Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47446 del 06/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47446 Anno 2013
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Fuda Cosimo nato a Siderno il 26/9/1976
avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano, sezione del riesame in data
23/5/2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott. Giulio Romano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 23/5/2013 la Corte d’Appello di Milano rigettava la
richiesta di sostituzione della misura della custodia in carcere applicata nei
confronti di Fuda Cosimo per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. con la
misura degli arresti domiciliari.
1.1. Avverso tale provvedimento proponeva appello l’imputato, eccependo
l’attenuazione del quadro cautelare che giustificava l’applicazione di una

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Data Udienza: 06/11/2013

misura meno afflittiva.
1.2.

Il Tribunale di Milano, sezione del riesame, con ordinanza del

27/6/2013, respingeva l’istanza proposta, confermando l’ordinanza
impugnata.

2.

Ricorreva per Cassazione personalmente l’imputato, sollevando i

seguenti motivi di gravame:

della motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e) cod. proc.
pen. in relazione agli artt. 275 commi 2 e 3, 299 comma 2 cod. proc. pen.
con riguardo all’adeguatezza ed alla proporzionalità della misura della
custodia in carcere rispetto all’entità del fatto ed alla sanzione irrogata;
rappresenta, al riguardo, di essere sottoposto alla misura cautelare della
custodia in carcere da oltre tre anni a fronte di una condanna alla pena di
quattro anni di reclusione.
2.2. violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc.
pen., in relazione all’art. 274 cod. proc. pen. con riferimento alle esigenze
cautelari. Evidenzia al riguardo la propria incensuratezza che può far
ritenere, dato il tempo trascorso, le esigenze cautelar’ insussistenti o
affievolite.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Il ricorso deve essere rigettato per essere infondati i motivi proposti.

Difatti la motivazione del provvedimento impugnato risulta esaustiva,
immune da palesi vizi di logica, coerente con i principi di diritto enunciati
da questa Corte e, pertanto, supera il vaglio di legittimità. Essa, prendendo
le mosse dalla recente decisione della Corte Costituzionale (sent. n. 57 del

2.1. violazione di legge nonché mancanza, contraddittorietà ed illogicità

2013), ha evidenziato che il ricorrente è accusato di partecipazione ad un
sodalizio di tipo mafioso facente capo alla ndrangheta ed operante in
Lombardia, che può contare sulla disponibilità di armi, reato per il quale si
è ritenuto permanere, alla luce della citata decisione del giudice delle
legge, la doppia presunzione di sussistenza delle esigenze cautelar’ e di
adeguatezza della sola misura della custodia in carcere; detta presunzione
può essere superata soltanto sulla base di elementi oggettivi,

che

dimostrino la rescissione del vincolo associativo, elementi idonei, quindi, a
giustificare la revoca della misura cautelare, ma non la sostituzione della

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custodia in carcere con altra misura meno afflittiva.
Il Tribunale di Milano, rilevando che non erano stati prospettati dei
mutamenti di fatto che possano indurre a considerare venute meno le
esigenze cautelari, ha confermato il giudizio prognostico emesso dalla
Corte d’Appello, ritenendo tuttora necessaria, in virtù della suddetta
presunzione di adeguatezza, la misura della custodia in carcere. A tal fine,
con motivazione in fatto congrua e priva di contraddizioni logiche, ha

novità evincibili in concreto erano costituiti dall’assenza di precedenti
penali, dalla mancanza di contatti con i supposti sodali nonchè dalla
condotta tenuta all’interno della struttura carceraria, elementi,
ragionevolmente considerati neutri rispetto alle esigenze di cautela
evidenziate, costituite dal concreto ed attuale pericolo di reiterazione di
condotte criminose.

4. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento.
4.1. Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in
libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter,
delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia
della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui
l’indagato si trova ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma
1 bis del citato articolo 94.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Si provveda a norma dell’articolo 94, comma 1 ter, delle disposizioni di
attuazione del codice di procedura penale.

Così deliberato in camera di consiglio, il 6 novembre 2013

evidenziato che, rispetto al precedente provvedimento, gli unici elementi di

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