Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47453 del 30/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 47453 Anno 2013
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BARBARISI MAURIZIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) Capellato Emanuel

n. 1’8 agosto 1975

2) Panarisi Leonardo

n. il 14 agosto 1957

avverso
la sentenza 6 giugno 2012 — Corte di Assise di Appello di Milano;
sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Maurizio Barbarísi;
udite le conclusioni del rappresentante del Pubblico Ministero, in persona del dr. Lu-

igi Riello, sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che ha chiesto il
rigetto dei ricorsi con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali;
udito il difensore avv. Andrea Righi, il quale, per Capellato Emanuel, ha concluso
per l’accoglimento dei motivi di gravame.
uditi i difensori avv. Renato Papa e l’Avv. Domenico Battista il quale, per Panarisi

Leonardo, ha concluso per l’accoglimento dei motivi di gravame.

Data Udienza: 30/10/2013

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

Svolgimento del processo
1. — Con sentenza deliberata in data 6 giugno 2012, depositata in cancelleria il
16 luglio 2012, la Corte di Assise di Appello di Milano, confermava la sentenza 15
dicembre 2010 della Corte di Assise di Como che aveva dichiarato Capellato Emanuel e Panarisi Leonardo responsabili dei reati di omicidio volontario, rapina e altro
condannandoli, ciascuno, alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per tre me-

1.1. — Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, Capellato Emanuel e Panarisi Leonardo, nel pomeriggio del 9 ottobre 2009, allo scopo di
rapina, uccidevano con due colpi d’arma da fuoco, all’interno dell’abitazione del Capellato, Di Giacomo Antonio e, dopo essersi impossessati dei soldi e di orologi contraffatti della vittima, provvedevano a nasconderne il cadavere, dopo un primo vano tentativo di metterlo in un tombino, all’interno di un armadio di plastica, acquistato da entrambi, che riponevano poi nel furgone del medesimo Di Giacomo che
quindi abbandonavano.
1.2. — Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del
giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito:
2

— nel fatto che il Panarisi facesse da tempo continue pressioni nei confronti del
Capellato affinché gli procurasse affari o beni di ogni tipo anche di natura illecita al
fine di ottenere una sorta di risarcimento per il lungo periodo di carcerazione sofferto, a suo dire, a causa del Capellato, pressioni cui quest’ultimo non si sottraeva;
— nel fatto che il Di Giacomo era stato individuato dal Capellato come soggetto
che avrebbe potuto concludere da ultimo un affare riguardante un orologio di ingente valore, circostanza questa di cui il Panarisi era stato messo al corrente tanto
che il Capellato, incontrato il giorno dell’omicidio la vittima, informava continuamente a mezzo telefono il sodale circa i progressi della vicenda; proprio in forza di
tale preventiva intesa il Panarisi, successivamente, raggiungeva il Capellato presso
la sua abitazione, ove poi il Di Giacomo veniva ucciso e rapinato, giuste le tracce di
sangue riconducibili al Di Giacomo rinvenute presso quella stessa abitazione e a
é
quelle tripartite di piombo, antimonio e bario indicative dell’esplosione di colpit
d’arma da fuoco;
— nel fatto che gli imputati, dopo l’omicidio, avessero frugato nel furgone della
vittima alla ricerca di altra refurtiva e, in accordo tra loro, si fossero recati ad acquistare tutto il materiale necessario ed occorrente per ripulire il luogo ove era av-

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si, oltre al pagamento delle spese processuali del giudizio.

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venuto il fatto di sangue e occultare il cadavere che, dopo averlo trasportato per il
centro di Como, 12 riponevano in un armadio di plastica all’interno del furgone del
Di Giacomo;
– nella circostanza, infine, che nei giorni successivi all’omicidio, gli imputati avevano rapporti ordinari di frequentazione non dettati da alcuna tensione o acrimonia.

– che parti di arma di una pistola del tipo di quella con cui era stato ucciso il Di
io
n
Giacomo fosse stati rinvenuta, presso il bar Breva ove il Capellato lavorava;
– che presso l’abitazione del Panarisi fosse stata trovata una fondina vuota che
avrebbe potuto contenere la pistola in questione, il che comprovava che l’imputato
fosse stato nella disponibilità di un’arma poi andata dispersa e che la pistola usata
per l’omicidio fosse stata smontata e una parte essenziale occultata.
Del resto, seguitava la Corte di merito, gli imputati avevano reso versioni dei
fatti tra loro antitetiche oltre che illogiche e inattendibili (il Capellato affermava che
era stato il Panarisi a uccidere il Di Giacomo, giunto non invitato presso la sua abitazione; il Panarisi che era stato il Capellato a uccidere il Di Giacomo in sua precaria assenza, salvo poi coinvolgerlo a cose fatte nell’occultamento del cadavere),ver-

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sioni che erano state fornite (il Capellato ne aveva dato addirittura quattro di cui la
terza in atto di gravame di appello) onde raggiungere l’unico scopo di allontanare
da sé ogni responsabilità o di creare una situazione di stallo nelle indagini.
2. — Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore

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-.. hXterposto tempestivo ricorso per cassazione Capellato Emanuel e Panarisi
Leonardo chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.
In particolare dal ricorrente Capellato, con ricorso redatto a ministero dell’avv.
Andrea Righi, sono stati sviluppati dieci motivi di gravame:
a) con la prima doglianza veniva rilevata la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma primo lett. e) cod.
proc. pen. con riferimento all’attribuzione della penale responsabilità per omicidio al
ricorrente avendo il giudice trasformato l’oggetto da provare nella premessa del ragionamento probatorio avvalendosi peraltro di una congettura non dimostrata; in
buona sostanza il giudice ha ritenuto che, essendosi gli imputati incolpati a vicenda
proclamando la propria estraneità al delitto, poiché uno dei due doveva essere cer-

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Secondo il giudice del merito confermavano altresì questo quadro gravemente
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indiziario a carico di entrambi i prevenuti’, “legulill- ; 1 1117 ‘

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tamente il responsabile dell’omicidio, non poteva allora che esservi, da un lato, il
fondato dubbio circa la loro attendibilità soggettiva e dall’altra che entrambi dovevano essere ritenuti responsabili del fatto; tale affermazione è illogica oltre che
contraria ai principi costituzionali del giusto processo così come è illogico ritenere

che entrambi i prefati debbano essere ritenuti inattendibili per il solo fatto che le
versioni siano tra loro in conflitto; inoltre trattasi di una mera congettura quella
formulata dal giudice secondo cui, nel giro di pochi minuti in cui il Capellato discu-

