Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47869 del 08/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 47869 Anno 2013
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIRRINCIONE MICHELE N. IL 14/12/1966
avverso l’ordinanza n. 773/2013 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
05/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. E, cel’..:Ly e_ (.4i(

e
Uditi difensor Avv.;
?./z2, eJ41 eA–t3

c-e/cio

Data Udienza: 08/11/2013

Ritenuto in fatto.

1.Con ordinanza del 5 giugno 2013 il Tribunale di Palermo, costituito ex art.
309 c.p.p., rigettava l’istanza di riesame avanzata da Michele Cirrincione e, per
l’effetto, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi
confronti 1’11 maggio 2013 dal Giudice per le indagini preliminari del locale

2. A Cirrincione si contesta di avere fatto parte della “famiglia” mafiosa di

Villabate, articolazione dell’associazione a delinquere di stampo mafioso
denominata “cosa nostra”
Ad avviso del Tribunale gravi indizi di colpevolezza nei confronti dell’indagato
in ordine al delitto a lui ascritto erano costituiti dal contenuto delle intercettazioni
telefoniche ed ambientali, evidenzianti:
-le richieste di sostentamento economico avanzate da Cirrincione – sottoposto
alla misura del divieto di dimora nella provincia di Palermo con obbligo di elezione
di domicilio presso un comune diverso e, per tale motivo, alloggiato presso un
albergo di Alcamo – a Vincenzo Graniti e, tramite questi, agli altri appartenenti al
medesimo sodalizio di stampo mafioso;
-l’effettiva erogazione delle somme richieste a Cirrincione, esplicitamente
definito da Graniti “soldato della famiglia mafiosa di Villabate”;
-le discussioni tra i sodali sulla destinazione al solo Cirrincione o anche ad altri
membri delle somme destinate al sostentamento dei componenti dell’associazione.
A giudizio del Tribunale il contenuto dei colloqui captati trovava significativi
elementi di conferma nelle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Stefano
Lo Verso, ritenute intrinsecamente credibili anche alla luce del loro positivo
apprezzamento in un separato processo definito con sentenza irrevocabile di
condanna, ed assistite da riscontri estrinseci anche di tipo individualizzante.
3.Le esigenze cautelari, presunte per legge ai sensi dell’art. 275, comma 3,
c.p.p., venivano ravvisate sotto il profilo di cui all’art. 274, lett. c), c.p.p., tenuto
conto della qualità e natura del reato commesso e della negativa personalità
dell’indagato, già condannato per gravi delitti di criminalità organizzata.
4.Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il
difensore di fiducia, Cirrincione, il quale formula le seguenti censure.

1

Tribunale in relazione al delitto di cui all’art. 416-bis c.p..

Lamenta mancanza e contraddittorietà della motivazione, considerato il
contenuto equivoco delle intercettazioni, evidenzianti contatti con persone o legate
(come Graniti) all’indagato da vincoli di amicizia oppure estranee (Scalici) al
sodalizio mafioso.
Denuncia, inoltre, il travisamento della prova con riguardo al colloquio captato
il 25 maggio 2012 alle ore 19,11 tra Graniti e Cirrincione, atteso che il contenuto

sostentamento al proprio fratello e non, come ritenuto dai giudici, ad appartenenti al
sodalizio.
Prospetta, inoltre, violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza di un
quadro di gravità indiziaria desunto, oltre che dalle conversazioni dal tenore
ambiguo, dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Lo Verso, inutilizzabili ai
sensi dell’art. 194 c.p.p., contenendo riferimenti a circostanze apprese da terzi
ignoti, e, in ogni caso, oggetto di difforme valutazione giudiziaria nell’ambito della
procedura cautelare relativa ad Attanasio Leonforte, come comprovato
dall’ordinanza allegata al ricorso,
Osserva in diritto.

1.1 primi due motivi di ricorso non sono fondati.

