Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47398 del 10/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 47398 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: ALMA MARCO MARIA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
• DI STEFANO Frenk, nato a Caltagirone il giorno 8/2/1994
avverso la sentenza n. 6364/14 in data 23/9/2014 della Corte di Appello di
Milano;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita la relazione svolta in camera di consiglio dal relatore dr. Marco Maria
ALMA;

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 23/9/2014, in parziale
riforma della sentenza del locale Tribunale in data 11/3/2014, escludeva
l’aggravante di cui al comma 3, nr. 3-bis, dell’art. 628 cod. pen. e
conseguentemente rideterminava in misura ritenuta di giustizia la pena irrogata
all’imputato DI STEFANO Frenk in relazione al contestato reato di tentata rapina
aggravata.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
– con il primo motivo di ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato in relazione al reato
contestato, in luogo di valutare la sussistenza dell’ipotesi di desistenza volontaria
ex art. 56, comma 3, cod. pen.
– con il secondo il motivo di ricorso, vizio di motivazione con riferimento alla
mancata concessione della circostanza attenuante del recesso attivo di cui all’art.
56, comma 4, cod. pen. in quanto l’imputato con la propria condotta avrebbe

Data Udienza: 10/11/2015

I primi due motivi di ricorso, che appaiono meritevoli di trattazione congiunta,
sono inammissibili, in quanto manifestamenti infondati.
Trattasi di questione giuridica già posta in entrambi i gradi del Giudizio di merito
e risolta in entrambe le decisioni con motivazione congrua e conforme ai principi
di diritto più volte enunciati da questa Corte Suprema.
Deve al riguardo essere innanzitutto evidenziato che legittimo è il richiamo per
relationem operato dalla Corte di Appello alla sentenza di primo grado, vedendo
la questione proposta con il gravame su di una problematica giuridica la cui
soluzione i Giudici distrettuali hanno evidenziato di condividere pienamente.
Del resto è principio consolidato che, nel giudizio di appello, è consentita la
motivazione “per relationem” alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le
censure formulate dall’appellante non contengano elementi di novità rispetto a
quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata.
(Cass. Sez. 2, sent. n. 30838 del 19/03/2013, dep. 18/07/2013, Rv. 257056).
Quanto poi all’impossibilità di configurare come desistenza volontaria quella
tenuta dall’imputato in occasione dell’intrapreso tentativo di consumazione della
rapina, va detto che i Giudici del merito hanno evidenziato come l’imputato entrò
nella farmacia unitamente ad un complice impugnando un coltello ed intimando
al magazziniere di aprire la cassaforte, dandosi poi alla fuga solo allorquando si
avvide della presenza nel locale anche del titolare della farmacia, sopraggiunto
da un locale attiguo e che con le sue grida attirava l’attenzione invocando aiuto.
Questa era stata la ragione per la quale l’imputato si era spaventato e si era dato
alla fuga.
Correttamente in una situazione simile non si può parlare né di desistenza
volontaria né di recesso attivo dall’azione criminosa.
Infatti “in tema di desistenza dal delitto, la volontarietà non deve essere intesa
come spontaneità, per cui la scelta di non proseguire nell’azione criminosa deve
essere non necessitata, ma operata in una situazione di libertà interiore,
indipendente da fattori esterni idonei a menomare la libera determinazione
dell’agente” (Cass. Sez. 2, sent. n. 7036 del 29/01/2014, dep. 13/02/2014, Rv.
258791).
In sostanza, in tema di tentativo, ricorre l’ipotesi di desistenza volontaria solo
qualora l’agente abbia ancora l’oggettiva possibilità di consumare il reato in
quanto ancora nel pieno dominio dell’azione in atto (cfr. in tal senso Cass. Sez.
6, sent. n. 40678 del 11/10/2011, dep. 09/11/2011, Rv. 251058) e ciò perché
per aversi desistenza volontaria dall’azione delittuosa occorre che la
determinazione del soggetto agente sia stata libera e non coartata e, cioè, che la
prevalenza dei motivi di desistenza su quelli di persistenza nella condotta
criminosa si sia verificata al di fuori delle cause che abbiano impedito il
proseguimento dell’azione o l’abbiano reso assolutamente vano (Cass. Sez. 1,
sent. n. 46179 del 02/12/2005, dep. 19/12/2005, Rv. 233355).

impedito il verificarsi dell’evento allontanandosi volontariamente dalla farmacia
nella quale era entrato al fine di compiere la rapina;
– con il terzo motivo di ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche
con giudizio di prevalenza sulle circostanze aggravanti di cui all’art. 628, comma
3 n. 1, cod. pen.

Manifestamente infondato è, infine anche il terzo motivo di ricorso.
Quanto al trattamento sanzionatorio, inscindibilmente legato al bilanciamento
delle circostanze attenuanti generiche con le aggravanti contestate, la Corte di
Appello, anche in questo caso attraverso un legittimo richiamo anche alle
motivazioni dei Giudici di prime cure, ha reso una motivazione da ritenersi
assolutamente congrua.
Per il resto appare sufficiente rammentare che le statuizioni relative al giudizio di
comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale
tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non
siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da
sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la
soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare
l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Cass. Sez. U, sent. n. 10713 del
25/02/2010, dep. 18/03/2010, Rv. 245931).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso
(Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene
equa, di euro mille a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro mille alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 10 novembre 2015.

Ora, nel caso in esame, è di tutta evidenza che proprio la comparsa di un
ulteriore soggetto presente nel teatro della rapina, le urla legate alla richiesta di
aiuto da parte di questi evidenzianti una chiara resistenza della vittima ad
accedere alla richiesta di consegna del denaro abbiano reso assolutamente vano
il tentativo del DI STEFANO di portare a compimento l’azione delittuosa
preferendo darsi alla fuga per evitare ulteriori conseguenze.
Alla luce degli accadimenti l’imputato aveva oramai perso il pieno controllo
dell’azione così determinando l’impossibilità di ipotizzare nei suoi confronti una
desistenza volontaria e tantomeno un recesso attivo nel senso richiesto
rispettivamente dai commi 3 o 4 dell’art. 56 cod. pen.

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