Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47499 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 47499 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GALEAZZI ANSELMO N. IL 24/01/1961
avverso l’ordinanza n. 21/2013 TRIB. LIBERTA’ di PESARO, del
04/04/2013
senW.a la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
lOté/sentite le conclusioni del PG Dott.
-er.
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 13/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Pesaro, con ordinanza del 4.4.2013 ha rigettato la richiesta
di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le
indagini preliminari e concernente un immobile, apparecchiature e materiali di
pertinenza di Anselmo GALEAZZI il quale, titolare dell’omonima ditta esercente

all’art. 256, comma 1, lett. a) d.lgs. 152\06, per aver effettuato la messa in
riserva (R13) ed il recupero (R5) di rifiuti speciali non pericolosi in assenza di
titolo abilitativo, in quanto la relativa iscrizione al registro delle imprese che
effettuano il recupero di rifiuti speciali non pericolosi risultava annullata
dall’Amministrazione Provinciale di Pesaro Urbino con determinazione dirigenziale
n. 4614 del 23.1.2012.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione del principio generale
del ne bis in idem, rilevando che, per il medesimo fatto, era stato già processato
ed assolto con sentenza 16 aprile 2013 del Tribunale di Pesaro, nel processo
penale avviato a seguito di decreto di citazione in data 29.9.2011 con
imputazioni concernenti la violazione degli artt. 44 d.P.R. 380\01 e 256 d.lgs.
152\06, cosicché la misura cautelare reale non sarebbe applicabile.

3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge,
lamentando che i giudici del riesame non avrebbero considerato le deduzioni
difensive, segnatamente quelle concernenti il lasso di tempo (cinque anni)
trascorso da precedenti segnalazioni e (oltre un anno) dall’annullamento
dell’iscrizione da parte della Provincia di Pesaro, ritenuto illegittimo e rilevando
che, trattandosi di attività che perdura dal 1985, difetterebbe del tutto il
periculum in mora.
Aggiunge che il Tribunale, affermando che l’attività svolta non è compatibile
con la destinazione di zona, non avrebbe considerato che la sua ditta è inserita in
un piano di recupero ambientale in attesa di V.I.A. Senza esaminare lo specifico
rilievo difensivo e, sostenendo la legittimità della cancellazione dell’iscrizione
sulla base della pronuncia del TAR Marche con la quale era stata respinta la
domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione del provvedimento, non
aveva considerato che il giudice amministrativo non si era pronunciato in merito,
limitandosi a richiamare l’esistenza del sequestro penale.

g-

1

attività di demolizione, scavi, trasporti e recupero, è indagato per il reato di cui

4. Il 17.10.2013 ha depositato memoria difensiva a sostegno del ricorso
presentato e, in data 30.10.2013, ha prodotto in cancelleria un provvedimento
(n. 78777 del 22.10.2013) con il quale l’Amministrazione provinciale ha
ripristinato l’iscrizione del registro delle imprese che effettuano il recupero dei
rifiuti non pericolosi.

5. Il ricorso è infondato.
Il ricorrente è indagato per la violazione dell’art. 256, comma 1, lett. a) d.lgs.
152\06, il quale sanziona penalmente chiunque effettui una attività di raccolta,
trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in
mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli
articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216.
I fatti, come emerge dal provvedimento impugnato, risultano accertati in
data 7.3.2013 da personale della polizia giudiziaria in sede di sopralluogo, in
occasione del quale venne direttamente constatato il funzionamento dei
macchinari poi sequestrati e, conseguentemente, l’attività di gestione di rifiuti in
atto, effettuata in assenza di valido titolo abilitativo a seguito del provvedimento
emesso dalla Provincia di Pesaro Urbino in data 3.01.2012, con il quale si
disponeva il divieto di prosecuzione, ai sensi dell’art.261 comma 4 d.lgs. 152/06,
dell’attività di recupero di rifiuti non pericolosi ed il contestuale annullamento
dell’iscrizione della ditta del ricorrente nel Registro Provinciale delle imprese che
operano in regime semplificato ai sensi degli artt. 214 – 216 del medesimo d.lgs.

6. Ciò posto, appare di tutta evidenza che le considerazioni svolte nel primo
motivo di ricorso risultano del tutto infondate, atteso che oggetto della
provvisoria incolpazione che ha dato luogo al sequestro è un’attività collocata in
ambito temporale del tutto diverso rispetto a quella che si assume oggetto di
precedente procedimento penale avviato, per quanto rilevabile dal ricorso
medesimo, con decreto di citazione emesso nel settembre 2011,
antecedentemente al sopralluogo che ha portato al sequestro ed alla emissione
del provvedimento con il quale l’autorità amministrativa aveva revocato il titolo
abilitativo.
Si tratta di elementi fattuali del tutto autonomi e distinti che consentono di
escludere ictu ocu/i ogni significativa corrispondenza tra le violazioni che hanno

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CONSIDERATO IN DIRITTO

indotto all’applicazione della misura cautelare reale e quelle prese in
considerazione nel precedente procedimento penale.

