Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47590 del 30/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 47590 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BETTA Lorenzo Mariolino, nato a Monticelli d’Ongina (Pc) il 8 aprile 1974;

avverso la sentenza n. 2768/14 della Corte di appello di Bologna del 18 settembre
2014;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentita la requisitoria del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Enrico DELEHAYE, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentito, altresì, per il ricorrente, l’avv. Giuseppe MERLINO, del foro di Roma, in
sostituzione dell’avv. Angelo VOLA, del foro di Piacenza, che ha insistito per
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 30/04/2015

RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 18 settembre 2014 ha
confermato la condanna alla pena di giustizia che il Tribunale di Piacenza
aveva inflitto a Betta Lorenzo Mariolino il precedente 18 giugno 2010
avendolo riconosciuto colpevole del reato di cui all’art.

171 ter, comma 1,

lettera b), della legge n. 633 del 1941 per avere riprodotto a fine di lucro in
copie fotostatiche 30 opere letterarie complete destinate alla didattica, nonché

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Betta,
assistito dal proprio difensore, deducendo tre motivi di impugnazione.
Col primo di essi il ricorrente lamentava il fatto che i giudici del merito
avessero dedotto la natura abusiva della duplicazione delle opere rinvenute
presso la sua copisteria dalla sola mancanza su di esse del cosiddetto bollino
Siae, senza tenere conto che la Corte di giustizia europea con la nota
sentenza Schwibbert ha rilevato che, in assenza di una preventiva procedura
di notificazione da parte del singolo Stato alla competente Commissione
dell’Unione europea, non è opponibile neppure ai singoli cittadini la norma o
regola tecnica che impone l’apposizione del predetto bollino sui supporti ove
sono riprodotte opere di arti figurative; poiché lo Stato italiano ha provveduto
al perfezionamento di detta procedura solo il 21 aprile 2009, per i fatti
precedenti a tale data, fra i quali vi sono quelli di causa accertati in data 6
dicembre 2007, la prova della abusività della duplicazione non può essere
desunta, come invece fatto dai giudici del merito, solamente dalla mancanza
della stampiglia del predetto bollino.
Quale secondo motivo di impugnazione il ricorrente ha dedotto la
inosservanza o violazione dell’art. 171 ter, comma 1, lettera b), della legge n.

633 del 1941, in quanto i giudici del merito avrebbero ritenuto punibile la
condotta posta in essere dal prevenuto, sebbene la stessa non fosse motivata
dal fine di lucro, elemento necessario per la sua rilevanza penale; ha, infatti,
chiarito il ricorrente che le opere in questione erano poste in vendita ad un
prezzo che non superava il costo ordinario del numero delle fotocopie eseguite
per la riproduzione dell’opera, mentre ad avviso del ricorrente il fine di lucro
sarebbe stato evidenziabile solo nel caso in cui egli avesse praticato, in
ragione del contenuto della fotocopia, trattandosi di opera coperta dal diritto
d’autore, un sovrapprezzo ulteriore rispetto al’ordinario costo della fotocopia.
Come ultimo motivo di censura il ricorrente si è doluto del fatto che la
Corte di Bologna gli abbia negato il beneficio dell’attenuante di cui all’art. 62,
n. 4, cod. pen., laddove sia il lucro conseguito dall’agente che il danno patito

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sei pagine di altra opera a contenuto tecnico.

dalla parte offesa per effetto della condotta del primo dovevano ritenersi di
speciale tenuità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato dal Betta è inammissibile.
Con riferimento al primo motivo di impugnazione – con il quale in sintesi il
ricorrente lamenta il fatto che la Corte di Bologna non abbia applicato alla
fattispecie i principi derivanti dalla ben nota sentenza Schwibbert della Corte

norme eurounitarie, non è possibile sanzionare, relativamente agli episodi
anteriori al 21 settembre 2009, ai sensi dell’art. 171 ter della legge n. 633 del

