Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47505 del 14/11/2013
Penale Sent. Sez. 3 Num. 47505 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AA
BB
avverso l’ordinanza n. 9/2013 TRIB. LIBERTA’ di RIMINI, del
12/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSIO SCARCELLA;
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—lette/sentite le conclusioni del PG Dott. E ,
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Uditi difensor Avv.;
Data Udienza: 14/11/2013
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 12/02/2013, depositata in data 14/02/2013, il Tribunale del
riesame di RIMINI, decidendo sulla richiesta di riesame promossa dagli odierni
ricorrenti, confermava parzialmente il decreto di sequestro preventivo
17/12/2012, con cui il GIP del medesimo Tribunale applicava nei confronti
contestuale sequestro preventivo per il reato associativo con carattere di
transnazionalità, oltre ai reati fine di emissione di fatture per operazioni
soggettivamente inesistenti (artt. 2, 5, 8 e 10 D. Lgs. n. 74/2000) nonché di
reati di falso contestati a BB il quale, in concorso con altri coindagati, si
sarebbe avvalso delle fatture per operazioni inesistenti al fine di evadere VIVA,
indicando nelle dichiarazioni 2007/2008/2009 e 2010 elementi passivi fittizi, così
da lucrare l’indebito credito IVA. Il 17/01/2013, veniva comunicato all’attuale
ricorrente AA, compagna del BB (non indagata), che il sequestro
preventivo andava a colpire un immobile di proprietà esclusiva di quest’ultima,
nonché due conti correnti intestati alla medesima presso l’UBI BANCA, numerose
apparecchiature elettroniche, schede telefoniche, documenti cartacei, assegni,
cambiali e, in particolare, sei anelli in oro bianco e pietre preziose, un paio di
orecchini in oro bianco a cerchio, un paio di orecchini in oro giallo a cerchio, un
bracciale in oro giallo con pendenti, un bracciale a catena in oro giallo e una
pelliccia di visone.
2. Il tribunale del riesame di RIMINI, in parziale accoglimento dell’istanza
difensiva, accoglieva parzialmente le richieste degli attuali ricorrenti, statuendo
l’illegittimità del sequestro dell’immobile di proprietà dell’indagata AA e
rigettando invece la richiesta di dissequestro e restituzione degli altri beni
(gioielli e pelliccia).
3. Ha proposto tempestivo ricorso il difensore fiduciario – procuratore speciale
cassazionista, impugnando la suddetta ordinanza e deducendo due motivi di
ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione
ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con un primo motivo, deduce erronea applicazione e/o violazione della
legge processuale (art. 324, comma 7, in relazione all’art. 309, commi 5/10,
c.p.p.). In particolare, denuncia la difesa l’erronea applicazione dell’art. 309
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dell’indagato BB la misura custodiale detentiva carceraria nonché il
c.p.p. in ordine alla nota querelle sulla natura ordinatoria e/o perentoria del
termine di trasmissione degli atti al tribunale riesame. Tale eccezione, si precisa
in ricorso, era stata dedotta oralmente all’udienza camerale davanti al tribunale
del riesame di Rimini, facendosi rilevare che la trasmissione degli atti da parte
della Procura intervenne al settimo giorno (4 febbraio 2013) rispetto alla data di
richiesta da parte della cancelleria del tribunale del riesame (27 gennaio 2013),
quindi ben oltre il termine del “giorno successivo e comunque non oltre il quinto
comma 7, c.p.p.
3.2. Con un secondo motivo, deduce l’illogicità, il difetto e/o la mancanza della
motivazione; in particolare, rileva la difesa che il sequestro preventivo eseguito il
16 gennaio 2013 avente ad oggetto anche i gioielli e la pelliccia di visone bianco
della AA sia illegittimo ed erroneo, in quanto si tratta di beni di esclusiva
proprietà della ricorrente, parte dei quali costituiscono semplici regalie ricevute
nel corso degli anni. Più specificamente, la difesa censura il punto della
motivazione dell’ordinanza impugnata in cui si adduce ad una presunta
incongruenza dello specifico gravame, in quanto il sequestro apparterrebbe ad
un’altra e distinta misura cautelare. Diversamente, sostiene la difesa dei
ricorrenti, agli atti d’indagine messi a disposizione della difesa e del tribunale non
è rintracciabile alcuna ulteriore misura cautelare reale cui fare riferimento, donde
l’assoluta illogicità ed illegittimità di tale ordinanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Ritiene il Collegio, anzitutto, di dover dichiarare inammissibile il ricorso
proposto dall’indagato BB perché proposto da soggetto carente di
legittimazione.
