Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47534 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 47534 Anno 2015
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SIMONOVICH GIUSEPPE N. IL 21/03/1939
avverso la sentenza n. 26/2015 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
22/10/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere D . LAURA SCALIA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 26/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza pronunciata in data 22.10.2015, la Corte di Appello di Trieste ha
dichiarato la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda di consegna
di Giuseppe Simonovich, colpito da mandato di arresto europeo dell’Alta Corte di
Capodistria (SLO), per l’esecuzione della sentenza in data 20.12.2012 (irrevocabile il
20.05.2013) che lo aveva condannato alla pena detentiva di due anni ed otto mesi per

III cod. pen. sloveno).

1.1. Nel corso del procedimento, in cui il condannato non ha prestato il consenso
alla propria estradizione verso la Slovenia e non ha rinunciato al beneficio della
specialità, chiedendo di poter espiare la pena in Italia, il Presidente della Corte di
appello di Trieste ha convalidato l’arresto ai fini estradizionali giusta ordinanza in data
04.09.2015, applicando in pari data al Simonovich la misura cautelare della custodia in
carcere, poi sostituita con quella degli arresti domiciliari.
La Corte ha quindi adottato l’impugnata sentenza, rilevata l’insussistenza delle
condizioni ostative alla consegna del condannato previste dalla legge n. 69 del 2005
– contenente “Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro
2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto
europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri” – e, tra queste, della presenza
di una stabile residenza dell’imputato in Italia, requisito segnato dalle previsioni di cui
all’art. 18, comma 1, lett. r), legge n. 69 cit., norma come additivamente determinata
dalla sentenza della Corte costituzionale n. 227 del 2010.

2. Il difensore del Simonovich propone ricorso per cassazione avverso l’indicata
sentenza, affidando il proposto mezzo a due motivi.

2.1. Con il primo motivo, la difesa denuncia violazione di legge e carenza di
motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen.) in relazione alli art. 18,
lett. r), legge n. 69 del 2005, cossi come integrato dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 227 del 2010.
Segnala la difesa come la Corte delle leggi abbia dichiarato l’illegittimità dell’art. 18,
comma 1, lett. r) cit., nella parte in cui non prevedeva «il rifiuto alla consegna anche
del cittadino di un altro Paese membro dell’Unione europea, che legittimamente ed
effettivamente avesse residenza o dimora nel territorio italiano, ai fini dell’esecuzione
della pena detentiva in Italia conformemente al diritto interno».

1

il reato di truffa commesso in Portorose (SLO), nel giugno del 2011 (art. 211, par. I e

Il difensore del consegnando sottolinea l’esistenza in capo al Simonovich di plurimi
indici diretti a radicare la legittima ed effettiva residenza o dimora del condannato in
territorio italiano.
Deduce l’istante come sia pienamente soddisfatta l’ipotesi di cui all’art. 18, comma
1, lett. r) I. cit., anche per richiamo alle nozioni di residenza e dimora adottate dalla
Corte di giustizia delle Comunità Europee e fatta propria dal Giudice delle leggi per
l’indicata sentenza.

territorio italiano prima di ogni diversa convenzionale qualifica intervenuta per la stipula
dei Trattati di Parigi del 1947 e di Osimo del 1975; ha frequentato le scuole dell’obbligo
in Italia; ha sposato in prime nozze una donna italiana, da cui ha avuto due figli aventi
cittadinanza italiana; si è trasferito stabilmente in Italia dall’estate del 2013 senza fare
più ritorno, da allora, in Slovenia, come attestato da dichiarazioni di familiari e
conoscenti, allegate al procedimento tenutosi dinanzi alla Corte di appello di Trieste.
La ricorrente difesa richiama anche, nel dedotto radicamento del Simonovich nello
Stato di esecuzione, l’esigenza che, per l’adottanda decisione si pervenga, attraverso
l’espiazione della pena, ad una risocializzazione del condannato, nel rispetto delle
finalità proprie del sistema di cooperazione giudiziaria in materia penale.
Deduce ancora la parte come il rifiuto alla consegna debba risultare comunque
rispettoso del divieto di discriminazione in base alla nazionalità, di cui all’art. 18 TFUE.

2. Con il secondo motivo di ricorso la difesa del consegnando, prospettando
questione pregiudiziale, lamenta l’inosservanza da parte della Corte di appello di Trieste
dell’art. 3 cod. proc. pen., per la mancata sospensione del processo in attesa
dell’accertamento dei requisiti finalizzati all’ottenimento da parte del Simonovich della
cittadinanza italiana, perduta in seguito agli Accordi di Osimo in favore di quella
jugoslava, poi slovena.

