Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47409 del 10/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 47409 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: ALMA MARCO MARIA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
• LENTINI Emiliano, nato a Milano il giorno 25/6/1978
avverso la sentenza n. 585/14 in data 13/5/2014 del Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Monza;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita la relazione svolta in camera di consiglio dal relatore dr. Marco Maria
ALMA;

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il G.I.P. presso il Tribunale di Monza, con sentenza in data 13/5/2014, applicava,
tra gli altri, nei confronti di LENTINI Emiliano la pena concordata dalle parti ex
art. 444 c.p.p., in relazione al reato di cui agli artt. 110, 628 cod. pen.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
– con il primo motivo di ricorso, violazione di legge con riferimento alla ritenuta
sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen.;
– con il secondo il motivo di ricorso, vizio di motivazione con riferimento alla
mancata congrua valutazione di clausole di proscioglimento ex art. 129 cod.
proc. pen. ed alla congruità della pena concordata.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
Per consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, di recente ribadito
dalle Sezioni Unite (sentenza n. 5838 del 28/11/2013, dep. 06/02/2014, in
motivazione), in tema di patteggiamento, il ricorso per cassazione può
denunciare anche l’erronea qualificazione giuridica del fatto, così come
prospettata nell’accordo negoziale e recepita dal giudice, in quanto la

Data Udienza: 10/11/2015

qualificazione giuridica è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore
su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. b) cod. proc. pen. Nondimeno, l’errore sul nomen iuris o sulla qualificazione
di una circostanza aggravante deve essere manifesto, secondo il predetto
orientamento, che ne ammette la deducibilità nei soli casi in cui sussista
l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre
deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini
di opinabilità.

aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen., così come proposta dalle parti e
positivamente delibata dal giudice a quo.
Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente
infondato.
E’, innanzitutto, principio costantemente affermato dalla Suprema Corte, in tema
di patteggiamento, che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi
di cui al citato art. 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica
motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata
compiuta la verifica richiesta dalle legge e che non ricorrono le condizioni per la
pronuncia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.” (Sez. U, n. 10372 del
27/09/1995, Serafino, Rv. 202270; da ultimo, Sez. 1, n. 4688 del 10/01/2007,
Brendolin, Rv. 236622). Nel caso di specie la sentenza impugnata si è attenuta
correttamente al suddetto principio escludendo espressamente la sussistenza di
una delle cause di cui all’art. 129 c.p.p.
Quanto poi al trattamento sanzionatorio, va ricordato che per consolidato
orientamento di questa Corte di legittimità, di recente ribadito dalle Sezioni Unite
(sentenza n. 5838 del 28/11/2013 – 06/02/2014, in motivazione), la censura
relativa alla determinazione della pena concordata – e stimata corretta dal
giudice di merito – non può essere dedotta in sede di legittimità, al di fuori
dell’ipotesi di determinazione contra legem. Ipotesi che, di certo, non ricorre nel
caso di specie.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso
(Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene
equa, di euro millecinquecento a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro millecinquecento alla
cassa delle ammende.
Così deriso in oma il 10 novembre 2015.

Nel caso di specie, la deducibilità dell’invocato errore deve essere esclusa, non
risultando prima facie erronea o strumentale la sussistenza della circostanza

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