dea circa l’affare da concludere e abbia quindi deciso con il Panarisi, nel frattempo
sopraggiunto, di ucciderlo; trattasi per vero di un’invenzione del giudice del merito,
di una mera ipotesi per formulare la quale si è incorsi in una petizione di principio
trasformando ciò che doveva essere provato nella sua premessa; nulla di rilevante
è stato accertato circa le tracce accertate lasciate dall’esplosione del colpo e nulla di
conclusivo è stato altresì accertato in ordine al momento della morte e alla dinamica dell’omicidio, né che i beni fossero stati effettivamente sottratti sicché è illogico
ritenere che gli imputati siano responsabili per il solo fatto che i beni appartenuti
O’ I
alla vittima siano risultati rubati e ch si siano prodigati per cancellare le tracce o
occultare il cadavere;
b) con la seconda censura veniva eccepita l’omessa considerazione e travisamento delle dichiarazioni rese dal ricorrente e non riportate dal giudice ovvero riportate con diverso contenuto nella motivazione della sentenza, ai sensi dell’art.
606 comma primo lett. e) cod. proc. pen.;
c) con il terzo motivo di gravame veniva evidenziata l’inosservanza degli artt.
546 comma primo lett. e cod. proc. pen. e 192 comma primo, ai sensi dell’art. 606
comma primo lett. b) cod. proc. pen. per non aver dato conto il giudice delle ragioni per cui, in merito all’omicidio, non si sono ritenute attendibili le prove contrarie
alle conclusioni cui è giunta la sentenza;
d) con la quarta censura veniva rilevata la mancanza e manifesta illogicità della
motivazione per non avere il giudice di merito spiegato le ragioni per cui non è stata disposta l’acquisizione, ai sensi dell’art. 603 comma secondo cod. proc. pen.,
della testimonianza di Massimo Galati e del documento a essa connesso, ai sensi
dell’art. 606 comma primo lett. e) c.p.p., e mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell’art. 606 comma primo lett. d) cod. proc. pen., oltre che erronea
applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 comma primo lett. b) cod.
proc. pen. con riferimento agli artt. 603 comma secondo cod. proc. pen., 495 cod.

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teva presso la sua abitazione con il Di Giacomo, avesse all’improvviso cambiato i-

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proc. pen. e 190 cod. proc. pen.; l’escussione del teste Galati, per vero, avrebbe
consentito di chiarire il motivo per il quale il Di Giacomo, poco prima delle ore 15
del giorno dell’omicidio, avesse prorogato la durata del parcheggio; ciò non era dovuto, come affermato dal giudice, al fatto che il Capellato avesse insistito per farlo
rimanere in casa fino all’arrivo del Panarisi, bensì per il fatto che alle 16.30 dovesse
recarsi presso la pizzeria ‘Il Massimo della pizza’ in Uggiate Trevano per effettuare
una fornitura di caffè come già in parte emerso dalla testimonianza di Massimo Ma-

dell’istruttoria dibattimentale incorrendo così in una violazione di legge;
e) con il quinto motivo di doglianza veniva eccepita la mancanza e manifesta illogicità, ai sensi dell’art. 606 comma primo lett. e) cod. proc. pen. con riferimento
al delitto di rapina; il giudice dà per dimostrato che l’omicidio sia stato commesso
con fine di rapina, fine che, in realtà, è sprovvisto di qualsivoglia prova, né viene
chiarito per quale motivo la versione fornita sul punto dal Capellato non sia stata
ritenuta plausibile; in realtà il ricorrente non aveva nessuna ragione di ritenere, ben
conoscendo il Di Giacomo, che quest’ultimo potesse avere nel furgone altri e più
preziosi orologi rispetto a quelli a lui mostrati; né il giudice ha tenuto conto del fatto che parte delle repliche degli orologi erano state regalate dal Di Giacomo al Capenato prima dell’arrivo del Panarisi e dunque dell’omicidio; e c• -oue che) il fatpoi
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td potrebbe qualificarsi come furto qualora avvenut• :91,~o – il° facendo
venir meno il nesso teleologico tra l’omicidio e la sottrazione dei beni e con esso la
circostanza aggravante prevista dagli artt. 576 comma primo e 61 comma primo n.
2 cod. pen.;
f) con il sesto motivo di doglianza veniva rilevata la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma primo lett. e) cod. proc. pen.
per non aver spiegato le ragioni per cui non è stata disposta l’acquisizione delle testimonianze di Panepinto Laura, Xodo Massimo e Stabile Cinzia in ordine ai proventi
mensili del Capellato; erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606
comma primo lett. b) cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 603 comma secondo
cod. proc. peri., 495 cod. proc. pen. e 190 cod. proc. pen.; tale prova avrebbe confutato l’assunto del giudice secondo cui il Capellato si sarebbe trovato in condizioni
economiche difficoltose tali da potersi accontentare anche di orologi di modesto valore;
g) con il settimo motivo di censura veniva rilevata la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma primo lett.

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rino; il giudice non ha motivato le ragioni del diniego della rinnovazione parziale

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e) cod. proc. pen.; il giudice ha per vero, da un lato, ritenuto che il Capellato si trovasse in perpetua condizione di minaccia da parte del Panarisi, cui il giudice ha dato
credito avendo provveduto ad applicare il disposto di cui all’art. 500 comma quarto
cod. proc. pen. onde acquisire le dichiarazioni rese dal Capellato al Pubblico Ministero, e, dall’altro, ha esclusa l’applicazione dell’art. 54 cod. pen. con riferimento
all’occultamento del cadavere;

sentenza, ai sensi dell’art. 606 comma primo lett. e) cod. proc. pen., in ordine alla
denegata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 116 c.p., in relazione al delitto di omicidio;
i) con il nono motivo di censura veniva rilevata la mancanza di motivazione con
riguardo all’affermazione della penale responsabilità in relazione al reato di porto e
detenzione di arma e violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma primo lett. b)
cod. proc. pen.; la difesa aveva dimostrato, depositando relazione di parte, che le
due parti di arma sequestrate non solo non erano parti essenziali, ma erano riconducibili a pistole destinate sia al mercato civile che a quello militare; inoltre non era
dato comprendere per quale motivo il ricorrente avrebbe dovuto rispondere sia di
detenzione che di porto in luogo pubblico dal momento che se l’arma era stata portata dal Panarisi il Capellato avrebbe dovuto rispondere solo della detenzione;
I) con il decimo motivo di impugnazione veniva rilevata la mancanza della motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma primo lett. e) cod. proc. pen. in ordine alla
recidiva e relativa violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma primo lett. b)
cod. proc. pen.;
— dal ricorrente Panarisi Leonardo, con ricorso redatto a ministero dell’avv. Renato Papa, sono stati sviluppati otto motivi di impugnazione:
a) con la prima doglianza veniva rilevata, ai sensi dell’ari 606 comma primo
lett. e) c.p.p., la contraddittorietà della motivazione; il giudice ha ritenuto irrilevante la circostanza che non fossero state rinvenute tracce di polvere da sparo sul
giubbetto sequestrato a Panarisi pur dando atto che non vi fosse certezza che lo
stesso fosse stato sottoposto a verifica né che fosse sicuro che fosse stato indossato dall’imputato al momento dell’omicidio; sul punto, con la richiesta di annullamento della sentenza per mancata assunzione dell’accertamento peritale in questione, veniva rilevata la contraddizione in cui era incorso il giudice che aveva ritenuto non esservi certezza che il giubbotto fosse stato esaminato concludendo nel

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h) con l’ottavo motivo di gravame veniva rilevata la mancanza di motivazione in