Il ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che il Tribunale del
riesame di Palermo ha dato al tenore delle conversazioni intercettate durante la fase
delle indagini. Occorre, peraltro, rilevare che il ricorso, lungi dal proporre un
“travisamento delle prove”, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato
motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del
procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione
prospetta in realtà un’ipotesi di “travisamento dei fatti” oggetto di analisi,
sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero materiale d’indagine e
prospettando una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dal
provvedimento impugnato.
Sotto questo profilo, pertanto, deve essere riaffermato il principio in base al
quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. introdotte
dall’art. 8 della 1. 20 febbraio 2006, n. 46, mentre è consentito dedurre con il ricorso
per cassazione il vizio di “travisamento della prova”, che ricorre nel caso in cui il
giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non
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integrale della conversazione dimostra che il ricorrente chiedeva denaro per il suo

esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da
quello reale, non è affatto permesso dedurre il vizio del “travisamento del fatto”,
stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la propria
valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dal giudice di merito,
considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una
operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli

plurimis, Sez. 5, n. 39048 del 25 settembre 2007).
Tale principio è ancora più valido laddove con l’impugnazione venga posto un
mero problema di interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti
interessati alle conversazioni intercettate, trattandosi di questione di fatto, rimessa
all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se come nella fattispecie è accaduto – la valutazione risulta logica in rapporto alle
massime di esperienza utilizzate (cfr, ex plurimis, Sez. 6, n. 11794 dell’Il febbraio
2013).
2.Merita, invece, accoglimento l’ultimo motivo di ricorso.
La nozione di associazione punibile a titolo di delitto contro l’ordine pubblico
implica un’unione permanente e volontaria, finalizzata al conseguimento di scopi
illeciti comuni con volontà e attività collettive. Dal principio di necessaria
offensività discende che l’accordo può dirsi seriamente contratto solo ove ne risulti
l’idoneità a porre in pericolo l’ordine pubblico, ovverosia a realizzare i fini illeciti
perseguiti. L’affectio societatis è da ravvisare nella consapevolezza e nella volontà
di ciascun associato di far parte del sodalizio e di partecipare con contributo causale
“dinamico e funzionale” alla realizzazione del programma criminale comune.
In adesione ai principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di
delitto associativo previsto dall’art. 416-bis c.p., si deve, quindi, definire partecipe
colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura
organizzativa dell’associazione, non solo ne è parte, ma prende parte alla stessa:
tale locuzione è da intendere non in senso statico, come mera acquisizione di uno
status, bensì in senso dinamico e funzionalistico, con riferimento all’effettivo ruolo
in cui si è immessi e ai compiti che si è vincolati a svolgere perché l’associazione
raggiunga i suoi scopi, restando a disposizione per le attività organizzate della
medesima (Cass., Sez. Un., n. 33748 del 12 luglio 2005).

3

P–

elementi di prova già valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr., ex

Sul piano della dimensione probatoria della partecipazione rilevano tutti gli
indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti
propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente
inferirsi il nucleo essenziale della condotta partecipativa, e cioè la stabile
compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio. Deve dunque
trattarsi di indizi gravi e precisi (tra i quali le prassi giurisprudenziali hanno

“osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di
“uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, variegati e però
significativi facta concludentia) dai quali sia lecito dedurre, senza alcun
automatismo probatorio, la sicura dimostrazione della costante permanenza del
vincolo, nonché della duratura, e sempre utilizzabile, “messa a disposizione” della
persona per ogni attività del sodalizio criminoso, con puntuale riferimento, peraltro,
allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione.
2.L’ordinanza impugnata non ha fatto corretta applicazione di questi principi, in
quanto ha omesso di illustrare lo specifico e concreto contributo fornito dal
ricorrente al conseguimento degli scopi perseguiti dall’associazione di stampo
mafioso e di descrivere le condotte sintomatiche di un’organica adesione al
sodalizio alla stregua del parametro della gravità indiziaria sancito dall’art. 273
c.p.p.
Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione non é fondato su una
coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un
organico quadro interpretativo, alla luce del quale possa apparire dotata di adeguata
plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della
gravità, nel senso che questi possano essere reputati conducenti, con un elevato
grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità di
Cirrincione in ordine al delitti di partecipazione ad associazione per delinquere di
stampo mafioso contestatogli.
Di talché, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte sul grado
di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli
stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza,
deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza impugnata non supera il
vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato attiene alla verifica
del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che
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individuato, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregesse fasi di

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8-8-95 n. 332
‘Roma,iì

E 2jjf , 2 013

presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art.
273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza
poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di
merito.
Per tutte queste ragioni s’impongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata e
il rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo.

1 ter, disp. att. c.p.p.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Palermo.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al
Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, 1’8 novembre 2013.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94, comma

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