Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47484 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 47484 Anno 2013
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
PEDRON Emanuela, nata a Besano in Brianza il 15/4/1970
avverso la sentenza del 9/1/2013 del Tribunale di Monza, che ha applicato ai
sensi dell’art.444 cod. proc. pen. alla sig.ra Pedron la pena di due anni, undici
mesi e venti giorni di reclusione e ha disposto la confisca del libretto di deposito
in sequestro, in relazione al reato previsto dagli artt.110 e 81 cod. pen., 416
cod. pen. e 2, 4 e 10 del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74 contestato con riferimento
al periodo che va dall’anno 2006 all’anno 2010;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale, Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 9/1/2013 il Tribunale di Monza ha applicato ai sensi
dell’art.444 cod. proc. pen. alla sig.ra Pedron la pena di due anni, undici mesi e
venti giorni di reclusione e ha disposto la confisca del libretto di deposito in
sequestro, in relazione al reato previsto dagli artt.110 e 81 cod. pen., 416 cod.

Data Udienza: 24/10/2013

pen. e 2, 4, 5, 10 e 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74 contestato con
riferimento al periodo che va dall’anno 2006 all’anno 2010.
2. Avverso tale decisione la sig.ra Pedron propone ricorso in sintesi
lamentando:
a.

Omessa diminuzione della pena a seguito del riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche;

b.

Errata applicazione degli aumenti ex art.81 cod. pen.

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Si osserva, in primo luogo, che la concessione delle circostanze attenuanti
generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti contestate non si
pone in alcun modo in contrasto né con la pena base fissata per il capo A,
determinata in tre anni di reclusione e quindi all’interno dei limiti fissati
dall’art.416 cod. pen. per l’ipotesi non aggravata di partecipazione
all’associazione, né coi singoli aumenti di pena, tutti compatibili con la
valutazione del giudicante e corrispondenti alla richiesta avanzata dalle parti
(cfr. pag.69 del fascicolo processuale).
3. Si osserva, poi, che la censura prospettata con riferimento agli aumenti di
pena ex art.81 cod. pen. avanza questioni attinenti il merito della decisione
(diversa valutazione della continuazione interna ed esterna in relazione alla
pluralità di soggetti giuridici) che esula dai limiti di impugnazione della sentenza
di applicazione della pena ex art.444 cod. proc. pen.
E, infatti, le parti che hanno sottoscritto e proposto l’accordo
sull’applicazione della pena accolto dal giudice non sono legittimate a mettere in
discussione con successiva impugnazione i presupposti dell’accordo medesimo
(principio costantemente affermato fin dalla sentenza della Sez.1, n.1549 del
1995, Sinfisi, rv 201160), con la conseguenza che il controllo di legittimità in
ordine alla sentenza di applicazione della pena può avere ad oggetto la
motivazione soltanto nel caso che dal provvedimento emerga l’evidenza
dell’esistenza di una violazione della legge o l’applicazione di una pena illegale
(per tutte, sentenza della Sez.3, Sezione n.2309 del 1999, Bonacchi, rv
215071).
4. Per quanto sopra esposto, invece, la sentenza impugnata non presenta
vizi riconducibili a quelli ora ricordati e la determinazione della pena risulta
conforme a quanto prospettato dalle parti (cfr. f.69), così che il ricorso deve
essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi
dell’art.616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto
2

CONSIDERATO IN DIRITTO

della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186, e
considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato
senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si
dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro
1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché al versamento della somma di Euro 1.500,00 alla

delle ammende.

Così deciso il 24/10/2013

Cassa

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