Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47788 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47788 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Mazzeo Antonio, nato a Zaccanopoli il 16/4/1962
Mazzeo Carmelo, nato a Zaccanopoli il 5/7/1965
avverso la sentenza 7/1/2013 della Corte d’appello di Milano, III sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Paola Filippi, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 7/1/2013, la Corte di appello di Milano,

confermava la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio, in data 27/3/2012,
che aveva condannato Mazzeo Antonio e Mazzeo Carmelo alla pena di anni
uno, mesi sei di reclusione ed €. 1.400,00 di multa ciascuno per il reato di
tentata estorsione continuata in concorso.

1

Data Udienza: 19/11/2015

2.

La Cortè territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello,

e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale
responsabilità degli imputati in ordine ai reati a loro ascritti ed equa la pena
inflitta.

3.

Avverso tale sentenza propongono ricorso Mazzeo Antonio e Mazzeo

Carmelo per mezzo del comune difensore di fiducia, sollevando due motivi

3.1

Nullità della sentenza per mancanza di motivazione, dolendosi che la

Corte territoriale abbia fatto rinvio alla motivazione del primo giudice,
senza tener conto degli specifici motivi d’impugnazione articolati dalla
difesa. In particolare si duole che la Corte non abbia dato seguito alla
richiesta di derubricazione del fatto nel reato di esercizio arbitrario delle
proprie ragioni.
3.2

Violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen.,

eccependo che nel caso di specie sussisteva un unico reato tentato,
articolato in due fasi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è infondato inammissibile in quanto basato su motivi non

consentiti nel giudizio di legittimità.

2.

In punto di diritto occorre rilevare che la sentenza appellata e quella

di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si
integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una
sola entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare
della congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di
pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per
relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non
oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4827 del
28/4/1994 (ud. 18/3/1994) Rv. 198613, Lo Parco; Sez. 6, Sentenza n.
11421 del 25/11/1995 (ud. 29/9/1995), Rv. 203073, Baldini). Inoltre, la
giurisprudenza di questa Suprema Corte ritiene che non possano giustificare
l’annullamento minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione
di elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero potuto dar

2

di gravame con il quale deducono:

luogo ad una diversa decisione, sempreché tali elementi non siano muniti di
un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e non risultino, di per sè,
obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare una diversa
decisione. In argomento, si è spiegato che non costituisce vizio della
motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati
elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere
accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono
essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che

verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se
risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto
argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente
confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del 23/3/2000 (ud. 15/2/2000),
Rv. 215722, Re Carlo; Sez. 5, Sentenza n. 3980 del 15/10/2003 (Ud.
23/9/2003) Rv.226230, Fabrizi; Sez. 5, Sentenza n. 7572 del 11/6/1999
(ud. 22/4/1999) Rv. 213643, Maffeis). Le posizioni della giurisprudenza di
legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di
annullamento la motivazione incompleta ne’ quella implicita quando
l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca
diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno
che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria,
tanto da giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da
ribaltare gli esiti della valutazione delle prove.

3.

In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di

secondo grado recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo
grado, correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni
aspetti del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della
difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi
sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze degli atti di appello che
avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice.

4.

In particolare la Corte d’appello ha preso in esame le doglianze degli

appellanti in punto di valutazione delle indagini difensive e ha correttamente
argomentato circa la non incidenza di tali risultanze rispetto al reato
contestato. Correttamente la Corte d’appello ha respinto la richiesta di
derubricazione del fatto nel reato di esercizio arbitrario, evidenziando che

3

soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di

nella fattispecie non sussiste alcun diritto azionabile dinanzi al giudice.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, in caso di contestazione del delitto
di estorsione, qualora l’imputato eccepisca di aver agito al fine di esercitare
un preteso diritto, l’accertamento dell’elemento psicologico impone il previo
esame della pretesa vantata dall’agente, onde verificare se essa presenti i
requisiti dell’effettività e della concretezza che la rendono azionabile in
giudizio (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24292 del 29/05/2014 Cc. (dep.

dalla Corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza di ogni eventuale
diritto azionabile in giudizio, osservando che il malore che avrebbe colpito
gli imputati, con disturbi gastrointestinali, oltre a non essere documentato,
non risulta che abbia provocato la perdita del guadagno di una giornata di
lavoro. Di conseguenza, l’assenza di ogni pretesa astrattamente tutelabile in
via giudiziaria, fa venir meno i presupposti di fatto del delitto di esercizio
arbitrario. Pertanto nessuna censura può essere mossa sotto questo profilo
alla sentenza impugnata.

5.

Per quanto riguarda il secondo motivo, la censura non è ammissibile

trattandosi di una eventuale violazione di legge non dedotta con i motivi
d’appello.

6.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n.
186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.
Così deciso, il 19 novembre 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

10/06/2014 ) Rv. 259831). Nel caso di specie il previo esame effettuato

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