Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47787 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47787 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da Sasso Bruno Antonio nato a Spadola il 22/11/1958
avverso la sentenza del 10/12/2013 della Corte d’appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott.ssa Paola Filippi, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga
dichiarato inammissibile;
udito per l’imputato l’avv. Iole Miele in sostituzione dell’avv. Anselmo
Torchia, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone
l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 10/12/2013, la Corte di appello di Catanzaro, in
parziale riforma della sentenza del Tribunale di Catanzaro del 21/4/2010,tra
l’altro, rideterminava la pena inflitta a Sasso Bruno Antonio in anni quattro di
reclusione ed €. 1032,00 di multa per il reato di cui all’art. 648 bis cod. pen.
1.1. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, in

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Data Udienza: 19/11/2015

•’‘ •

punto di sussistenza responsabilità dell’imputato, accogliendole parzialmente
nei termini sopra indicati in punto di trattamento sanzionatorio.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, per mezzo del suo
difensore di fiducia, sollevando il seguente motivo di gravame: violazione
di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b), c),
e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62 bis, 133 cod. pen. e 192 e 546
cod. proc. pen.

con particolare alla mancata risposta alle deduzioni

difensive in punto di riconosciuta responsabilità dell’imputato ed in punto di

trattamento sanzionatorio con riguardo alla mancata considerazione degli
elementi di cui all’art. 133 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi manifestamente
infondati. Difatti, quanto alla riconosciuta responsabilità dell’imputato, viene
prospettata una valutazione delle prove diversa e più favorevole al
ricorrente rispetto a quella accolta nella sentenza di primo grado e
confermata dalla sentenza di appello. In sostanza si ripropongono questioni
di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di
legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi logici;
viceversa dalla lettura della sentenza della Corte territoriale non emergono,
nella valutazione delle prove, evidenti illogicità, risultando, invece,
l’esistenza di un logico apparato argomentativo sulla base del quale si è
pervenuti alla conferma della sentenza di primo grado con riferimento alla
responsabilità dell’imputato in ordine al fatto ascrittogli; in tal senso si è
fatto riferimento a puntuali risultanze probatorie in base alle quali il fatto
contestato doveva essere ascritto alla persona del ricorrente e dovesse
essere qualificato come riciclaggio ai sensi dell’art. 648 bis cod. pen., in
considerazione del fatto che il mezzo è stato certamente oggetto di
operazioni volte ad impedirne l’identificazione, realizzate di certo attraverso
condotte dolose. Segnatamente la Corte territoriale, nel confermare la
valutazione operata dal primo giudice fondata su accertamenti di fatto
all’esito dei quali era stato verificato che il mezzo in sequestro era
compendio di furto e che sullo stesso erano stati apposti targhe, documenti
e targhetta del telaio appartenenti ad altro autoveicolo incidentato, ha preso
in considerazione tutte le argomentazioni difensive sviluppate nel gravame
e reiterate oggi, ritenendo, ragionevolmente accertata la volontà degli

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imputati, ed in particolare quella dell’attuale ricorrente di occultare la reale
provenienza del bene.
Quanto poi al trattamento sanzionatorio, la Corte ha ritenuto
adeguata la pena sopra determinata, valutando l’insusssitenza di elementi
positivi per la concessione delle attenuanti generiche ed irrogando una pena
determinata nel minimo edittale.
Tutto ciò preclude qualsiasi ulteriore esame da parte della Corte di

24.9.2003, Rv. 226074).
4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi
dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dell’imputato che lo ha
proposto al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla
luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000,
sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in C 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso, il 19 novembre 2015

re estensore

Il Presidente

legittimità (Sez. U n. 12 del 31/5/2000, Rv. 216260; Sez.. U. n. 47289 del

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