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contempo che non fossero state trovate tracce di polvere da sparo; non era vero
infatti che non vi fosse certezza che il Panarisi avesse indossato il giubbotto in questione quel giorno, stantii le risultanze istruttorie sul punto che comprovano il contrario, sicché l’accertamento richiesto e respinto diveniva rilevante posto che se
fossero state rinvenute tracce di polvere da sparo ciò non avrebbe anche significato
che il ricorrente fosse stato necessariamente presente al momento dell’omicidio potendosi essersi potute trasferire le tracce al momento in cui il Panarisi aveva tocca-

vrebbero costituito prova a discarico se non fossero state rinvenibili anche tracce di
lavaggio dell’indumento,
b) con la seconda censura veniva eccepita l’omessa motivazione sulla specifica
doglianza costituente espressa ragione di parziale rinnovazione del dibattimento; si
assume in altri termini che il Capellato potesse aver fatto uso di cocaina al momento del fatto, il che avrebbe spiegato la sua condotta lucida e disinibita come evidenziato dalla consulenza di parte oltre alla irrazionalità dell’omicidio;
c) con il terzo motivo di gravame veniva evidenziata la contraddittorietà della
motivazione ai sensi dell’art. 606 comma primo lett. e) cod. proc. pen. nella parte
in cui ha escluso la fondatezza della ricostruzione dei fatti operata dal ricorrente

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quanto alla sussistenza di un movente; l’argomentazione espressa in sentenza secondo la quale sarebbe illogico ritenere che Capellato abbia ucciso Di Giacomo dopo
una mattinata trascorsa in modo cordiale è in contraddizione con la circostanza che
Capellato in realtà fingeva di essere cordiale, in quanto aveva invece ab origine intenzioni illecite;
d) con la quarta censura veniva rilevata la contraddittorietà della motivazione
nella parte in cui si esclude che Capellato dovesse del danaro a Di Giacomo e non
intendesse darglielo; la circostanza è meritevole di apprezzamento in quanto fa luce sul possibile movente dell’omicidio;
e) con il quinto motivo di doglianza veniva eccepita la violazione degli artt. 240
e 500 comma quarto cod. proc. pen., ai sensi dell’art. 606 comma primo lett. c) ed
e) cod. proc. pen. nella parte in cui vengono utilizzate nei confronti di Panarisi le
dichiarazioni di Capellato, nonostante la loro dichiarazione di inutilizzabilità, nella
parte in cui viene valutato in modo illogico uno specifico elemento probatorio; il
giudice non ha considerato che la lettera prodotta dal Capellato e acquisita agli atti
con il meccanismo di cui agli artt. 513 comma primo cod. proc. pen. e art. 500

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to il cadavere mentre qualora le predette particelle non fossero state presenti a-

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comma quarto cod. proc. pen. è innanzitutto un atto anonimo e risale a vent’anni
prima dell’omicidio; inoltre, pur avendo ritenuto le dichiarazioni del Capellato del
tutto inattendibili nei confronti del Panarisi e utilizzabili nei confronti dello stesso
imputato le ha ugualmente usate per svalorizzare la tesi del Panarisi in relazione al
significato degli ultimi contatti con il Capellato rivolti, non per sollecitare un aiuto
dopo l’uccisione del Di Giacomo, come sostiene il Panarisi, bensì per tenerlo al cor-

f) con il sesto motivo di doglianza veniva chiesto l’annullamento della sentenza
ai sensi dell’art. 606 comma primo lett. e) cod. proc. pen. per contraddittorietà della motivazione laddove viene evidenziato il sequestro della fondina quando in realtà
trattasi di accessorio valido per molti modelli di pistola tenendo conto che il ricorrente è stato già processato per violazione delle leggi sulle armi;
g) con il settimo motivo di impugnazione si censura la sentenza impugnata, ai
sensi dell’art. 606 comma primo lett. e) cod. proc. pen. per contraddittorietà o illogicità della motivazione laddove vengono esaltati i rapporti tra i coimputati nei
giorni successivi al fatto onde ritenere il pieno coinvolgimento del ricorrente;
h) con l’ottavo motivo di doglianza veniva richiesto l’annullamento della sentenza per contraddittorietà e illogicità della motivazione laddove viene respinta la fondatezza della tesi difensiva offerta dal Panarisi.
2.1 — Con memoria difensiva e motivi aggiunti depositati in data 14 ottobre
2013, l’avv. Domenico Battista per Panarisi Leonardo, ha ripreso e approfondito le
doglianze già espresse in ricorso, insistendo per raccoglimento delle medesime. In
particolare veniva evidenziato che il giudice di secondo grado, pur avendo ritenuto
le dichiarazioni rese dal Capellato innanzi al Pubblico Ministero e acquisite per il
combinato disposto dell’ultima parte del primo comma dell’art. 513 c.p.p. e del
quarto comma dell’art. 500 c.p.p., fossero utilizzabili contra se e non contro il Panarisi, era tuttavia ricorso proprio alle dichiarazioni in questione al fine di ritenere non
attendibili le dichiarazioni del Panarisi in quanto non collimanti con quelle del coimputato. La credibilità delle dichiarazioni del Panarisi sarebbe dovuta essere valutata
alla luce semmai di eventuali altri riscontri processuali e non delle dichiarazioni del
Capellato,da qui il vizio di impostazione commesso dal giudice. Veniva inoltre posto
l’accento sul fatto che il giudice di secondo grado non avesse sciolto il nodo che attiene a un punto cruciale del processo l vale a dire se il Panarisi fosse giunto nell’abitazione del Capellato, luogo in cui era stato commesso l’omicidio, prima o dopo

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rente dei progressi dell’affare con Di Giacomo;

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la sua commissione, profilo che il giudice cerca di colmare con mere deduzioni non
logiche che i due stessero perpetrando ai danni della vittima un affare illecito e che
avessero tenuto una condotta comune quando è evidente che l’occultamento del
cadavere non può costituire prova di partecipazione a un omicidio.
Inoltre il giudice di secondo grado non aveva dato conto in motivazione, con ciò
incorrendo nella violazione di cui all’art. 606 comma primo lett. e) c.p.p., del primo

punto di diritto per accedere all’acquisizione delle dichiarazioni del Capellato rese
Innanzi al Pubblico Ministero, ma anche la sussistenza degli elementi di fatto ovvero
la soggezione e il timore del Capellato nei confronti del Panarisi. Senza contare che
se il Capellato doveva essere ritenuto inattendibile allora lo sarebbe dovuto essere
anche in relazione al suo preteso stato di soggezione nei confronti del complice.
Veniva infine posto in evidenza il fatto che, dal raffronto delle due sentenze di
merito, non può dirsi che si sia in presenza di una vera doppia conforme di condanna. Infatti mentre il primo giudice ha ritenuto utilizzabili le dichiarazioni del Capellato acquisite ex artt. 510, 513 c.p . .kle ha anche utilizzate per la ricostruzione del
fatto, la decisione di secondo grado ha assunto la non utilizzabilità delle
stesse per la inattendibilità del dichiarante salvo poi ricostruire l’omicidio proprio

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sulla base di tali dichiarazioni incorrendo anche qui in vizi motivazionali.