1941, la riproduzione e duplicazione di supporti contenenti audiovisivi sulla
sola base della mancanza su di essi della stampiglia riproducente il cosiddetto
bollino SIAE (cfr. in tal senso fra le molte: Corte di cassazione, Sezione III
penale, 20 gennaio 2012, n. 2376; idem Sezione III penale, 21 giugno 2011,
n. 24823) – rileva la Corte la assoluta inconferenza del pur valido principio
rispetto al caso di specie.
Come, infatti, chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte il principio
secondo il quale in tema di diritto d’autore, relativamente ai reati di
detenzione per la vendita di supporti privi del contrassegno Siae,
l’inopponibilità nei confronti dei privati dell’obbligo di apposizione del predetto
contrassegno quale effetto dalla mancata comunicazione alla Commissione
dell’Unione Europea di tale “regola tecnica” in adempimento della direttiva
europea 83/179/CE, comporta l’assoluzione del soggetto agente (Corte di
cassazione, Sezione III penale, 3 settembre 2008, n. 34553), presuppone che
l’obbligo della apposizione del contrassegno, non sia stato introdotto dal
legislatore nazionale anteriormente alla data del 31 marzo 1983, coincidente
con la data di entrata in vigore della direttiva 83/189/CE, ovvero che, solo se
introdotto successivamente, sia stato, in adempimento di detta direttiva,
previamente comunicato dallo Stato italiano alla Commissione dell’Unione
Europea (Corte di cassazione, Sezione III penale, 29 maggio 2008, n. 21579).
Ciò posto rileva la Corte che nel caso delle opere soggette a contratto di
edizione, quali sono le opere che si sostanziano in un libro stampato, già l’art.
123 del testo originario della legge n. 633 del 1941 prevedeva che gli
esemplari dell’opera dovessero essere contrassegnati in conformità con
quanto stabilito dal regolamento di attuazione della legge sopraindicata; a sua
volta siffatto regolamento, si tratta del regio decreto n. 1369 del 1942,
prevedeva, all’art. 12 che il contrassegno de quo fosse apposto (…) a mezzo
della SIAE, salvo che l’autore non vi avesse provveduto direttamente,
contrassegnando ciascun esemplare con la propria firma autografa.
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di giustizia europea, in forza della quale, attesa la sua incompatibilità con le

La ampia preesistenza, pertanto, dell’obbligo di apposizione della
cosiddetta bollinatura SIAE sulle edizioni cartacee, rispetto alla entrata in
vigore della sopracitata direttiva comunitaria, rende irrilevante nel caso che
ora interessa la mancata notificazione alla competente Commissione
dell’Unione europea della prescrizione tecnica vigente nello Stato italiano
avente ad oggetto i soli supporti digitali ed esclusivamente in relazione alla
quale è applicabile la disciplina ricavabile dalla decisione assunta dalla Corte
europea di giustizia riguardo al caso Schwibbert.

concernente l’assenza del fine di lucro nella condotta del prevenuto, posto che
la indiscussa destinazione alla vendita delle dei volumi indebitamente
riprodotti dal Betta integra certamente l’elemento psicologico del fine di lucro
previsto dalla norma in questione (sul fine di lucro come elemento
caratterizzante sotto il profilo soggettivo i reati di cui all’art.

171 ter della

legge n. 633 del 1941, cfr.: Corte di cassazione, Sezione III penale, 23
febbraio 2012, n. 7051;

idem Sezione III penale, 28 dicembre 2010, n.

45567).
Tale specifica finalità ricorre, infatti, ogniqualvolta il movente che abbia
spinto il soggetto a delinquere sia stato legato alla possibilità di trarre dalla
propria condotta illecita un qualche guadagno patrimoniale che sia
finanziariamente apprezzabile.
Nel caso di specie è evidente che, quand’anche il prezzo al quale il
prevenuto metteva in vendita gli esemplari dei libri da lui illecitamente
duplicati fosse stato prossimo od anche coincidente con quello praticato per il
mero servizio di fotocopiatura dei medesimi (contenuto entro limiti
quantitativi che ne determinavano la liceità), la finalità commerciale
comunque sottesa all’intera operazione vale di per sé ad integrare, stante il
programmato scambio di cosa contro prezzo, il necessario fine di lucro, non
dovendosi quest’ultimo identificare come una sorta di plusvalenza, rispetto al
prezzo di mercato di altro analogo servizio svolto lecitamente, derivante
all’agente quale impropria contropartita connessa alla modalità illecita di
realizzazione dell’altra operazione.
Quanto, infine, alla dedotta omessa motivazione in ordine alla mancata
concessione della attenuante di cui all’art. 62, n. n. 4) cod. pen., prevista, nel
caso di reati determinati da motivi di lucro, laddove quest’ultimo come
l’evento dannoso o pericoloso cagionato, siano stati di speciale tenuità,
osserva il Collegio che nessun obbligo il giudice di appello aveva di motivare
sulla mancata concessione della circostanza de qua posto che siffatto dovere
per sussistere avrebbe presupposto, trattandosi di sentenza di appello
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Neppure può attribuirsi pregio alcuno al secondo motivo di impugnazione,

confermativa di quella di primo grado, la presentazione da parte dell’odierno
ricorrente di uno specifico motivo di gravame avverso la mancata concessione
della detta attenuante da parte del giudice di prime cure; rilevato che nel caso
di specie tale elemento catalizzatore dell’obbligo di motivazione non è
riscontrabile, nessuna censura di omessa motivazione può essere
efficacemente mossa sul punto alla sentenza impugnata.
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso determina, visto l’art. 616
cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese

in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 30 aprile 2015
Il Consigliere estensore

Il P

ente

processuali e della somma, equitativamente così determinata, di euro 1000,00

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