Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47786 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47786 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• CATALANO Marco Aurelio Giuseppe, nato a Tunisi (Tunisia) il giorno
1/8/1962;
avverso la sentenza n. 7328/2013 in data 8/10/2013 della Corte di Appello di
Roma;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Paola FILIPPI, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, Avv. Mauro BOTTONI, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 8/10/2013 la Corte di Appello di Roma ha confermato la
sentenza del Giudice per l’udienza preliminare presso il locale Tribunale il quale,
all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato CATALANO Marco Aurelio
Giuseppe colpevole del reato di rapina aggravata e, concesse le circostanze
attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, operata la riduzione
per il rito lo aveva condannato a pena ritenuta di giustizia.
L’azione contestata al CATALANO è quella di essersi impossessato di una somma
di denaro di poco superiore ad C 5.500 sottraendola alla Cassa di Risparmio di

Data Udienza: 19/11/2015

Firenze, Ag. di Roma viale Ippocrate, puntando una pistola contro le impiegate
PICCIONI Francesca e UBALDI Valentina. Il fatto-reato risale al 5/11/2004.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato,
deducendo:
1. Mancanza e/o contraddittorietà della motivazione ex art. 606, comma 1, lett.
e) cod. proc. pen. relativamente allo svolgimento delle rilevazioni
dattiloscopiche.

commissione del fatto-reato in contestazione risiede, come evidenziato nella
sentenza del Giudice di prime cure, nel rinvenimento sul luogo dei fatti di
un’impronta papillare riconducibile all’imputato nonché dal confronto tra i
fotogrammi estrapolati dalle riprese delle telecamere a circuito chiuso e la
fotografia dell’imputato acquisita presso il casellario centrale della Criminalpol di
Roma, evidenzia al riguardo la difesa del ricorrente che non è chiaro dagli atti
come mai la comparazione delle impronte risultata in un primo tempo negativa,
solo a seguito di una rielaborazione della stessa (della quale non sono state
precisate le modalità) ha invece portato ad un esito positivo di riconducibilità
all’odierno imputato. Non vi sarebbe quindi sicura attendibilità delle operazioni di
comparazione compiute.
A ciò si aggiungono:
a) l’errore di indicazione in atti ed in sentenza tra impronta del dito indice ed
impronta del pollice dell’imputato;
b) il mancato riconoscimento fotografico dello stesso da parte delle impiegate
della banca.
2. Erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 192 in ordine
all’art. 133, comma, cod. proc. pen.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che l’incertezza probatoria evidenziata
nel precedente motivo di ricorso incide sulla validità della sentenza di condanna
in relazione alla struttura logica della motivazione ed al discorso giustificativo
della decisione in quanto le prove della colpevolezza devono essere esenti da
qualsivoglia assenza di linearità.
3. Erronea applicazione della legge penale ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. in
ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma 1
n. 3 cod. pen.
Rileva la difesa del ricorrente sussiste solo allorquando, in caso di uso di un’arma
giocattolo sprovvista del prescritto tappo rosso all’estremità della canna, la

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Sul presupposto che la prova di accusa contro l’imputato in relazione alla

stessa sia idonea ad incutere nelle vittime la percezione di essere sotto il tiro di
un’arma da fuoco.
Nel caso in esame, pur in assenza del tappo rosso, le vittime della rapina non
possono non aver percepito che si trattava di un’arma giocattolo atteso che
l’introduzione della stessa nella banca non aveva attivato l’allarme collegato al
metal detector installato all’ingresso della filiale dell’istituto di credito e
regolarmente funzionante.

1. I primi due motivi di ricorso che appaiono meritevoli di trattazione congiunta
atteso lo stretto legame di connessione tra loro sono entrambi manifestamente
infondati.
Trattasi, infatti, di questioni già poste ai Giudici del merito e dagli stessi risolte
con motivazione congrua, non manifestamente illogica e tantomeno
contraddittoria.
La Corte di Appello ha correttamente indicato (cfr. pag. 3 della sentenza
impugnata) tutta la scansione temporale in relazione alla quale si è addivenuti
all’accertamento della corrispondenza tra l’impronta digitale rinvenuta sul luogo
della rapina e quella lasciata dal CATALANO sul cartellino digitalizzato del
casellario giudiziale della Criminalpol di Roma.
E’ assolutamente lampante da detta ricostruzione e dal contenuto della nota del
R.I.S. dei Carabinieri datata 16/1/2007 che la “rielaborazione” (si guardi bene
non dell’impronta” ma della “transazione”!) sulla quale sofferma l’attenzione la
difesa del ricorrente null’altro è consistita – al di là del linguaggio “burocratico”
utilizzato nella nota – semplicemente nell’effettuazione di una nuova ricerca a fini
comparativi nella banca dati.
In sostanza, come emerge dagli atti, l’impronta digitale fu raccolta in occasione
della rapina nel novembre 2004, fu compiuta una prima ricerca comparativa che
non diede alcun risultato positivo per il semplice fatto che all’epoca (marzo
2005) i dati del CATALANO non erano presenti nella banca dati.
L’imputato venne, infatti, arrestato da personale della Questura di Rieti per altra
rapina solo nel giugno 2006 e poi raggiunto nell’ottobre dello stesso da
ordinanza cautelare per ulteriore rapina consumata a Terni nel settembre 2005.
I dati dello stesso furono quindi inseriti nel sistema AFIS solo dopo l’effettuazione
dell’originaria ricerca con la conseguenza che quando nel 2007 venne eseguita
una nuova ricerca (una “rielaborazione della transazione” secondo il linguaggio
dei Carabinieri) la stessa diede esito positivo.