Motivi della decisione
3. — I ricorsi sono destituiti di fondamento e vanno rigettati
Deve innanzitutto premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dai ricorrenti, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata
isolatamente ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la
sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche
pienamente concordanti, di talché — sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte — deve ritenersi che, in punto quantomeno di valutazione della responsabilità penale dei prefati, la motivazione della prima si saldi con
quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un
tutto unico e inscindibile (cfr. Cass., Sez. Un., 4 febbraio 1992, Ballan e altri e, da
ultimo, Sez. 1, 21 marzo 1997, Greco e altri; Sez. 1, 4 aprile 1997, Proietti e altri).

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Sí-

motivo di appello in cui non solo si contestava la sussistenza dei presupposti in

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3.1 — Ciò posto deve osservarsi che il primo motivo del ricorso Capellato (mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art.
606 comma primo lett. e) cod. proc. pen., con riferimento all’attribuzione della penale responsabilità per omicidio), non è fondato e deve essere respinto.
Non è dato cogliere, per vero, dalla lettura della motivazione della sentenza
gravata alcun ragionamento illogico, posto che il giudice ha espresso, con argo-

le versioni fornite dagli imputati, non solo perché sprovviste di coerenza e congruità, ma perché si sono rivelate tese ad asseverare una verità parziale dell’accadimento dei fatti:quella cioè che, con l’addossare la colpa esclusiva dell’accaduto al
sodale, escludeva un proprio diretto coinvolgimento dei fatti.
In altri termini, la Corte di merito dà conto del fatto che non uno dei due coimputati ha commesso l’omicidio, ma entrambi, in accordo tra loro, sicché l’affermazione dei giudicabili di essersi trovati davanti a fatto compiuto, voluto autonomamente dall’altro, non è credibile perché smentito dai fatti analiticamente indicati
dal giudice.
Su questo specifico punto, infatti, le due Corti di merito hanno valorizzato, onde
trovare conferma della condivisione della volontà omicida, i seguenti elementi:

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— l’intesa tra gli imputati circa l’incontro del Capellato con la vittima, finalizzata
al reperimento delle ennesime risorse richieste dal Panarisi;
— il continuo monitoraggio da parte del Panarisi, tramite le comunicazioni telefoniche, dell’andamento della trattativa;
— l’intervento del Panarisi presso l’abitazione del Capellato, una volta risultato
certo che l’affare in corso stava sfumando;
— l’uccisione del Di Giacomo presso l’abitazione del Capellato con esplosione di
colpi d’arma da fuoco di cui alle tracce di sangue e di polvere da sparo combusta
rinvenute all’interno dell’abitazione;
— l’inverosimiglianza di un pretese allontanamento da parte del Capellato da
casa sua proprio mentre il Panarisi avrebbe ucciso il Di Giacomo;
— l’inverosimiglianza di aver il Panarisi aiutato il Capellato a disfarsi del cadavere della vittima, accettando così di essere nuovamente coinvolto in un reato commesso dal solo Capellato (dopo che per colpa di quest’ultimo, a suo dire, aveva patito una ingiusta carcerazione);
— il prodigarsi comune nell’impossessamento postumo dei beni della vittima;

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mentazioni esaustive e non contraddittorie, una valutazione di non attendibilità del-

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— il darsi da fare solidale nel ripulire il luogo dell’omicidio e di occultare il cadavere andando a comprare di comune accordo quanto necessario e di fare più tentativi per disfarsi del cadavere;
— l’atteggiamento concorde e indifferente dagli stessi tenuti dopo l’omicidio;
— l’essersi il Capellato disfatto di una parte essenziale dell’arma dopo il fatto di
sangue.

ricostruzione per ben quattro volte, la terza delle quali addirittura in atto di gravame, portano quindi a una precisa squalifica dei propri contributi contra &los e una
valutazione contra se, come correttamente operato dal giudice di merito. In tale
contesto, di condivisione di intenti e di dinamiche, rimane indifferente, ai fini della
prova della responsabilità, l’individuazione precisa dei ruoli adesivi al fatto criminoso di ciascun sodale, essendosi per certo inserito l’omicidio in un contesto di totale
e complessiva condivisione di intenti pre e post omicidio.
3.2 — Anche il secondo e il terzo motivo di gravame del medesimo ricorso Capellato (omessa considerazione e travisamento delle dichiarazioni rese dal ricorrente e non riportate dal giudice ovvero riportate con diverso contenuto nella motivazione della sentenza e inosservanza degli artt. 546 comma primo lett. e violazione

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dell’art. 192 comma primo, per non aver dato conto il giudice delle ragioni per cui,
in merito all’omicidio, non si sono ritenute attendibili le prove contrarie alle conclusioni cui è giunta la sentenza), sono privi di pregio e vanno rigettati.
3.2.1 — Correttamente il giudice ha ritenuto superfluo il vaglio analitico dell’ultima versione fornita dall’imputato in ordine di tempo, atteso che si è rivelata essere solo l’ennesima variante dello stesso canovaccio connotato da caratteristiche di
inattendibilità come le precedenti versioni, tutte peraltro puntualmente invalidate
dall’ultima, senza che quest’ultima si imponesse con una propria forza di autonoma
incontrovertibilità. Affermare che la situazione era degenerata per il subentro in casa del Panarisi non solo è rimasta una mera illazione difensiva, come evidenziato
dal giudice del merito, ma si pone anche in stretta contraddizione con la successiva
condotta del Capellato che, anziché dissociarsi dall’omicidio imprevisto e imprevedibile del Panarisi, si era dato a una fattiva cooperazione con il sodale, non tanto e
solo per l’occultamento del cadavere e per la pulizia della propria abitazione, per i
quali poteva avere un qualche interesse, quanto piuttosto per la sottrazione accurata dei beni del Di Giacomo.

Pubblica udienza: 30

ottobre 2013 — Capellato Emanuel + 1 — RG: 48186/13, RU: 13;

Le versioni dei prevenuti e in particolare quella del ricorrente che ha cambiato

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3.3 — Parimenti destituito di fondamento è il quarto motivo di ricorso (mancanza e manifesta illogicità della motivazione per non avere il giudice di merito spiegato le ragioni per cui non è stata disposta l’acquisizione, ai sensi dell’art. 603 comma
secondo cod. proc. pen., della testimonianza di Massimo Galati e del documento a
essa connesso).
3.4 — Va preliminarmente osservato, in punto di richiesta di rinnovazione par-

dei risultati del ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale giustificano
la decisione contraria alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sul rilievo che,
nel giudizio di appello, essa costituisce un istituto eccezionale fondato sulla presunzione che l’indagine istruttoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicché il potere del giudice di disporre la rinnovazione è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione,
di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Cass., Sez. Un., 24 gennaio
1996, Panigoni; Sez. 1, 11 novembre 1999, Puccinelli e altro). Atteso che l’esercizio
di un simile potere è affidato al prudente apprezzamento del giudice di appello restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato (Sez. 3,
29 luglio 1993, n. 7908, Giuffida, rv. 194487; Sez. 1, 15 aprile 1993, Ceraso),deve
sottolinearsi che la motivazione della sentenza impugnata dà conto, in modo inequivoco, delle ragioni per le quali non è stata accolta la richiesta di rinnovazione
parziale, essendo stato ritenuto che gli elementi probatori disponibili risultavano
completi e concludenti per la formazione del convincimento del giudice di secondo
grado (Cass., Sez. 1, 19 marzo 2008, n. 17309, Calisti). Ed è altresì consolidato
principio di questa Corte ritenerst che la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio d’appello può costituire violazione dell’art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen. solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la
sentenza di primo grado (art. 603, comma secondo, cod. proc. pen.) (Cass., Sez. 5,
8 maggio 2008, n. 34643, P.G. e De Carlo e altri, rv. 240995) mentre l’error in pro-

cedendo è rilevante ex art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen., e configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè tale che,
se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa; la valutazione in
ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati
dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni
poste a base del convincimento del giudice di merito (ex plurimis, Cass., Sez. 4, 14
marzo 2008, n. 23505, Di Dio, rv. 240839).

