Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47546 del 01/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 47546 Anno 2013
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

DELLE FAZIO MARIA ROSARIA n. 1/8/1967
avverso l’ordinanza n. 746/2012 del 12/4/2013 del TRIBUNALE DEL
RIESAME DI BARI
visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. VITO D’AMBROSIO che ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN FATTO
1. Con ordinanza del 24 aprile 2012 il gip del Tribunale di Bari decideva sulla
richiesta di misura cautelare presentata dal PM il 27 aprile 2011 nei confronti di
numerose persone per vari reati di associazione per delinquere finalizzata allo
spaccio di stupefacenti, ipotizzando l’esistenza di diversi gruppi operanti nei
comuni di San Severo e Apricena e contestando, altresì, numerosi reati fine.
2. Nei confronti dell’odierna ricorrente, Delle Fazio Maria Rosaria, il giudice
accoglieva la misura ed applicava gli arresti domiciliari limitatamente al reato
contestato al capo D1 della rubrica, con il quale venivano individuate una serie di
condotte di spaccio di droga contestate in continuazione, rigettando la richiesta
di misura per il resto.
3. Il PM presentava appello in data 2 maggio 2012 avverso il rigetto della
misura per gli altri fatti contestati, associazione ex articolo 74 dpr 309/90 ed
altre varie ipotesi di spaccio di droga; il Tribunale del riesame di Bari, con

Data Udienza: 01/10/2013

ordinanza del 12/4/2013, accoglieva la richiesta limitatamente al capo D) (reato
associativo) disponendo la misura degli arresti domiciliari.
4. In motivazione il Tribunale, dopo avere premesso che era erronea la tesi
del gip che riteneva irrituale che la richiesta del PM non presentasse una
“doverosa valutazione indiziaria”, osservava come comunque il giudice avesse
valutato nel merito l’ipotesi accusatoria ritenendo non configurabile il reato
associativo per lo scarso numero dei fatti accertati; il Tribunale riteneva, invece,
che vi fossero vari indici della commissione da parte dei diversi indagati dei reati

innanzitutto, di un gruppo di persone legate da rapporti familiari o parafamiliari;
nelle varie attività era costante la collaborazione tra vari dei soggetti ritenuti
affiliati; che il vincolo fosse stabile si evinceva dalla continua reiterazione di
condotte con modalità indicative del previo generico accordo di collaborazione.
Ritenuto quindi che anche la Delle Fazie fosse raggiunta da gravi indizi di reità, la
scelta della misura cautelare veniva operata con espresso riferimento alla
presunzione relativa di cui all’art. 275 3° comma cod. proc. pen., ritenendo che
dovesse essere applicata la misura degli arresti domiciliari in relazione alla
condizione di madre di prole in tenera età.
5. Avverso tale provvedimento Delle Fazie propone ricorso a mezzo del
difensore.
6. Con primo motivo denuncia il vizio di motivazione sulla richiesta di
declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione del PM per difetto di specificità
dei motivi di impugnazione.
6.1.1.

A tale fine rileva che l’appello si limitava a richiamare il contenuto

della originaria richiesta cautelare ovvero a riportarne stralci, richiesta peraltro
non motivata, senza tenere conto dell’effettivo contenuto della decisione
impugnata.
7. con secondo motivo deduce la violazione di legge in riferimento all’articolo
74 d.p.r. 309/90; la difesa osserva che era fondata la valutazione del gip che si
è in presenza di condotte reiterate riconducibili alla ipotesi del reato continuato
non essendo invece stati evidenziati elementi che possano dimostrare l’esistenza
di una struttura criminale organizzata. Peraltro, secondo il difensore in base agli
elementi acquisiti si poteva tutt’al più contestare l’ipotesi di associazione
finalizzata a reati di cui al 5° comma dell’art. 73 d.p.r. 309/90.
8. Con terzo motivo deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 292
comma 2° lett. c) e lett. c) bis nonché 275 comma 3° cod. proc. pen. per la
carenza e comunque contraddittorietà della motivazione al fine di applicare gli
arresti domiciliari non valutandosi le condizioni personali nonché la cessazione

2

di vendita di droga in esecuzione di un programma comune. Si tratta,

dell’attività dell’associazione, circostanze indicative della assenza di attuale
esigenze cautelari, anche in relazione alla vetustà dei fatti in contestazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
9. È fondato il primo motivo di ricorso quanto alla originaria inammissibilità
dell’appello del pubblico ministero.
Anche in materia di misure cautelari l’appello ha le medesime

10.

caratteristiche generali di tale tipo di gravame. Quindi è necessario:
10.1.

che siano rispettate le caratteristiche di specificità dell’atto di

rispetto ai quali si formulano doglianze;
10.2.

che in riferimento a tali punti siano svolti argomenti in fatto ed in

diritto specifici non potendosi l’appello limitare ad un generico invito alla
revisione della originaria decisione mediante una autonoma valutazione
della richiesta di misura cautelare.
11.