7. Parimenti infondato risulta il secondo motivo di ricorso, poiché i giudici del
riesame hanno compiutamente illustrato la sussistenza dei presupposti per
l’applicazione della misura.
In particolare, il Tribunale ha evidenziato che l’attività, al momento
dell’accertamento, risultava in essere ed era effettuata in assenza di valido titolo,

ed osservando che la libera disponibilità delle cose sequestrate avrebbe
consentito la prosecuzione dell’attività illecita.
Si tratta di considerazioni giuridicamente corrette che forniscono, peraltro,
implicita risposta alle doglianze difensive che il ricorrente assume non
adeguatamente considerate.
Va tale proposito ricordato come la giurisprudenza di questa Corte abbia
affermato che compito del Tribunale del riesame è anche quello di espletare il
proprio ruolo di garanzia non limitando la propria cognizione alla astratta
configurabilità del reato, dovendo invece considerare e valutare tutte le
risultanze processuali in modo coerente e puntuale esaminando,
conseguentemente, non solo le allegazioni probatorie del Pubblico Ministero ma
anche le confutazioni e gli altri elementi offerti dalla difesa degli indagati che
possano influire sulla configurabilità e sussistenza del fumus del reato ipotizzato
(ex pl. Sez. IV n. 15448, 20 aprile 2012; Sez. III n. 27715, 16 luglio 2010; Sez. III
n. 26197, 9 luglio 2010; Sez. III n. 18532, 17 maggio 2010, con ampi richiami ai
precedenti).
Si tratta di argomentazioni che il Collegio condivide e che chiariscono
esattamente come il sindacato del Tribunale del riesame, lungi dall’estendersi ad
ogni questione prospettata dall’indagato, resta comunque vincolato entro limiti
ben precisi, rappresentati dalla effettiva influenza della questione dedotta sulla
fondatezza del

fumus del reato.

Il principio di diritto è stato successivamente riaffermato (Sez. III n. 13038,
21 marzo 2013; Sez. III n. 19331, 17 maggio 2011; Sez. III n. 7242, 25 febbraio
2011), con l’ulteriore precisazione che la valutazione richiesta al Tribunale del
riesame non può ritenersi dovuta in presenza di qualsiasi allegazione difensiva
che si risolva in una mera negazione degli addebiti o in una diversa lettura degli
elementi acquisiti, ma solo quando la rilevanza dell’apporto della difesa sia di
immediata evidenza ed oggettivamente determinante in relazione al “fumus

commissi delicti”.

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rilevando dunque del tutto pacifica la sussistenza del fumus del reato ipotizzato

8. Ciò posto, deve osservarsi che, nel provvedimento impugnato, le
considerazioni circa l’attualità della condotta illecita chiariscono perfettamente le
ragioni per le quali essa doveva essere interrotta mediante l’applicazione della
misura cautelare reale, mentre doveva ritenersi del tutto inconferente, una
possibile, futura compatibilità dell’attività con la destinazione urbanistica di zona,
non soltanto perché l’assenza del titolo abilitativo previsto dalla disciplina dei
rifiuti non avrebbe comunque consentito il lecito svolgimento delle attività di
gestione neppure in un’area all’uopo destinata conformemente alla normativa

amministrativo relativo al progetto di riqualificazione ambientale menzionato in
ricorso non risulta ancora completato, come riconosce lo stesso ricorrente
quando afferma che non è stata ancora effettuata la prevista valutazione di
impatto ambientale (V.I.A.).

9. Parimenti corrette appaiono le considerazioni in ordine all’impugnazione
innanzi al giudice amministrativo del provvedimento di revoca dell’iscrizione
emesso dall’amministrazione provinciale, avendo il Tribunale, nell’ambito della
limitata cognizione concessagli e concernente la verifica delle condizioni di
legittimità della misura cautelare, opportunamente escluso ogni palese vizio
della determinazione dirigenziale, considerando anche gli esiti della richiesta di
sospensiva avanzata al giudice amministrativo e non essendogli demandata
ulteriore attività in tal senso.
Il Tribunale, ricordando di doversi limitare al controllo di compatibilità tra la
fattispecie concreta e quella legale, si è anche fatto carico di considerare la
giurisprudenza di questa Corte in tema di rapporti tra attività di gestione dei
rifiuti e decisioni del giudice amministrativo, la quale, peraltro, riguardava un
caso di adozione, da parte dell’autorità competente, di un provvedimento di
decadenza del titolo abilitante alla gestione, i cui effetti erano stati sospesi dal
Tribunale amministrativo regionale in sede cautelare – contrariamente, dunque, a
quanto verificatosi nella fattispecie – e rispetto al quale era stata riconosciuta la
legittimità della prosecuzione dell’attività svolta dopo l’emanazione dell’atto
impugnato, in quanto l’ordinanza cautelare del giudice amministrativo,
comportando il mantenimento della validità dell’iscrizione sino all’esito del
giudizio di merito, determinava il venir meno del presupposto del reato (Sez. III n.
6117, 7 febbraio 2008)
Ne consegue che l’ordinanza impugnata risulta del tutto immune da censure
e può superare agevolmente il vaglio di legittimità cui è stata sottoposta.

10. Resta da aggiungere che il provvedimento amministrativo depositato con

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urbanistica o ad altre disposizioni di legge, ma anche perché il procedimento

memoria e del quale si è detto in premessa non può essere preso in
considerazione in questa sede di legittimità e potrà eventualmente essere
utilizzato in sede di richiesta di revoca della misura al giudice di merito
competente.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente la pagamento delle spese del
procedimento.
Così deciso in data 13.11.2013

indicate in dispositivo.

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