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ziale dell’istruttoria dibattimentale, che la completezza e la piena affidabilità logica

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3.4.1 — Tanto premesso, deve osservarsi che l’argomentazione espressa dal
giudice della cognizione in relazione alla negatoria della prova richiesta si profila
sufficiente e congrua per il richiamo al contesto probatorio raccolto in istruttoria e
alla motivazione di non necessarietà della richiesta integrazione probatoria.
È stato posto in particolare l’accento, ancorché in modo stringato, ma non per
questo meno esauriente (sul punto cfr. Cass., Sez. 4, 2 dicembre 2009, Sergio e

Collegio secondo cui il provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello può essere motivato anche implicitamente in presenza di un
quadro probatorio definito, certo e non bisognevole di approfondimenti indispensabili), non solo sul fatto che la prova addotta non costituisse di per sé un novum,
non trattandosi di prova sopravvenuta o scoperta successivamente alla decisione
del giudice di prime cure, bensì appartenente a un rilevato probatorio già in qualche modo oggetto della sua valutazione, ma anche che non fosse decisiva, giusta la
superfluità di una sua acquisizione, nel senso che il suo accoglimento non avrebbe
sortito alcun concreto progresso nell’accertamento della verità stante; è doverosa
peraltro l’ottemperanza, sul punto, in carenza di una effettiva esigenza accertativa,
del cogente principio della ragionevole durata del processo 7la cui elaborazione giurisprudenziale da parte della Corte di Strasburgo, nell’interpretazione dell’art. 6 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ha condotto
al riconoscimento nel nostro ordinamento del relativo principio con la riforma
costituzionale del 1999.
Non è poi sfuggito al giudice che il Di Giacomo era per vero a conoscenza dell’appuntamento in Uggiate Trevano sin dal mattino, e più precisamente, secondo la
testimonianza di Massimo Marino, a partire dalle ore 10.44, e dunque ben prima di
incontrare il Capellato, sicché le ragioni per cui prorogò la permanenza al parcheggio dovevano necessariamente essere ricollegabili a qualche ragione successiva,
intervenuta durante l’incontro con l’imputato, e pertanto anche per le motivazioni
addotte dal giudice di merito.
3.5 — Il quinto motivo di ricorso (mancanza e manifesta illogicità con riferimento al delitto di rapina), è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
3.5.1 — Le censure difensive si sviluppano meramente in fatto e come tali non
sono proponibili in questa sede; l’ipotesi che il Capellato, che ben conosceva il Di

Pubblica udienza: 30 ottobre 2013 — Capellato Emanuel + 1 — RG: 48186/13, RU: 13;

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altri, n. 47095, rv. 245996, che esprime il principio di diritto condiviso da questo

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Giacomo, non avrebbe avuto motivo di credere che quest’ultimo avesse nel furgone
orologi di valore che non gli erano stati mostrati e dunque che non aveva motivo di
sottrargli le chiavi del furgone per andare a verificare tale fatto, è una mera congettura o un’ipotesi difensiva peraltro contraddetta dal fatto che la Polizia di Stato
ebbe a trovare proprio altri orologi in uno scomparto nascosto del furgone; correttamente il giudice, in ogni caso, ha evidenziato la sussistenza della finalità di rapina, posto che non vi fu alcuna soluzione di continuità tra la sottrazione del danaro e

resa palese dalla sottrazione medesima. Del resto, come evidenziato dallo stesso
giudice di appello, il contatto con il Di Giacomo da parte del Capellato era finalizzato proprio al reperimento, anche e soprattutto con modi illeciti, di nuove e diverse
risorse al fine di tacitare, almeno momentaneamente, la richiesta incessante di danaro e di oggetti preziosi del Panarisi, sicché era il profitto a tutti i costi lo scopo
ultimo dell’incontro con la vittima.
3.5.2 — Ed è parimenti una mera questione di fatto l’affermazione del ricorrente
secondo cui il Capellato non avrebbe consegnato gli orologi alla Questura se fossero
stati provento della rapina, posto che, come implicitamente rilevato dal secondo
giudice, ben sarebbe potuto essere l’esatto contrario, vale a dire che il Capellato
non avrebbe consegnato alla Questura orologi che lui avesse realmente ritenuto essere suoi per essergli stati regalati dal Di Giacomo, sicché se li ha consegnati era
perché li riteneva di provenienza illecita.

sem

3.5.3 — Ugualmente

ft

‘0

e la congettura difensiva secondo cui parte degli

orologi sarebbero stati regalati dal Di Giacomo al Capellato prima dell’omicidio, non
solo perché vi sarebbe comunque una parte di essi orologi cheIrAtkesula da questo
compendio di regali dei quali il ricorrente si è trovato nella disponibilità dopo l’omicidio, ma perché è rimasta del tutto indimostrata tale regalia oltre che contraddetta
dal fatto che l’incontro tra il Capellato e Di Giacomo era finalizzato a una compravendita. Inoltre la difesa non evoca mai la forte capacità dimostrativa, come invece
non ha obliterato di fare la Corte di Milano, delle dichiarazioni del teste Terraneo,
che, avendo incontrato dopo l’omicidio il Capellato, ha ricordato che quest’ultimo gli
aveva mostrato compiaciuto proprio gli orologi del Di Giacomo confessandogli che
erano frutto di una rapina (e non il frutto di un regalo munifico quanto ingiustificato).
Né si comprende la tesi difensiva secondo cui si dovrebbe qualificare la fattispecie come mero furto, posto che delle due l’una: o gli orologi erano stati regalati dal-

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degli orologi e l’omicidio e non è emerso qualsivoglia altra ragione se non quella

