Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47410 del 05/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47410 Anno 2013
Presidente: GENTILE DOMENICO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
Forina Vincenzo n. il 4.10.1942
avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo
del 25.2.2013
Udita la relazione fatta dal consigliere
PRESTIPINO ANTONIO
Sentito il Procuratore Generale in persona della d.ssa Maria Giuseppina Fodaroni che ha concluso per
rinammissibilità.

Data Udienza: 05/11/2013

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3 Deduce il ricorrente:
1.Violazione degli arti. 646 e 61 nr. 11 c.p. e difetto di motivazione quanto alla ritenuta configurabilità, nella
specie, del delitto di appropriazione indebita. La Corte di merito non avrebbe considerato che nella specie tra
le parti era stato stipulato un contratto d’opera professionale, che avrebbe abilitato il ricorrente a sollevare
reccezione di inadempimento ex art. 1460 c.p. e il corrispondente diritto di ritenzione.In ricorso è citata, tra
raltro, Cass. civ. n. 24010 del 27/12/2004, e altri arresti successivi conformi.
2.Violazione degli artt. 42 e 43 c.p. e difetto di motivazione in relazione alla valutazione del dolo. La Corte
avrebbe errato nel ritenere che nella specie il ricorrente si fosse definitivamente appropriato delle somme di
denaro di pertinenza del suo cliente, trattenute solo precariamente senza alcun atto di disposizione capace di
modificare il rapporto tra il detentore e la res.
Considerato in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato.
1.Come rilevano esattamente i giudici di merito, il fatto che il Forina potesse in astratto pretendere dai propri
clienti, a titolo di compenso professionale, somme maggiori di quelle liquidate a carico delle parti
soccombenti con la sentenza civile, è del tutto indifferente nelle valutazioni del caso. Nel momento in cui il
ricorrente trattenne per sé non solo le spese legali liquidate in sentenza, ma anche le somme destinate ai
clienti, egli non poteva infatti vantare alcuna maggiore pretesa per compensi professionali, non avendo mai
agito per ottenerne il riconoscimento. Ciò, anche a prescindere dalrulteriore, corretto rilievo, contenuto in
sentenza, che nemmeno per le spese legali liquidate dal giudice civile egli avrebbe potuto operare alcuna
Irattenutcf, non avendone chiesto la distrazione ai sensi delrart. 93 c.p.c.
2. Nella specie, il ricorrente non può quindi in alcun modo invocare il principio secondo cui l’omessa
restituzione della cosa e la sua ritenzione a titolo precario, a garanzia di un preteso diritto di credito, non
integra il reato di appropriazione indebita ai sensi dell’art. 646 cod. pen., in quanto non modifica il rapporto
tra il detentore ed il bene attraverso un comportamento oggettivo di disposizione “uti dominus” e l’intenzione
soggettiva di interversione del possesso (Cass. Sez. 2, Sentenza n.10774 del 25/01/2002, Imputato:
Vollero), perché egli non aveva alcun maggior credito certo, liquido ed esigibile in relazione alropera
professionale prestata a favore delle persone offese, e peraltro nemmeno ha dedotto di avere mai
rappresentato ai clienti di non potersi ritenere soddisfatto della liquidazione giudiziale (cfr. Cass. Sez. 2,
Sentenza n. 9225 del 06/07/1988, Imputato: LIANI, secondo cui nel reato di appropriazione indebita non
può essere fatto valere il principio della compensazione con credito preesistente, allorché si tratti di crediti
non certi nel loro ammontare, ne’ liquidi né esigibili; a fortiori il principio vale nel caso di specie, perché, in
definitiva, il presunto maggior credito del ricorrente per compensi professionali era assolutamente incerto
anche nelran, non essendo affatto scontato che la liquidazione giudiziale delle spese del processo civile
dovesse essere ritenuta inadeguata).
2.1. Non si vede, quindi, quale Inadempimentd’ il Forina potesse contestare alle persone offese, sul quale
innestare il diritto di ritenzione delle somme ricevute per loro conto, che avrebbe dovuto invece senz’altro
versare ai propri clienti. Le circostanze del fatto sono state poi adeguatamente valorizzate dai giudici di
merito come prova delrinterversio possessionis, essendo in effetti la volontà appropriativa desumibile dal
silenzio a lungo serbato dall’Imputato sull’importo delle somme effettivamente percepite nell’Interesse dei
clienti, che ignari delresecuzione della sentenza civile ad opera della parte soccombente, avevano avviato le
procedure coattive per il recupero del proprio credito.
3. In conclusione, del tutto correttamente la sentenza impugnata ha applicato al caso di specie il principio
secondo cui commette il delitto di appropriazione indebita il mandatario che, trattenga definitivamente la
Sez. 2,
somma ricavata dalresecuzione del mandato invece di rimetterla al mandante (Cass
Sentenza n.46586 del 29/11/2011 imputato Semenzato e altro); e altrettanto correttamente ha escluso che
rastratta previsione normativa del diritto di ritenzione valesse a scriminare il ricorrente, in assenza di
qualunque accertamento del diritto sostanziale presidiato dalla garanzia speciale (in sentenza è citata Cass.
19.11.1998 nr. 1410).
Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 1000,00

Ritenuto in fatto
1. Ha proposto ricorso per cassazione Forina Vincenzo, avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo
del 25.2.2013 , che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal locale Tribunale il
28.1.2011, per il reato di appropriazione indebita in danno di Fortunato Sergio e Fortunato Antonio.
2. Secondo l’accusa, il Fori, esercente la professione legale, avendo patrocinato le persone offese in una
causa civile, con esito vittorioso, aveva poi indebitamente trattenuto per sé parte delle somme liquidate dal
giudice in favore dei suoi clienti.

alla cassa delle ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella
determinazione della causa di inammissibilità;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento della somma di euro 1000 alla cassa delle ammende.
Così deciso “n Ri a, il 5.11.2013.

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