4.1. In materia di misure cautelari reali, soggetti legittimati all’impugnazione
sono il proprietario della cosa, i titolari di un diritto reale di godimento o di
garanzia sul bene sequestrato e anche il soggetto che ne abbia il possesso o la
detenzione qualificati (ad esempio, il conduttore di bene immobile: Sez. 3, n.
26196 del 22/04/2010 – dep. 09/07/2010, Vicidomini, Rv. 247693).
L’impugnazione, infatti, può essere proposta solamente da chi, in caso di
accoglimento, ha diritto alla restituzione del bene. Nella specie, la richiesta
difensiva di cui al ricorso è quella di “cassare nelle forme più idonee l’ordinanza
12 febbraio 2013 emessa dal tribunale ordinario di Rimini, a carico di AA
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giorno” previsto dall’art. 309, commi 5, 9 e 10 c.p.p. cui rimanda l’art. 324,
Catia, come in epigrafe generalizzata, e per l’effetto annullare la stessa, con ogni
conseguente statuizione”. La prospettazione dei ricorrenti presuppone che la
titolarità dei beni (gioielli e pellicce) appartenga a tutti gli effetti alla AA, ed
allora è evidente che BB (che non sarebbe ne’ proprietario, ne’ titolare di
diritti reali, ne’ possessore qualificato) è privo di legittimazione ad agire.
Poiché la legittimazione ad impugnare la misura cautelare reale deve farsi
avendo riguardo alla situazione di fatto e di diritto prospettata dai ricorrenti,
titolarità dei beni di cui si discute – deve essere dichiarato carente di interesse in
relazione ad entrambi i motivi dedotti in ricorso (v., sul tema: Sez. 1, n. 13037
del 18/02/2009 – dep. 25/03/2009, Giorgi, Rv. 243554).
5. Per quanto, invece, concerne il ricorso della AA, terza estranea, non
sussiste alcuna questione di legittimazione, avendo sicuramente la stessa
interesse a sostenere l’esclusiva titolarità dei beni sequestrati nel contesto e,
conseguentemente, a censurare l’illegittimità del provvedimento reiettivo del
tribunale del riesame con cui le è stato negato il dissequestro e la restituzione.
5.1. È, anzitutto, inammissibile per genericità il primo motivo di ricorso, con cui
si deduce la violazione di legge dell’art. 324, comma 7, in relazione all’art. 309,
commi 5-10, cod. proc. pen. Con tale motivo, infatti, la difesa della ricorrente, si
limita a enunciare ragioni ed argomenti già illustrati davanti al tribunale del
riesame, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato.
Ed invero, l’ordinanza impugnata si sofferma analiticamente (pagg. 2 e 3
dell’ordinanza) sulla questione sollevata dalla difesa in ordine alla tardività nella
trasmissione degli atti da parte del P.M., optando per l’orientamento ormai
consolidato secondo cui la perdita di efficacia della misura cautelare reale non ha
luogo in caso di mancata trasmissione degli atti al tribunale del riesame, da
parte dell’autorità procedente, entro il quinto giorno dall’istanza, non essendo
richiamato, nell’art. 324, comma settimo, cod. proc. pen., il comma quinto del
precedente art. 309, che prevede il predetto effetto caducatorio per le misure
cautelari personali (v., per tutte: Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep.
26/06/2008, Ivanov, Rv. 239698). Per tale ragione, inoltre, essendovi ormai un
orientamento consolidato, di recente ribadito dalle Sezioni Unite (Sez. U, n.
