Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47426 del 06/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47426 Anno 2013
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
Di Muro Andrea n.1’8.3.1988
awerso l’ORDINANZA del GIP del Tribunale di Melfi
del 3.5.2013
Udita la relazione fatta dal consigliere
PRESTIPINO ANTONIO
Lette le conclusioni del Procuratore Generale.

Data Udienza: 06/11/2013

Considerato in diritto
1.Premesso che il ricorso investe soltanto la convalida del fermo, come risulta dal petitum
precisato nelle conclusioni finali, e che è pacifica la gravità indiziaria, non contestata in ricorso e
del tutto logicamente affermata dal gip sulla base degli atti di indagine effettuati subito dopo la
rapina, si deve ritenere che il gip abbia fatto retta applicazione del principio, elaborato dalla
giurisprudenza di legittimità, secondo cui la sussistenza del pericolo di fuga ai fini dell’art. 274,
comma primo lett. b) cod. proc. pen. non deve essere desunta esclusivamente da comportamenti
materiali che rivelino l’inizio dell’allontanamento o una condotta indispensabilmente prodromica
(come l’acquisto del biglietto o la preparazione dei bagagli), essendo sufficiente stabilire, in base
tra l’altro alla concreta situazione di vita del soggetto, alle sue frequentazioni, ai precedenti penali,
ai procedimenti in corso, un reale ed effettivo pericolo, pur sempre interpretato come giudizio
prognostico e non come mera constatazione di un awenimento “in itinere” che, proprio per tale
carattere può essere difficilmente interrotto ed eliminato con tardivi interventi (Cass. Sez. 4,
Sentenza n. 29998 del 27/06/2006, Imputato: Lemma, citata nel provvedimento impugnato; cfr.
nello stesso, Cass. Sez. 1, Sentenza n.1520de127/03/1991 Imputato: Matina dove la precisazione
che il “pericolo di fuga” di cui è menzione negli artt. 274 lett. b) e 384 cod. proc. pen. può essere
ritenuto sussistente ogni qual volta, sulla base di elementi e fatti obiettivi, desumibili anche dalla
natura degli addebiti, sia rawisabile la ragionevole probabilità -e, quindi, non la semplice
possibilità, da una parte, e neppure la certezza o la quasi certezza, dall’altra- che l’inquisito, ove
non si intervenisse, farebbe perdere le proprie tracce; in motivazione, la Corte aggiunge che il
requisito della “fondatezza” e della “concretezza” del pericolo non implica che quest’ultimo sia
particolarmente intenso, cioè che sussista un grado di probabilità particolarmente elevato del
verificarsi della fuga, ma soltanto che si tratti di un pericolo reale, effettivo, e non immaginario;
altrimenti non si tratterebbe neppure di un pericolo). Al riguardo, il gip sottolinea efficacemente,
oltre alla gravità del fatto, i numerosi procedimenti penali in corso nei confronti del ricorrente per
reati contro il patrimonio e le sue condizioni personali.
1.1. A tali considerazioni, la difesa,oltre a vaghe affermazioni sulle modeste possibilità economiche
del ricorrente (indiscutibili con riguardo all’assenza di fonti di reddito lecite, diversamente
apprezzabili, invece, con riferimento ai proventi di attività delittuose nel campo dei reati contro il
patrimonio) oppone il rilievo che in tema di fermo il requisito del pericolo di fuga non possa essere
rawisato nel temporaneo allontanamento dal luogo del delitto, dovendosi, invece, fondare su
elementi specifici, dotati di capacità di personalizzazione e desumibili da circostanze concrete.

Ritenuto in fatto
1.Ricorre Di Muro Andrea per mezzo del proprio difensore, awerso l’ordinanza del gip del tribunale
di Melfi del 3.5.2013, che convalidò il fermo di pg disposto nei confronti del ricorrente in quanto
gravemente indiziato del reato di rapina aggravata in danno di Lomio Maria Giuseppa, e applicò la
misura cautelare della custodia in carcere.
1.1. Il gip, premessa la positiva verifica della gravità indiziaria con riguardo al tentativo del Di Muro
di “piazzare” la refurtiva subito dopo il fatto, ritiene in concreto la sussistenza dell’ulteriore
requisito del pericolo di fuga in considerazione delle condizioni personali del ricorrente, non
stabilmente inserito nel tessuto socio economico, della gravità del fatto e dell’esistenza di altri
procedimenti a suo carico per reati contro il patrimonio.
2.Deduce la difesa ai sensi art. 606 lett. c) c.p.p., il vizio di violazione di legge in relazione all’art.
384 co 1 c.p.p. ; i giudici territoriali avrebbero affermato il pericolo di fuga esclusivamente sulla
base della gravità delle imputazioni, senza considerare che il ricorrente era stato rintracciato poche
ore dopo il fatto presso la propria abitazione e che si tratterebbe di soggetto privo di risorse
economiche e di mezzi di trasporto; inoltre, il tribunale avrebbe indebitamente equiparato il
semplice allontanamento del ricorrente dal luogo del fatto ad una situazione di irreperibilità.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso i Roma, nella camera di consiglio, il 6.11.2013

L’argomento, per quanto apparentemente fondato su alcuni arresti di legittimità (cfr. ad es. Cass.
1, Sentenza n. 5244 del 10/01/2006 Imputato: Salaj), considera però solo un possibile aspetto
delle valutazioni relative al pericolo di fuga, che può essere desunto, alternativamente, anche
dalla ragionevole prognosi dei comportamenti futuri dell’indagato sulla base delle sue condizioni
personali e di altre circostanze oggettive. Tanto ha ritenuto il prowedimento impugnato, con
riferimento non solo alla gravità del fatto, ma anche a concrete indicazioni sulle condizioni
personali del Di Muro e al suo concorrente coinvolgimento in numerosi altri procedimenti per reati
contro il patrimonio, senza che su tali aspetti si registrino specifiche interlocuzioni difensive.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile per genericità, dovendosi al riguardo ribadire
il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità
secondo cui l’impugnazione è
inammissibile per genericità dei motivi qualora difetti la necessaria correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, il
cui contenuto non può di certo ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza
cadere, appunto, nel vizio di aspecificità (v., ex multis, Sez. 6, n. 39926 del 16/10/2008, dep.
24/10/2008, Rv. 242248; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, dep. 10/09/2007, Rv. 236945).
Alla dichiarazione di inammissibilità deve seguire la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata
all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di
inammissibilità.

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