Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47525 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 47525 Anno 2013
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da Farineili Sergio, nato il giorno 29 dicembre
1961, avverso la sentenza 29 novembre 2012 della Corte di appello di Ancona,
che ha confermato la sentenza 8 febbraio 2011 del Tribunale monocratico di
Ancona, di condanna per il delitto ex art. 372 cod. pen.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale,
Pratola Gianluigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Farinelli Sergio è stato condannato, con sentenza 8 febbraio 2011 del
Tribunale di Ancona, in quanto accusato del reato ex art. 372 c.p. perché,
chiamato a deporre quale testimone nel processo del lavoro N. 311/06, promosso
da Mattioni Bruno contro la Utonnotive Products s.p.a., per la reintegra nel posto

Data Udienza: 13/11/2013

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di lavoro, a seguito di licenziamento illegittimo, affermava il falso, negava il vero e
taceva in tutto o in parte i fatti a sua conoscenza sui quali veniva interrogato. In
particolare egli dichiarava, in merito ad una lite fra Mattioni e Contadini, di non
aver sentito ‘frasi pesanti”, aggiungendo poi, in relazione ad una dichiarazione,
avente ad oggetto il medesimo episodio, e da lui sottoscritta in data 15.2.2005 –

firmata senza leggerla e in un ambiente che “non era tranquillo”. In Ancona, data
dell’udienza, il 18.1.2007.
2. La Corte di appello con la gravata sentenza, a conferma delle statuizioni
del primo giudice, ha considerato:
a) che il MATTIONI non era stato ancora licenziato quando il FARINELLI ha
sottoscritto la dichiarazione del 15.02.2005, per cui non è stato “vittima” di una
cena predisposta per far leva sulla sua coscienza sindacale per il fatto “che il
Mattioni era stato licenziato, che teneva famiglia ecc.” fattori questi che
evidentemente hanno indotto il Farinelli ad “aiutare” il suo compagno Mattioni,
firmando una compiacente dichiarazione in suo favore”;
b) che invece, verosimilmente, il MATTIONI, abituato ad avere a che fare
con il SEGNAN (al quale, non a caso, si è rivolto), non si fidava (e con il senno del
poi, a ragion veduta) del “nuovo” sindacalista FARINELLI (subentrato al SEGNAN),
temendo (come accaduto) che potesse ritrattare (ed il riferimento fatto dal
difensore della Parte Civile al figlio del FARINELLI, assunto presso la stessa ditta
nell’estate 2006 appare una circostanza di evidente rilievo): da qui l’esigenza di
fargli sottoscrivere una dichiarazione, di fargliela leggere e di fargliela firmare alla
presenza di testimoni, tra cui CHIAPPINI LUISA (della cui attendibilità non si ha
motivo alcuno di dubitare);
c) che, quanto al CONTADINI ed al CARBINI, il primo (essendo stato
querelato per l’episodio del 10.02.2005), difficilmente avrebbe mai potuto
ammettere di aver urlato e di avere offeso il MATTIONI (sarebbe stata una
“confessione” impensabile da ottenere); il secondo, essendo ancora dipendente
della società, ha creduto bene di non rendere dichiarazioni che ne mettessero a
rischio il posto di lavoro;

nella quale affermava di aver udito minacce ingiurie ai danni del Mattioni- di averla

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d) che il fatto che il 10 febbraio 2005 vi sia stata un’accesa discussione è lo
stesso FARINELLI ad averlo (nonostante la ritrattazione) inconsapevolmente
ammesso, quando, sentito dai Carabinieri il 21.05.2005, aveva evidenziato che il
CONTADINI era visibilmente arrabbiato in volto e con modi di fare decisamente
bruschi, sottolineando di aver cercato di riportare i due soggetti alla calma e che il

notato neanche questo, limitandosi a dire che il CONTADINI era un po’ arrabbiato,
senza notare null’ altro;
e) che il primo giudice non ha errato quando, a proposito dell’affermazione
del FARINELLI che “l’ambiente non era tranquillo”, lo ha riferito al contesto
lavorativo e non al momento della sottoscrizione della dichiarazione: la cena, a
detta anche della CHIAPPINI, si svolgeva in modo tranquillo (fallendo, peraltro,
anche il tentativo del difensore del prevenuto di sostenere che il FARINELLI si fosse
ubriacato e, quindi, non comprendeva cosa stava firmando);
f)

che, infine, in relazione alla “irrilevanza” della testimonianza del

FARINELLI nel processo civile in cui è stata resa, oltre a quanto condivisibilmente
già sottolineato sul punto dal primo giudice, l’episodio del 10.02.2005 era per il
MATTIONI importante, poiché le ingiurie del CONTADINI erano da ricollegare al
rifiuto opposto dal dipendente allo svolgere lavori che lo stato di salute non gli
consentivano e, nel processo pendente davanti al giudice del lavoro, oltre al
licenziamento si faceva valere anche una domanda risarcitoria per lesioni
causalmente connesse all’attività lavorativa;
g) che ai fini della integrazione della fattispecie di cui all’art. 372 c.p., che è
reato di pericolo, ciò che importa è che il testimone affermi il falso o neghi il vero
sui fatti sui quali esaminato, che per definizione hanno una potenziale incidenza
sull’esito del processo, non richiedendosi di accertare il reale grado di influenza che
la deposizione falsa ha esercitato in concreto nel procedimento nel quale essa è
stata resa (cfr. Cass. Sez. 6, sentenza n. 26559/2008, Rv. 240690);
h) che/ nel caso in esame, è stato peraltro lo stesso giudice del lavoro a
ritenere necessaria l’audizione del FARINELLI nonché della CHIAPPINI, avendo la
controparte tacciato di falsa testimonianza il SEGNAN (che, a sua volta, sporgendo

