Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4769 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 4769 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GHILCA VLADIMIR N. IL 24/04/1976
avverso l’ordinanza n. 6194/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di
TORINO, del 16/01/2013
sentita la elazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette/sentfte le conclusioni del PG Dott.

g&G-A4

Uditi dife

Avv.;

Data Udienza: 08/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Sorveglianza di Torino, con ordinanza del 16/1/2013,
respingeva l’appello proposto da Ghilca Vladimir avverso il provvedimento con
cui il Magistrato di Sorveglianza di Alessandria, procedendo al riesame della
pericolosità, aveva disposto l’esecuzione della misura di sicurezza dell’espulsione
dal territorio dello Stato ordinata dalla Corte di Assise d’appello di Brescia in sede
di condanna alla pena di anni 14 di reclusione per il reato di omicidio volontario.
Il Tribunale riteneva che il Magistrato di Sorveglianza avesse fondato il

permanenza sul territorio dello Stato, nonché sull’assenza di lavoro e di supporti
adeguati. Il Tribunale richiamava la relazione di sintesi dell’Istituto di Alessandria
da cui risultava che, durante tutta la detenzione, i rapporti con la madre erano
stati sporadici, il suo indirizzo non era stato riferito ed ella aveva espresso la
disponibilità all’accoglienza solo in prossimità dell’udienza, così come il fratello si
era detto disposto ad assumerlo al lavoro solo recentemente. L’attività
lavorativa, comunque, era impedita dalla condizione di clandestinità, non
sanabile non avendo l’appellante avanzato domanda di permesso di soggiorno.
In definitiva, secondo il Tribunale, il buon comportamento carcerario non era
idoneo ad escludere la pericolosità sociale del soggetto e la probabilità di
recidiva.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Ghilca Vladimir deducendo distinti
motivi.
In un primo motivo il ricorrente contesta il giudizio di pericolosità sociale del
soggetto espresso nell’ordinanza impugnata: il Tribunale avrebbe dovuto tenere
conto dell’assenza di precedenti penali, del buon comportamento carcerario, del
trasferimento in Italia della famiglia di Ghilca, della dichiarazione di ospitalità
della madre e del marito, della disponibilità all’assunzione espressa dal fratello.
In Moldavia Ghilca non possedeva una famiglia né un’abitazione in cui vivere,
cosicché l’espulsione violava l’unità familiare tutelata dall’art. 8 della CEDU e
l’art. 29 della Costituzione. Il ricorrente chiede la revoca del provvedimento
impugnato.
In un secondo motivo, il ricorrente deduce l’incompetente del Magistrato di
Sorveglianza di Alessandria e del Tribunale di Sorveglianza di Torino: infatti,
quando il Magistrato di Sorveglianza aveva emesso l’ordinanza appellata, Ghilca
era già stato scarcerato e dimorava a Castiglione delle Stiviere, in provincia di
Mantova, cosicché competenti a decidere erano il Magistrato di Sorveglianza di
Mantova e il Tribunale di Sorveglianza di Brescia. Il ricorrente deduce, pertanto,

2

giudizio di attualità della pericolosità sociale sulla mancanza di titolo per la

la nullità del provvedimento.

3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per il rigetto
del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La circostanza che Ghilca sia stato scarcerato nel corso del procedimento
concluso con il provvedimento di esecuzione dell’espulsione è irrilevante ai fini
della competenza: ai sensi dell’art. 677, comma 1, cod. proc. pen., la
competenza a conoscere le materie attribuite alla magistratura di sorveglianza
appartiene al Magistrato di Sorveglianza che ha giurisdizione sull’istituto
carcerario in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta, della proposta o
dell’inizio di ufficio del procedimento.
La successiva scarcerazione non incide su detta competenza in base al
principio della perpetuati° jurisdictionis.

2. Il primo motivo, attinente al merito della pronuncia, è inammissibile: in
effetti, il ricorrente non deduce nemmeno la manifesta illogicità della
motivazione, ma si limita a contestare la valutazione della pericolosità espressa
nel provvedimento impugnato, evidenziando gli aspetti positivi (che il Tribunale
non aveva tralasciato di valutare) e sollecitando questa Corte a sovrapporre alla
valutazione dei giudici di merito la propria.

3. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

3

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
ammende.

Così deciso 1’8 gennaio 2014

Il Consigliere estensore

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