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la vittima, e dunque il trasferimento era lecito a dispetto dell’omicidio, ovvero sono
stati trafugati dopo il fatto il sangue e allora sono strettamente collegati con il medesimo con tutte le conseguenze giuridiche relative e ritenute dal giudice di appello.
3.5.4 — È appena poi il caso di osservare come sia irrilevante, peraltro, che le
ragioni dell’omicidio possano essere ricercate altrove, posto che l’istruttoria ha po-

messo quanto meno anche per ragioni di rapina mentre nessuno dei due imputati,
persino accusando in via esclusiva l’altro, è stato in grado di indicare un diverso
movente per un’attività illecita che li ha visti operativi e di comune accordo. Non si
deve infatti dimenticare che la vittima non fu depredata dei soli orologi, ma anche
di altri oggetti personali come il portafogli, il telefonino, le chiavi ed altro che certamente non erano stati oggetto, né potevano esserlo, di regalo e che già da soli
giustificherebbe il reato contestato.
3.6 — Il sesto motivo di ricorso (mancanza e manifesta illogicità della motivazione per non aver spiegato le ragioni per cui non è stata disposta l’acquisizione di
alcune testimonianze) è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
3.6.1 — Si richiamano qui le argomentazioni già spese più sopra in relazione alla rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale (par. 3.4).
Trattasi anche in questo caso di censure che si risolvono, a prescindere dalla richiesta integrativa, in mere questioni di merito atteso che le prove avanzate dimostrerebbero solo che gli introiti mensili del ricorrente erano di un certo importo e
non che il prevenuto versasse, come invece emerso in istruttoria e rilevato dal giudice, in condizioni economiche sfavorevoli tali da non essere in grado di pagare la
propria locazione mensile. Peraltro è il caso di osservare che la Corte territoriale ha
posto in evidenza la circostanza che gli imputati avevano la speranza di poter mettere le mani su ben altra refurtiva ritenuta nascosta nel furgone della vittima e in
ogni caso che la pulsione alla rapina da parte del Capellato non era per soddisfare,
in via di principalità, necessità economiche proprie, ma quelle del pressante suo
creditore, il sodale Panarisi (il che corrobora ancor di più l’irrilevanza circa lo sfogo
delle prove predette).

Pubblica udienza: 30 ottobre 2013

Capellato Emanuel + 1 — RG: 48186/13, RU: 13;

sto in luce, come adeguatamente motivato dal giudice, che l’omicidio è stato com-

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3.7 — Il settimo motivo di ricorso (mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, circa la condizione di minaccia del Capellato e l’esclusione
dell’applicazione dell’art. 54 cod. pen. con riferimento all’occultamento del cadavere), è infondato e deve essere reietto.
3.7.1 — La reiezione da parte del giudice dell’ipotesi di cui all’art. 54 cod. pen.
non è espressione di una contraddizione logica rispetto alla ritenuta permanente

l’esito del giudizio di una sua non ravvisabilità per carenza quantomeno di prova
circa la sua sussistenza al momento del commesso reato; lo stato di necessità invocato, in altri termini, è solo affermato dal Capellato ma non dimostrato (per
quanto sia davvero curioso che si sostenga sia stato il minacciato, secondo la tesi
del minacciante, a coinvolgere il Panarisi in un omicidio da quest’ultimo non commesso) anzi è avversato dal comune accordo dimostrato da entrambi i sodali nel
ripulire lo stato dei luoghi e nei tentativi pervicaci nell’occultare il cadavere (dopo la
verificata non praticabilità di nascondere il cadavere in un tombino) e nella palesata
armonia che tra i due regnava anche dopo il grave fatto di sangue.
Peraltro il giudice della cognizione ha ben argomentato la circostanza che la situazione di soggezione (‘strisciante’) del Capellato (perché reiteratamente volta a
ricordargli il suo inestinguibile credito e dunque a far leva anche sul suo senso di
colpa mai negato) non gli impedisse la libera autodeterminazione nella commissione dei delitti che, si ribadisce, non andavano a esclusivo vantaggio del Panarisi, ma
anche dello stesso Capellato, come dimostrato dal fatto che parte della refurtiva
dell’omicidio Di Giacomo era finita nelle tasche del ricorrente (sul punto il giudice
evoca correttamente la testimonianza Terraneo e più sopra menzionata a paragrafo

3.5.3).
3.7.2 — Devono qui poi ribadirsi le affermazioni della costante giurisprudenza di
questa Corte Suprema secondo le quali l’art. 54 cod pen. codifica il tradizionale
principio necessitas non habet legem e la scriminante disciplinata dalla norma presuppone:
— una situazione di pericolo (la cui causa non sia voluta dall’agente), che deve
consistere nella minaccia di un danno alla persona, cioè ad un diritto non patrimoniale, impersonale;
— la necessità di salvarsi e la impossibilità di salvare il bene in pericolo con altra condotta alternativa avente analoga idoneità in concreto.

Pubblica udienza: 30 ottobre 2013 — Capellato Emanuel + 1 — RG: 48186/13, RU: 13;

condizione di minaccia in cui versava il prefato nei confronti del Panarisi, bensì è

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3.7.3 — Ciò posto, il giudice in sentenza ha evidenziato che l’occultamento di
cadavere si è posto (come ordinariamente avviene) come un reato ‘costretto dalla
stessa commissione dell’omicidio, in relazione al quale la volontà del Capellato si
era liberamente formata senza costrizione alcuna (tant’è che il ricorrente, negando
la propria responsabilità sul punto, neppure ipotizza). Una volta pertanto che sia
stata ritenuta provata dal giudice la responsabilità per il grave fatto di sangue non
è ipotizzabile lo stato di necessità per il reato di occultamento, essendo stata voluta

3.8 — L’ottavo motivo di ricorso (mancanza di motivazione in sentenza in ordine
alla denegata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 116 c.p., in
relazione al delitto di omicidio) è privo di fondamento e deve essere respinto.
3.8.1 — La giurisprudenza di questa suprema Corte si è, da tempo, sviluppata
nel solco dei principi stabiliti dalla Corte Costituzionale, che, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 116 cod. pen., ha escluso che
tale disposizione configuri un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la fattispecie da essa delineata esige anche un rapporto di causalità psicologica concepito
nel senso che il reato diverso o più grave commesso dal concorrente debba potere
rappresentarsi alla psiche dell’agente, nell’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, affermandosi
in tal modo la necessaria presenza anche di un coefficiente di colpevolezza (Corte
Cost., 31 maggio 1965, n. 42). Lungo tale linea interpretativa, la giurisprudenza di
legittimità ha chiarito che, per la configurazione del concorso anomalo, sono necessari tre elementi, e cioè: l’adesione dell’agente ad un reato concorsualmente voluto, lq,commissione, da parte di altro concorrente, di un reato diverso o più grave
(.iSon sia stato dall’agente effettivamente previsto o accettato il0a13453 rischio
di accadimento) e, infine, l’esistenza di un nesso causale, anche psicologico, fra
l’azione del compartecipe al reato inizialmente voluto e il diverso o più grave reato
poi commesso da altro concorrente, reato più grave che sia oggetto tuttavia di rappresentazione in quanto logico sviluppo, secondo l’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, di quello concordato; tenuto conto che la prognosi postuma sulla
prevedibilità del diverso reato commesso dal concorrente deve essere effettuata in
concreto, valutando la personalità dell’imputato e le circostanze ambientali nelle
quali si è svolta l’azione (Cass., Sez. 5, 8 luglio 2009, n. 39339, Rizza, rv. 245152;
Sez. 1, 10 aprile 1996, Angeloni e altro; Sez. 1, 9 novembre 1995, Fortebraccio e
altro).

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a monte la situazione di pericolo rappresentata dall’omicidio.