La conseguenza è, quindi, che in linea generale un semplice

richiamo al contenuto della richiesta di misura cautelare non potrà soddisfare tali
requisiti di specificità salvo, ovviamente, i casi nei quali, vuoi per motivi formali
ritenuti assorbenti, vuoi per particolare apoditticità della decisione del primo
giudice, di fatto non vi sia stata alcuna valutazione della richiesta stessa. La
peculiarità della impugnazione cautelare del PM tocca, invece, altri profili. In
particolare, poiché il caso non è assimilabile a quello dell’impugnazione di una
sentenza che interviene a seguito di una fase in contraddittorio, il Tribunale che
giudica in sede di appello cautelare, ancorché il provvedimento di rigetto della
misura cautelare abbia affermato, ad esempio, la esistenza di gravità indiziaria e
la assenza di esigenze cautelari, dovrà valutare la sussistenza delle complessive
condizioni per la emissione dell’atto; ma, si vedrà, non è una questione che
rileva nel caso di specie.
12.

Non rileva ai fini della disciplina dell’appello cautelare neanche

l’apparente parallelismo della particolare impugnazione rappresentata dal
riesame ex articolo 309 cod. proc. pen poichè quest’ultima impugnazione
consiste, in realtà, nella ripetizione nel giudizio cautelare da effettuare in
contraddittorio, su richiesta facoltativa del soggetto sottoposto alla misura che
non ha partecipato al procedimento applicativo della stessa.
13.

Applicando tali regole al caso di specie non può che concludersi nel

senso che effettivamente, come dedotto dalla parte ricorrente, l’originario
appello del pubblico ministero era totalmente inammissibile:
14.

Va considerato innanzitutto che l’ordinanza del gip presentava un

contenuto adeguato al fine di contestare la tesi di accusa sotto il profilo della
esistenza della associazione per delinquere; di ciò dà atto il Tribunale del
3

impugnazione ‘nell’individuare i punti del provvedimento impugnato

Riesame che afferma chiaramente che vi era stata una adeguata valutazione in
merito da parte del gip che quindi non si era comunque fermato ad una
valutazione meramente formale ancorchè si fosse espresso su una presunta
inammissibilità per genericità della richiesta ex art. 291 cod. proc. pen. del
pubblico ministero.
15.

In particolare il gip, con argomentazioni comuni a tutte le

associazioni per delinquere configurate dagli inquirenti, osservava la assenza di
reali elementi di unificazione delle condotte degli indagati in esecuzione di un

16.

In sede di impugnazione, invece, il PM, senza alcun riferimento alle

singole contestazioni ai singoli indagati o, almeno, alle singole organizzazioni
criminali, si limitava a riprodurre in larga parte la richiesta di misura cautelare
aggiungendo brevi interpolazioni che non rappresentavano affatto delle critiche
alle argomentazioni del gip ma apodittici commenti sulla bontà delle proprie
pretese originarie (Diversamente, tutte le condotte sono descritte, specificate e
approfondite nei capi di attribuzione che rappresentano la sintesi della miriade di
condotte di spaccio e di approvvigionamento di droga), di generica critica alla
metodologia del giudicante

(II difetto valutativo più edatante è nella

considerazione di alcuni delitti ex art. 73 T. U. 309/90 senza integrare gli stessi
nella portata più ampia del delitto associativo, in una visione atomistica e
parcellizzata del dato probatorio che viene scongiurato attraverso una
aggettivazione assiomatica che si sovrappone ai fatti, completamente trascurati.
Non v’è lo sforzo di estrapolare condotte; elementi significativi; reiterazioni;
vorticosità e frenesia nei contatti tra fornitori ed acquirenti; gestione della rete di
spaccio; rifornimenti continui. ….)

tanto da affermare che ” …

Circa le

caratteristiche e la descrizione della associazione , si riportano i passi della
richiesta che costituiscono migliore risposta alle alogicità del Giudice barese”;
ovvero, il PM appellante sosteneva che fosse inutile argomentare essendo
bastevole per il giudice di appello (ri)leggere la propria originaria richiesta di
misura.
17.

Inutile, poi, cercare ragioni riferibili al presunto ruolo della Delle

Fazie nella associazione criminale; per lei la motivazione è limitata al “Valgono le
doglianze espresse con riferimento ai CAPI A, B e C, insieme alle pagine che
riportano il ruolo dei componenti all’interno della associazione ( pagg. 44 in poi).
Si rinvia alle schede soggettive”. Invero non sembra esservi alcuna valutazione
del ruolo della ricorrente alle pagine 44 e ss, né le “schede soggettive” risultano
essere parte del parte dell’atto di appello.
18.

Il giudizio conclusivo, in accoglimento del primo motivo di ricorso,

è che effettivamente l’atto di appello non era c ngegnato in modo da introdurre
4

programma comune.

una fase di revisione critica per specifici punti della decisione di primo giudice ma
tendeva a chiedere una nuova valutazione del medesimo materiale indiziario
senza specifico riferimento alla decisioni del gip, così affermando una
corrispondenza fra appello e riesame che, invero, non vi è nella legge.
19. Va quindi dichiarata la inammissibilità originaria dell’appello al
pubblico ministero con conseguente annullamento della ordinanza impugnata
senza rinvio.
P.Q.M.

P.M.
ciso il 10 ottobre 2013
estensore
Stefano

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata per inammissibilità dell’appello del

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