Rappresenta la difesa l< la volontà del Simonovch di avanzare richiesta di riconoscimento della cittadinanza italiana, giusta legge n. 124 del 2006, che, senza limiti di tempo, prevede l'esercizio del diritto di opzione alla cittadinanza italiana per gli ex cittadini, ed i loro discendenti - residenti sino al 1977 nella "zona B" del Territorio Libero di Trieste - ai sensi dei Trattati di Parigi e di Osimo, rispettivamente del 10.02.1947, reso esecutivo in Italia il 28.11.1947, e del 10.11.1975. In data 25 novembre 2015, per l'udienza da tenersi il successivo 26 novembre, è pervenuta a questa Corte con la richiesta avanzata dal difensore del Simonovich di nomina, d'ufficio, di un sostituto processuale per l'udienza, un' attestazione del Comune di Trieste di avvio del procedimento amministrativo diretto all'ottenimento della 2 Il Sirnonovich infatti: è nato nel 1939 da genitori italiani a Pirano, e quindi in residenza da parte del Simonovich e certificato di attribuzione del codice fiscale da parte dell'Agenzia delle entrate. RITENUTO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato per entrambi i motivi di illegittimità fatti valere dinanzi a questa Corte. Come congruamente ritenuto dalla Corte di appello di Trieste non vi sono invero ragioni per riconoscere in capo al condannato Simonovich l'esistenza di una "residenza effettiva" in Italia nel significato declinato dalla Corte costituzionale con la sentenza additiva n. 227 del 2010, ispirata ai principi espressi dai Giudici di Lussemburgo (causa C66/08, Kozlowski del 17.07.2008, tra le altre). Secondo motivazione spesa dai Giudici di merito, il Simonovich durante l' esame reso in sede di arresto (art. 13 I. n. 69 del 2005) ha dichiarato di risiedere in Slovenia, così confermando l'inesistenza di una residenza effettiva in Italia, diretta ad esprimere un radicamento del soggetto nel territorio italiano, tale da meritare conservazione ed adeguata tutela, anche in attuazione di quell' esigenza di socializzazione del condannato voluta dall'intervento della Corte costituzionale. Ogni documentazione versata sul punto, avente ad oggetto dichiarazioni rese da familiari e conoscenti e prima ancora ogni motivo articolato, risulta non essersi tradotto in specifiche deduzioni dinanzi alla Corte di appello, per quella stretta fase del procedimento diretto all'accertamento delle condizioni per la consegna dell'estradando. Le dichiarazioni di parenti e conoscenti, insieme ai relativi motivi, risultano invero versate in atti in relazione alla sola fase incidentale di adozione della misura cautelare. Il motivo riveste quindi per gli indicati profili finanche contenuti di inammissibilità da leggersi ai sensi dell'art. 609 cod. proc. pen., che trova applicazione anche al ricorso per cassazione di cui all'art. 22 legge n. 69 del 2005. Per le indicate modalità il motivo è stato infatti portato dinanzi a questa Corte senza che della cognizione dello stesso, per le allegazioni introdotte nei segnati termini, sia stata preventivamente e debitamente investita la Corte territoriale (Sez. 6, n. 24540 del 04/06/2015, Antov). 1.2. In ogni caso, resta ferma la motivazione espressa dalla Corte territoriale sulla mancanza di residenza, motivazione sintetica, ma congrua, rispetto alle deduzioni di parte, ed espressiva dei principi fatti propri da questa Corte. In tema di mandato di arresto europeo infatti per la nozione di "residenza", che viene in considerazione in applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla legge 22 aprile 2005, n. 69, assumono rilievo gli elementi di fatto utili ad attestare l'esistenza di un 3 1.1. Sul primo motivo. radicamento territoriale stabile e non estemporaneo nello Stato, radicamento che, come tale, non contraddica alle finalità di reinserimento sociale e lavorativo della persona. Come questa Corte ha affermato, il necessario radicamento territoriale rinviene infatti la propria fonte in una pluralità e concorrenza di indici sistematici, tra i quali la legalità della presenza del condannato in Italia, requisito da leggersi anche per la distanza temporale tra detta presenza e la commissione del reato e la condanna conseguita all'estero, e, ancora, la fissazione in Italia degli interessi anche lavorativi del consegnando Le circostanze dedotte dal ricorrente, e quindi l' ininterrotta permanenza su territorio italiano dalla seconda metà dell'anno 2013 segnata da villeggiature in montagna e stazionamenti, con il camper concessogli in comodato dalla ex moglie, presso il parcheggio di un centro commerciale in Trieste - permanenza inframmezzata da periodi trascorsi nell'appartamento dei figli di cittadinanza italiana e con la sorella, a Genova -, non valgono a dar conto di un tessuto di contatti ed abitudini su cui costruire l'abituale dimora del soggetto e, per la stessa, il luogo di inserimento lavorativo e sociale dello stesso. Resta così confermata l'affermazione riportata dalla Corte di appello sul difetto di una residenza stabile in Italia del condannato. 1.4. Intempestivo ed irrilevante risulta quindi quanto dedotto dal difensore del Simonovich per istanza fatta pervenire a questa Corte il 25.11.2015, in relazione all'udienza del 26.11.2015, laddove viene rappresentato l'intervenuto avvio, su richiesta del Simonovich, in data 19.11.2015, del procedimento di riconoscimento della residenza anagrafica in Italia, presso la località in cui il primo si trova ristretto in regime di arresti domiciliari, e, ancora, l'intervenuta attribuzione allo stesso del codice fiscale. 2. Quanto poi alla prospettata questione pregiudiziale (art. 3 cod. proc. pen.), oggetto del secondo motivo di ricorso, che si vorrebbe esistente tra il presente giudizio ed il procedimento, sullo stato, diretto al conseguimento della cittadinanza italiana da avviarsi da parte del condannato, rileva questa Corte come nella neppure dedotta pendenza di un siffatto procedimento, come segnato dalle previsioni della legge n. 124 del 2006 (contenente "Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, concernenti il riconoscimento della cittadinanza italiana ai connazionali di Istria, di Fiume e della Dalmazia e ai loro discendenti"), la prima risulti come inammissibilmente e, comunque, infondatamente posta. 3. Il ricorso va pertanto rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, I. n. 69 del 2005. 4 (Sez. 6, n. 50386 del 25/11/2014, Batanas; Id., n. 9767 del 26/02/2014, Echim). P•Q•M• Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, I. n. 69 del 2005. Così deciso in Roma, il 26 novembre 2015 Il Presidente Il Consigliere estensore

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