26268 del 28/03/2013 – dep. 17/06/2013, Cavalli, Rv. 255581), secondo cui nel
procedimento di riesame del provvedimento di sequestro non è applicabile il
termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale,
previsto dall’art. 309, comma quinto, cod. proc. pen., con conseguente perdita di
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BB- che, per quanto emerge ex actis, assume di essere estraneo alla
efficacia della misura cautelare impugnata in caso di trasmissione tardiva, ma il
diverso termine indicato dall’art. 324, comma terzo, cod. proc. pen., che ha
natura meramente ordinatoria, il motivo di ricorso è comunque inammissibile per
manifesta infondatezza.
5.2. Fondato è, invece, il secondo motivo di ricorso. La difesa ha, in particolare,
dedotto, al di là dell’illogicità della motivazione (vizio, com’è noto, non
aver così il tribunale motivato sulla censura relativa al sequestro dei gioielli e
della pelliccia: “premessa l’inconferenza delle argomentazioni difensive in ordine
al sequestro dei gioielli e della pelliccia di titolarità della AA, in quanto non
oggetto del presente sequestro preventivo, ma evidentemente attinte ad un’altra
e distinta misura cautelare..”.
Secondo quanto prospettato in ricorso,
diversamente, non risulterebbe alcuna ulteriore misura cautelare cui far
riferimento, laddove invece il sequestro venne eseguito dagli agenti di PG a
carico di BB con espresso riferimento all’ordinanza-decreto iniziale.
Nel caso in esame, la parte ha dedotto l’omessa motivazione sul
presupposto che “agli atti d’indagine messi a disposizione della difesa e del
tribunale”, non risulterebbe alcuna misura cautelare reale, ulteriore a quella
emessa dal GIP del Tribunale di Rimini in data 17/12/2012, cui fare riferimento,
asserendo che, invece, risulterebbe pacifico e provato “per tabulas” come il
sequestro in questione venne eseguito materialmente il 16/01/2013 con
espresso riferimento all’ordinanza-decreto iniziale.
Rileva il Collegio come la motivazione fornita dal tribunale del riesame sul
punto specifico concernte la doglianza difensiva, si traduca, in realtà, in un “non
liquet” da parte del giudice del riesame sul punto di censura. Nessuna
motivazione, infatti, viene addotta dal tribunale in ordine al sequestro dei gioielli
e della pelliccia di titolarità della AA né, peraltro, il richiamo all’apparente
inconferenza delle argomentazioni difensive, risulta adeguato a fondare una
motivazione sufficiente rispetto alla censura della ricorrente, posto che, se è vero
che l’ammissibilità dell’atto di impugnazione dipende dal tasso di determinatezza
dei motivi che la sostengono, è altrettanto vero che la valutazione del motivo di
censura deve essere volta ad accertare la chiarezza e specificità dei medesimi in
rapporto ai principi della domanda, della devoluzione e del diritto di difesa dei
contro interessati (v., sul punto: Sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008 – dep.
28/10/2008, Falcioni ed altri, Rv. 241477). Nel caso in esame, il motivo di
censura, pur sinteticamente, ma chiaramente, aveva indicato il presupposto
oggettivo su cui ancorare l’invocata doglianza, ossia la mancanza, agli atti
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deducibile ex art. 325 c.p.p.), il vizio di difetto e/o mancanza di motivazione, per
d’indagine messi a disposizione della difesa e del tribunale, di una diversa misura
cautelare reale, ulteriore a quella emessa dal GIP del Tribunale di Rimini in data
17/12/2012, cui fare riferimento, laddove, invece, risulta effettivamente pacifico
e provato
“per tabulas”
come il sequestro in questione venne eseguito
materialmente il 16/01/2013 con espresso riferimento all’ordinanza-decreto
iniziale.
L’ordinanza impugnata dev’essere, pertanto, annullata con rinvio al
della pelliccia.
6. Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso BB segue, invece, la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento
di una somma alla Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero,
somma che si stima equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di AA, con rinvio al
Tribunale di Rimini.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente BB al
pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 14 novembre 2013
‘ere est.
Il P
dente
giudice del riesame per decidere sulla censura relativa al sequestro dei gioielli e