CONTADINI gli diceva “comunque non finisce qui’: stranamente il CARBINI non ha

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una denuncia-querela ha dato inizio alle indagini) per cui la rilevanza sembra sia in
re ipsa.
Da ciò la conferma integrale della decisione di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con un primo motivo di impugnazione la difesa del Farinelli lamenta a

ordine alla mancata acquisizione in appello, prima della discussione, dei seguenti
quattro documenti: Sentenza n. 175/11 del 19.09.11 del Giudice del Lavoro del
Tribunale di Ancona; Certificato di non impugnazione di detta sentenza; Decreto di
rinvio a giudizio del GIP del Tribunale di Ancona del sig. Mattioni Bruno più altri,
per il reato di cui all’art.372 cp; Verbale di udienza del Tribunale penale di Ancona
del 14.12.12 relativo al giudizio di cui al precedente punto.
2. La Corte di Appello non ammetteva la produzione in quanto ritenuta
irrilevante.
3. Per il ricorrente, da tali documenti sarebbe emerso che la parte civile,
Mattioni aveva affermato il falso in una testimonianza nel giudizio dinnanzi al
Giudice del Lavoro, per favorire l’amico Segnan, lo stesso che aveva proposto la
denuncia contro il Farinelli per cui è causa.
L’ammissione della prova avrebbe influito certamente sulla credibilità della
parte civile, ritenuta più attendibile di altri testi, presenti al fatto che l’imputato
avrebbe falsamente rappresentato.
4. Il primo motivo è inammissibile.
Questa Corte ha più volte ribadito che “prova decisiva”, la cui mancata
assunzione è deducibile come motivo di ricorso per cassazione, è soltanto quella
prova che, non assunta oppure non valutata, è in grado per la sua consistenza ed
incisività ad invalidare la sentenza, intaccandone la struttura portante (cass. pen.
sezione. 6, u.p. 12 maggio 2011,_Cananzi ed altri; cass. pen. sez. 3, 27581/2010
Rv. 248105 Massime precedenti Conformi: N. 16354 del 2006 Rv. 234752, N.
14916 del 2010 Rv. 246667).
La valutazione di siffatta decisività, che consegue ad un giudizio di merito,
nel quadro delle complessive emergenze processuali, deve quindi essere compiuta
accertando se i fatti, indicati dal ricorrente nella relativa richiesta, siano tali da

sensi dell’art. 606.1 lettera d) C.P.P. la mancata assunzione di prova decisiva, in

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potere inficiare tutte le argomentazioni poste a fondamento del convincimento del
Giudice (cfr. Cass. Sez. 1, 12584/1994 r.v. 200073) e risulta pertanto priva di
fondamento la censura che denunzi il rigetto, sul punto, della istanza difensiva, se
tale rigetto, come nella specie, risulta sorretto da argomentazioni logiche, idonee
a dimostrare che le cosiddette controprove, dedotte dalla parte, non possono

248105; sez.II, 16354/2006, rv.234752).
Sul punto la decisione dei giudici di merito esprime infatti un motivato e
ragionevole giudizio di non decisività che, per come coerentemente espresso, si
sottrae a censure in questa sede.
5. Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge con riferimento
all’art. 372 c.p., non essendosi considerato che la falsa testimonianza, in quanto
reato di pericolo concreto, non era, nel caso specifico, configurabile, considerato
che l’oggetto della stessa non aveva alcuna pertinenza con i fatti.

Per il ricorrente invero, il fatto che il Farinelli abbia o meno sentito improperi
ed ingiurie del Contadini nei confronti del Mattioni sarebbe del tutto irrilevante,
perché se il fatto da provare era che al Mattioni venisse chiesta una attività che
poteva causare danni fisici, su questo il Farinelli ha risposto correttamente.
6. La censura non ha fondamento.
E’ ben vero che la ratio dell’incriminazione della falsa testimonianza risiede
nell’esigenza di garantire, attraverso la veridicità e completezza delle dichiarazioni
dei testimoni, il corretto funzionamento dell’attività giudiziaria, impedendo che la
stessa possa essere fuorviata o condizionata da assunti testimoniali falsi o reticenti
(6 febbraio 2013 D’Auria), tuttavia, tale evenienza di pericolo è integrata
ogniqualvolta, come nella specie, il mendacio non risulti del tutto estraneo alla
materia oggetto dell’accertamento giudiziale, senza distinzione tra circostanze
importanti e circostanze secondarie e sia tale comunque da trarre in inganno il
giudice, irrilevante restando il fatto che poi il giudice abbia tratto da altre fonti di
prova il suo convincimento ((cass. pen. sez. 6, u.p. 4 ottobre 2011 Rausa).
Come di recente chiarito da questa stessa sezione Spfr. ), ai fini della
configurabilità del delitto di falsa testimonianza, la valutazione sulla pertinenza –

modificare il peso delle prove di accusa (cfr. Cass. pen. Sez. 3, 27581/2010 Rv.

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intesa come riferibilità o afferenza dell’oggetto della testimonianza ai fatti che il
processo è destinato ad accertare- e sulla rilevanza della deposizione -che
riguarda l’efficacia probatoria dei fatti dichiarati- va effettuata con riferimento alla
situazione processuale esistente al momento in cui il reato è consumato, ossia “ex
ante” e non “ex post”.
assumevano un preciso ruolo nella verifica della dinamica dei fatti e della
successione degli eventi, nei termini ragionevolmente spiegati dalla Corte di
appello e dianzi ripresi al §. 2 nei punti sub “f”, “g” ed “h”.
Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del
provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la tenuta logica e
coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il giorno 13 novembre 2013
consigliere estensore

E, nella specie, in quel contesto temporale, le dichiarazioni del ricorrente

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