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CONSIDERATO IN DIRITTO

Per il resto e sempre con riguardo all’impronta dattiloscopica

de qua, deve

essere solo rilevato:
a) che non compare in atti alcun elemento in base al quale vi potrebbe essere
stata una alterazione dell’impronta nella procedura di rilievo e di conservazione
della stessa, né lo stesso ricorrente è in grado di indicarlo in modo preciso ma
solo di ventilarlo con affermazioni che rimangono fini a sé stesse;
b) che l’impronta comparata sia quella prelevata sul luogo della rapina e sia

pubblico ufficiale che fa prova fino a querela di falso, atto perfettamente
utilizzabile alla luce della scelta effettuata dall’imputato di essere giudicato con le
forme del rito abbreviato;
c) che il fatto che in sentenza si menzioni che l’impronta è quella del dito pollice
dell’imputato mentre in realtà di stratta del dito indice è evidente frutto di un
errore materiale indotto dalle dichiarazioni testimoniali che è però del tutto
irrilevante nell’economia della decisione alla luce dell’esito degli accertamenti
effettuati dal R.I.S. circa la certa riconducibilità dell’impronta rilevata sul luogo
della rapina con quella di un dito del rapinatore.
Al di là di tutto quanto si è detto deve, poi, essere ricordato che quello della
positiva comparazione dei rilievi dattiloscopici non è l’unico elemento a carico
dell’imputato in quanto ve ne è un altro – guarda caso apparentemente
trascurato dalla difesa del ricorrente ma solo menzionato nel riassunto della
motivazione della sentenza impugnata – che consiste nel rilievo operato dal
Tribunale relativo al fatto che la semplice visione dei fotogrammi estrapolati dalle
riprese delle telecamere e dell’effige riportata sul cartellino fotosegnaletico
dell’imputato dà corrispondenza tra il rapinatore ed il prevenuto stante la
nitidezza e l’altissima definizione delle immagini.
Si tratta di un elemento probatorio derivante da un accertamento di fatto (quindi
non sindacabile in questa sede) che di per sé solo sarebbe stato sufficiente per
addivenire all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato ma che
aggiunto all’esito positivo della comparazione dattiloscopica rende a dir poco
granitica la prova d’accusa nei confronti del CATALANO con conseguente
manifesta infondatezza dei due motivi di ricorso in esame e rende destituito di
rilevanza ogni elemento contrario quale il mancato riconoscimento da parte delle
impiegate della banca.
2. Quanto, poi, al terzo motivo di ricorso relativo alla sussistenza della
circostanza aggravante di cui al comma 3 n. 1 dell’art. 628 cod. pen. va rilevato
che anche in questo caso ci si trova in presenza di questione già posta in sede di

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riferibile con assoluta certezza all’imputato risulta da un atto pubblico redatto da

gravame innanzi alla Corte di Appello ed alla quale i Giudici distrettuali hanno
dato risposta congrua e logica.
Pacifico è il fatto correttamente ricordato anche dalla Corte di Appello che il
semplice uso o porto fuori della propria abitazione di un giocattolo riproducente
un’arma sprovvisto di tappo rosso non è previsto dalla legge come reato. L’uso o
porto fuori della propria abitazione di un tale giocattolo assume rilevanza penale
soltanto se mediante esso si realizzi un diverso reato del quale l’uso o porto di

avviene quando il giocattolo riproducente un’arma, sprovvisto di tappo rosso, …
sia usato nella commissione … di delitti di rapina aggravata (art.628, comma 3 n.
1, prima ipotesi, Cod. pen.)

(Cass. Sez. U, sent. n. 3394 del 06/03/1992, dep.

23/03/1992, Rv. 189520; in senso conforme ed in tempi più recenti anche Sez.
2, sent. n. 18382 del 27/03/2014, dep. 05/05/2014, Rv. 260048).
Ciò doverosamente premesso non si può non rilevare come parte ricorrente
anche attraverso la citazione (per estratto) delle dichiarazioni dei testi PIRO e
UBALDI (peraltro non riportate integralmente come imporrebbe il principio
giurisprudenziale dell'”autosufficienza” del ricorso per cassazione) – tende a
confondere le valutazioni ex post dei testi con quelle – uniche rilevanti – ex ante
al momento della rapina. Non viene, infatti, citata alcuna dichiarazione dei testi
al momento della rapina dai quali si evince che essi percepirono al momento
dell’esecuzione della stessa l’assoluta inoffensività dell’arma impugnata dal
rapinatore. Del resto se così fosse non si vede per quale ragione logica gli stessi,
non intimiditi dalla presenza dell’arma, avrebbero dovuto dare seguito alla
richiesta di consegna del denaro da parte del rapinatore.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di C
1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 19 novembre 2015.

un’arma rappresenti elemento costitutivo o circostanza aggravante, come

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