Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47423 del 10/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 47423 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: ALMA MARCO MARIA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
• CIARAMITA Salvatore, nato a Trapani il giorno 14/5/1967
avverso la sentenza n. 3975/2014 in data 9/10/2014 della Corte di Appello di
Palermo;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita la relazione svolta in camera di consiglio dal relatore dr. Marco Maria
ALMA;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di Appello di Palermo, con sentenza in data 9/10/2014, confermava la
condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata dal Tribunale di Trapani, in
data 7/2/2012, nei confronti di CIARAMITA Salvatore, in relazione al reato di cui
all’art. 648 cod. pen.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo il seguente motivo:
violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta
responsabilità dell’imputato in relazione al reato in contestazione, non essendosi
raggiunta la prova che lo stesso fosse consapevole della provenienza illecita del
titolo di credito dallo stesso negoziato. In subordine chiede la derubricazione del
reato in contestazione in quello di cui all’art. 712 cod. pen.
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Le argomentazioni di cui al ricorso che in questa sede ci occupa sono
sostanzialmente le stesse già sottoposte alla Corte di Appello in sede di gravame
ed alle quali i Giudici distrettuali hanno dato una risposta congrua, non

Data Udienza: 10/11/2015

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manifestamente illogica o contraddittoria e conforme ai principi di diritto
enunciati in materia da questa Corte Suprema.
Il ricorso contiene elementi che propongono una diversa lettura degli elementi di
fatto che peraltro non compete al Giudice di legittimità.
Infatti, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai
poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la
mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione
delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402,
Dessimone, riv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione
dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di
merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le
ragioni del suo convincimento.
La novella codicistica, introdotta con la L. del 20 febbraio 2006, n. 46 ,che ha
riconosciuto la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il
riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di
impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane
pur sempre un giudizio di legittimità, sicchè gli atti eventualmente indicati (nella
specie il verbale di spontanee dichiarazioni dello stesso imputato), che devono
essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza del
ricorso (onere non adempiuto nel caso in esame), devono contenere elementi
processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili,
che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del
provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono
pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso.
Resta, comunque, esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze
acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso
una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa
ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità
delle fonti di prova.
Quanto poi all’elemento psicologico del reato di ricettazione anche in questo caso
la motivazione della sentenza impugnata va esente da critiche.
Quanto affermato in proposito dalla Corte di Appello risponde ai criteri
reiteratamente indicati da questa Corte in base ai quali “ai fini della
configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può
essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile – indicazione
della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della
volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede”
(Cass. Sez. 2, sent. n. 29198 del 25/05/2010, dep. 26/07/2010, Rv. 248265;
Sez. 2, sent. n. 16949 del 27/02/2003, dep. 10/04/2003, Rv. 224634; Sez. 2,
sent. n. 2436 del 27/02/1997, dep. 13/03/1997, Rv. 207313).
La corretta qualificazione della condotta dell’imputato come ricettazione
impedisce l’accoglimento dell’istanza subordinata di derubricazione del fatto nella
fattispecie di cui all’art. 712 cod. pen.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso
(Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene
equa, di euro mille a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro mille alla cassa delle
ammende.
Così deci l o i Roma il 10 novembre 2015.

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