Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47817 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47817 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:

CROITOR Pavel, nato a Telenesti (Moldavia) il giorno 2/2/1990 (CUI
04T25YZ)
KUZMIN Ivan, nato in Russia il giorno 1/7/1974 (CUI 0331121W)

avverso la sentenza n. 456/2015 in data 18/6/2015 del Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Udine,
visti gli atti, la sentenza e i ricorsi;
vista la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale dott. Giuseppe CORASANITI, che ha concluso chiedendo
dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
udita la relazione svolta in camera di consiglio dal consigliere dr. Marco Maria
ALMA;

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza ex art. 444 e segg. cod. proc. pen. in data 18/6/2015 il Giudice
per le indagini preliminari presso il Tribunale di Udine applicava a CROITOR Pavel
la pena concordata di anni 1, mesi 4 di reclusione ed C 650,00 di multa ed a
KUZMIN Ivan la pena concordata di anni 2 di reclusione ed C 800,00 di multa in
relazione ai reati (commessi in concorso) di tentata rapina aggravata,
danneggiamento aggravato e possesso di strumenti atti a forzare serrature.

Data Udienza: 19/11/2015

Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza gli imputati
personalmente, con atti separati ma con motivi perfettamente sovrapponibili,
deducendo l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla
configurabilità del reato di cui agli artt. 56, 624-bis cod. pen. in luogo di quello
contestato e ritenuto in sentenza di cui agli artt. 56, 628 cod. pen.
Rilevano, al riguardo, i ricorrenti che sulla base degli atti processuali ed in
assenza di qualsivoglia lesione o segno di colluttazione con il personale di P.G.

nella forma tentata in quanto tale reato presupporrebbe l’avvenuto
impossessamento del bene. Al più avrebbero potuto configurarsi a carico dei
ricorrenti i reati di tentato furto oltre che di violenza e minaccia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi, come detto di identico tenore, sono manifestamente infondati.
Per consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, di recente ribadito
dalle Sezioni Unite (sentenza n. 5838 del 28/11/2013, dep. 06/02/2014, in
motivazione), in tema di patteggiamento, il ricorso per cassazione può
denunciare anche l’erronea qualificazione giuridica del fatto, così come
prospettata nell’accordo negoziale e recepita dal giudice, in quanto la
qualificazione giuridica è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore
su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. b) cod. proc. pen. Nondimeno, l’errore sul

nomen iuris deve essere

manifesto, secondo il predetto orientamento, che ne ammette la deducibilità nei
soli casi in cui sussista l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in
accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa
qualificazione presenti margini di opinabilità.
Nel caso di specie, la deducibilità dell’invocato errore deve essere esclusa, non
risultando erronea o strumentale la qualificazione giuridica dei fatti, così come
proposta dalle parti e positivamente delibata dal giudice a quo.
Per solo dovere di completezza ed in punto di diritto, va ricordato che,
contrariamente a quanto affermato nei ricorsi le Sezioni Unite di questa Corte
Suprema hanno oramai stabilito in maniera definitiva che è configurabile il
tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente (come è avvenuto nel caso
in esame – ndr) dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui,
non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi
violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità (Cass. Sez. U, sent. n. 34952 del
19/04/2012, dep. 12/09/2012, Rv. 253153).

2

non sarebbe stato configurabile nel caso in esame il reato di rapina impropria

Per le considerazioni or ora esposte, dunque, entrambi i ricorsi devono essere
dichiarati inammissibili.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti, in solido tra
loro, al pagamento delle spese del procedimento e, quanto a ciascuno di essi, al
pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di
esonero, della somma ritenuta equa di C 1.500,00 (nnillecinquecento) a titolo di
sanzione pecuniaria.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il giorno 19 novembre 2015.

P.Q.M.

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