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3.8.2 — L’esclusione della responsabilità ex art. 116 cod. pen. postula allora che
il reato più grave si presenti come un evento atipico, dovuto a circostanze eccezionali e del tutto imprevedibili, quando cioè può ravvisarsi una frattura insanabile del
nesso psicologico e casuale con l’evento più grave tanto da poter ritenere quest’ultimo del tutto indipendente e autonomo rispetto a quello riferibile all’imputato
(Cass., Sez. 1, 7 marzo 2003, Benigno: Sez. 1, 28 giugno 1995, Cocuzza e altro;

3.8.3 — Ciò posto, si osserva che nessuno dei profili di cui sopra si è realizzato
in relazione alla posizione del ricorrente. Nella fattispecie, la Corte di Assise di Appello ha messo per vero in evidenza la perfetta equiparabilità dei contributi dei due
prefati quale manifestatasi nella stretta e continua condivisione degli esiti dell’incontro con il Di Giacomo, nella spartizione della refurtiva, nell’occultamento del cadavere e nella dispersione dell’arma usata per uccidere la vittima. L’apporto del
Capellato si è rivelato anzi determinante non solo perché conosceva bene la vittima
e le sue risorse patrimoniali, consentendo quindi l’avvicinamento e in ultima analisi
la rapina, ma anche perché si è fatto carico di tutta la parte concernente l’approccio
‘morbido’ e persuasivo al fine di concludere l’affare (fino a quando, avendo disperato di ottenere quello che voleva 5aveva chiamato il Panarisi); mettendo poi a disposizione la propria abitazione come luogo dell’omicidio. In nessun modo pertanto è
ravvisabile l’interruzione inattesa dell’evoluzione del fatto che, anzi, ha trovato il
suo ordinario sviluppo lungo un percorso comune a entrambi i sodali.
3.9 — Il nono motivo di ricorso (mancanza di motivazione e violazione di legge
con riguardo all’affermazione della penale responsabilità in relazione al reato di
porto e detenzione di arma) è infondato e deve essere rigettato.
3.9.1 — Le parti d’arma di cui il Capellato si è disfatto sono parti essenziali
d’arma da guerra come accertato dalla relazione di ufficio. Correttamente il giudice
del merito si è espresso in questo senso. Come già ritenuto da questa stessa Corte
di legittimità lsonol per verol da ritenersi parti essenziali di arma quelle che consentono all’arma non solo di esplodere il colpo, ma anche di permettere quel particolare funzionamento per il quale l’arma stessa è stata costruita; nella fattispecie è
parte essenziale quella che consente all’arma di sparare in sequenza semiautomatica per la quale era stata prodotta.
3.9.2 — Privo di fondamento è anche il rilevo difensivo circa la non ravvisabilità
del porto illegale d’arma in capo al Capellato; non si tiene per vero conto in ricorso

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ottobre 2013 — Capellato Emanuel + 1 — RG: 48186/13, RU: 13;

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Sez. 1, 2 luglio 1993, Frandina; Sez. 1, 22 giugno 1993, Rho).

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delle ordinarie regole sul concorso di persone ex art. 110 cod. pen. È resa evidente
dal contesto di prova, come evidenziato dalla Corte di merito,e contrariamente a
quanto sostenuto dalla difesa, la concorsualità proprio del (solo) delitto di porto
d’arma (e non certo di quello di detenzione, non essendo emerso‘una condivisione
oggettiva o morale tra i sodali a tale riguardo) dal mome to che la pistola, • er poal ti;
rat.43,k,
11(?; de i. o se e parti
ter essere usata presso l’abitazione del Capellato er4112.0
essenziali dell’arma) è stata necessariamente portata dal Panarisi in tale luogo on-

pellato che afferma che l’arma con cui è stato ucciso il Di Giacomo era in possesso
del Panarisi 1non potendo sfuggire che in tanto sarebbe stata invece possibile ascrivere al ricorrente la sola detenzione, in quanto egli avesse ammesso, diversamente
da quanto avvenuto, che la pistola era la propria.
3.10 — Il decimo motivo di ricorso (mancanza della motivazione in ordine alla
recidiva e relativa violazione di legge) non è fondato e deve essere respinto.
3.10.1 — Non coglie nel segno il ricorrente nel ritenere che la recidiva (peraltro
contestata nello specifico per reati contro il patrimonio) non si attagli nella fattispecie alla sua condizione di pregiudicato non essendo la rapina un reato della medesima indole del furto, giusta la connotazione violenta dell’impossessamento tipica
del solo delitto di rapina; è per contro evidente che la ratio della punibilità dei reati
contro il patrimonio (che è ciò che evidenzia l’indole dei precetti penali voluti dal
legislatore a presidio di tali delitti) è uguale sia per rapina che per il furto (potendosi anzi persino integrare in tale categoria l’omicidio per scopo di rapina quando è
quest’ultima caratterizza il delitto di sangue per la specificità dell’orientamento della condotta illecita),trattandosi entrambi di reati in pregiudizio del patrimonio. La
presenza del requisito della violenza nella rapina, mancante nel furto, è solo un requisito distintivo del delitto, mentre il tratto comune è il nocumento dell’altrui risorsa.
4.1 — Il primo motivo del ricorso Panarisi (contraddittorietà della motivazione, il
giudice ha ritenuto irrilevante la circostanza che non fossero state rinvenute tracce
di polvere da sparo sul giubbetto sequestrato a Panarisi) non è fondato e deve essere respinto.
4.1.1 — Vanno qui, ancora una volta, richiamate le argomentazioni più sopra
spese in relazione alla rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale (il già
richiamato paragrafo 3.4).

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de commettere il reato di omicidio ascritto ad entrambi. Del resto, è proprio il Ca-

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4.1.2 – Deve qui aggiungersi, dal momento che la richiesta difensiva si sostanzia in una richiesta accertativa tramite perizia, che, in ogni caso, la perizia in genere non può affatto rientrare nel concetto di prova decisiva ai sensi e per gli effetti
dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. d), cod. proc. pen. stante il suo carattere, per così dire, ‘neutro’, sottratto alla disponibilità delle parti e sostanzialmente
rimesso alla discrezionalità del giudice. La perizia, in altri termini, proprio per il rilevato carattere ‘neutro’ (né a favore, né contro) è sottratta al potere dispositivo del-

verso proprie consulenze. La sua assunzione è pertanto rimessa al potere discrezionale del giudice e non è riconducibile al concetto di prova decisiva, con la conseguenza che il relativo diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606 cod. proc.
pen., comma 1, lett. d) citato, e, in quanto giudizio di fatto, se assistito da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità anche ai sensi dello stesso art.
606 cod. proc. pen., lettera e) (v., tra le tante, Cass., Sez. 4, 3 maggio 2005, Candelora e altro).
4.1.3 – In questa prospettiva, la mancata rinnovazione di un accertamento peritale non può essere dedotta con la censura in esame. Ciò che è deducibile in questa sede è semmai il vizio di motivazione ove il giudice di merito abbia fondato la
ricostruzione dei fatti su indimostrate affermazioni o su pareri tecnici legalmente
acquisiti al processo ma non valutati criticamente. La sentenza impugnata è però
esente da tali censure avendo dato piena ed esaustiva contezza delle ragioni del
diniego. Il giudice del merito ha evidenziato che una carenza di tracce di polvere da
sparo sul giubbetto ben potrebbe comprovare che lo stesso non fosse stato indos-

sato al momento del fatto, stante anche la circostanza che ILM, il Panansi 4id aver
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4.1.4 – Occorre inoltre rilevare, nello specifico, che è notorio che le particelle di /
antimonio, piombo e bario, tipiche delle tracce di polvere da sparo dopo l’esplosione
di un colpo d’arma da fuoco, hanno una volatilità molto elevata in termini di tempo
(una settimana al massimo) sicché già a distanza di tempo dal rinvenimento del
giubbetto (quindici giorni dall’omicidio) un accertamento in questo senso non sarebbe stato dirimente o preciso in modo soddisfacente. A distanza di anni qualunque tipo di verifica tecnica sarebbe solo vana e irrilevante.
Le richieste istruttorie dunque non solo non hanno il connotato della decisività,
ma neppure della novità e non arrecherebbero alcun beneficio probatorio non con-

