge n. 241
del 2006, di delitto non colposo per il quale il medesimo è stato condannato alla
pena detentiva di anni cinque e mesi sei di reclusione con sentenza del 27
novembre 2011, definitiva il 27 giugno 2012, coerentemente assumendo, quale
evento risolutivo del beneficio, la commissione di altro delitto da parte del
beneficiario nell’arco temporale normativamente previsto, e non la pronuncia della
sua condanna entro il dies ad quem del medesimo arco temporale.

3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2013
Il Consigliere estensore

DEPOSITATA C>

ent

08/11/2007, dep. 15/11/2007, P.M. in proc. Orzan, Rv. 237874).

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