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le parti, che possono attuare il diritto alla prova, laddove lo ritengano, anche attra-

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sentendo, anche in questo caso, alcun progresso nell’accertamento della verità, ma
solo una sua inutile e dannosa dilazione.
4.2 — Anche il secondo motivo di gravame (doglianza costituente ragione di
parziale rinnovazione del dibattimento circa l’utilizzo di cocaina, da parte del Capellato, al momento del fatto).

parziale dell’istruttoria dibattimentale, va qui rilevato che non si comprende quale
possa essere la concreta rilevanza della eventuale assunzione da parte del Capellato di cocaina nell’ottica difensiva del ricorrente

he afferma di essere giunto presso
‘c
l’abitazione del sodale solo a omicidio avvenuto e quindi di essere comunque estraneo al medesimo delitto.
Peraltro non vi è alcuna prova di tale assunzione da parte del coimputato 5 che 9
infatti, non solo è circostanza non ammessa dal Capellato, ma neppure adombrata

dal Panarisi nelle sue diverse versioni, tenuto conto che l’eventuale uso di sostanze
euforizzanti per commettere il reato avrebbe potuto addirittura rilevare come aggravante valutativa della condotta del complice (non potendo certo valere come
scriminante), se non fosse notorio che questo genere di droga, neppure tra i suoi
effetti secondari, non ha, diversamente da altri stupefacenti, quello di scatenare
l’aggressività dell’assuntore; né è dato comprendere, in ultima analisi, come potrebbe essere effettuato un simile accertamento scientifico, a distanza di anni dal
fatto, onde ottenere un risultato che possa essere anche solo sufficientemente obbiettivo e dispiegare un qualche valore significativamente apprezzabile sotto il profilo probatorio.
4.3 — Parimenti manifestamente infondato è il terzo motivo di impugnazione
(contraddittorietà della motivazione nella parte in cui il giudice ha escluso la fondatezza della ricostruzione dei fatti operata dal ricorrente quanto alla sussistenza di
un movente).
4.3.1 — Trattasi per vero di mere valutazioni di fatto improponibili in questa sede di legittimità. Anche sul punto il giudice della cognizione ha dato ampia contezza
del proprio ragionamento probatorio sottraendosi a qualsivoglia censura.
4.4 — Il quarto motivo di ricorso (contraddittorietà della motivazione nella parte
in cui si esclude che Capellato dovesse del danaro a Di Giacomo e non intendesse

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4.2.1 — Con il ribadire quando già espresso in punto di richiesta di rinnovazione

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darglielo, circostanza meritevole di apprezzamento ai fini di rilevare il movente
dell’omicidio) è altresì infondato.
4.4.1 – La censura è irrilevante posto che è pacifico che il Capellato fosse in
condizioni economiche precarie e che i rapporti intrattenuti con il Di Giacomo il
giorno dell’omicidio vedevano su un ‘affare’ che doveva giovare al Panarisi piutto-

4.5 – Il quinto motivo di ricorso (violazione degli artt. 240 e 500 comma quarto
cod. proc. pen., nella parte in cui vengono utilizzate nei confronti di Panarisi le dichiarazioni di Capellato, nonostante la loro dichiarazione di inutilizzabilità) non è
fondato e deve essere respinto.
4.5.1 – Anche a voler eliminare le dichiarazioni del Capellato circa il contenuto
degli ultimi contatti con il Panarisi dal contesto di provaj_provando-nerC7)-ntempo_a
vi sono tutti gli altri elementi di causa analiticamente indicati dalla Corte di Assise di Appello per vanificare la versione del ricorrente, non da ultimo l’inverosimiglianza della riferita presenza del Panarisi, a suo
dire, sul luogo del delitto già avvenuto.
4.6 – Il sesto motivo di ricorso (contraddittorietà della motivazione laddove

22

viene valorizzato il sequestro della fondina quando in realtà trattasi di accessorio
valido per molti modelli di pistola tenendo conto che il ricorrente è stato già processato per violazione delle leggi sulle armi) è destituito di fondamento e deve essere
rigettato.
4.6.1 – Il giudice per vero valorizza la presenza della fondina rinvenuta presso
l’abitazione del Panarisi anche e soprattutto per evidenziare la dimestichezza del
prefato all’uso illecito delle armi (e al suo porto illegale, visto che una fondina ha
questa sua precipua finalità) e la sua compatibilità di utilizzo con un’arma del tipo
di quella impiegata nell’omicidio. Trattasi, in altre parole, di un indizio (positivo per
la tesi accusatoria) corroborante il solido quadro probatorio a carico del prevenuto e
di ciò viene data esaustiva e logica argomentazione dal giudicante.
4.7 – Il settimo motivo di ricorso (contraddittorietà o illogicità della motivazione laddove vengono esaltati i rapporti tra i coimputati nei giorno successivo al fatto
onde ritenere il pieno coinvolgimento del ricorrente) è manifestamente infondato e
deve essere dichiarato inammissibile.

Pubblica udienza: 30 ottobre 2013 — Capellato Emanuel + 1 — RG: 48186/13, RU:

13;

44.

sto che al Capellato.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – Prima Sezione penale

4.7.1 — Le censure del ricorrente sono anche in questo caso di mero fatto sottraendosi solo per questo al vaglio di legittimità. Così come, in fatto e indimostrata y
oltre che del tutto congetturale, è la circostanza che, a prescindere dal contenuto
effettivo degli sms esaminati dal giudice, non sarebbe da escludere che i rapporti
tra i due sodali fossero dì natura diversa da quella palesata.
4.8 — L’ottavo motivo di ricorso (contraddittorietà e illogicità della motivazione

nifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
4.8.1 — Trattasi di questioni meramente rivalutative del giudizio probatorio già
ampiamente espletato dal giudice la cui disamina è stata più sopra già evidenziata.
4.8.2 — Occorre qui aggiungere che non è ravvisabile in realtà alcuna incongruenza logica nelle affermazioni del secondo giudice là ove ritiene non essere attendibili le dichiarazioni del Panarisi in quanto non collimanti con quelle del coimputato.
A parte la considerazione che le affermazioni del ricorrente sono state valutate parzialmente non attendibili dal giudice anche nella parte contra se, tale scrutinio nasce dal raffronto con le dichiarazioni che il Capellato ha reso non nei confronti del
sodale, bensì contra se.
5. — Al rigetto dei ricorsi consegue di diritto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali

per questi motivi
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 30 ottobre 2013

Il

nsigliere estensore

laddove viene respinta la fondatezza della tesi difensiva offerta dal Panarisi) è ma-

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