Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47397 del 10/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 47397 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: ALMA MARCO MARIA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
• MARTINO Giuseppe, nato a Melito di Porto Salvo il giorno 16/3/1966
avverso la sentenza n. 3859/14 in data 12/5/2014 della Corte di Appello di
Milano;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita la relazione svolta in camera di consiglio dal relatore dr. Marco Maria
ALMA;

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 12/5/2014, in parziale
riforma della sentenza in data 28/9/2012 del Tribunale di Monza, Sezione
Distaccata di Desio, dichiarava non doversi procedere nei confronti di MARTINO
Giuseppe in relazione ai fatti di cui al capo A) della rubrica delle imputazioni
antecedenti al dicembre 2006 e quanto al capo C) della rubrica stessa per i fatti
antecedenti al dicembre 2001, in quanto estinti per prescrizione e nel
confermare la condanna dell’imputato per gli ulteriori fatti-reato allo stesso in
contestazione (artt. 572, 582, e 577, 629 cod. pen.) riduceva la pena irrogata
all’imputato in misura ritenuta di giustizia.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
– con il primo motivo di ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento alla ritenuta responsabilità per il reato di estorsione che avrebbe
dovuto essere riqualificato in quello di cui all’art. 610 cod. pen. poiché l’imputato
versava regolarmente in famiglia i proventi della propria attività lavorativa e,
quindi, nel richiedere il denaro alla moglie riteneva di esercitare una pretesa

Data Udienza: 10/11/2015

In data 4/11/2015 la difesa dell’imputato ha fatto pervenire nella Cancelleria di
questa Corte Suprema una memoria difensiva datata 2/11/2015 con la quale si
contesta la possibilità di dichiarare inammissibile il ricorso e si chiede che lo
stesso venga assegnato ad altra sezione di questa Corte Suprema.
I primi due motivi di ricorso appaiono meritevoli di trattazione congiunta e sono
manifestamente infondati e, per l’effetto, inammissibili.
La Corte di Appello con motivazione congrua alle pagine 14 e 15 della sentenza
impugnata ha evidenziato in fatto che le continue richieste di denaro fatte
dall’imputato alla moglie finivano ben presto per intaccare anche il magro
stipendio della donna, il che correttamente consente di integrare il reato di
estorsione e non certo un diverso reato.
Quello menzionato dai Giudici di merito è un accertamento di fatto che non è
suscettibile di revisione in sede di legittimità soprattutto in presenza di un ricorso
caratterizzato da affermazioni apodittiche e prive di allegazioni documentali che
comprovino la fondatezza della tesi difensiva.
Infatti, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai
poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la
mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione
delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402,
Dessimone, riv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione
dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di
merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le
ragioni del suo convincimento.
Anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato oltre che generico e,
quindi, a sua volta inammissibile.
La Corte di Appello ha chiaramente evidenziato le ragioni legate all’imposto
trattamento sanzionatorio (cfr. pag. 15 e 16 della sentenza impugnata) ed è
appena il caso di ricordare che la graduazione della pena, anche in relazione agli
aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti,
rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per
fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod.
pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione,
miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione

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legittima. Il fatto che la Corte ha ritenuto che il MARTINO pretendesse dalla
moglie ffizt la consegna di somme di denaro provento dell’attività lavorativa di
quest’ultima sarebbe frutto di una mera presunzione priva di supporto
probatorio;
– con il secondo il motivo di ricorso, vizio di motivazione con riferimento al
contenuto della testimonianza della persona offesa, anche in relazione ai profili
indicati al punto che precede;
– con il terzo motivo di ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento al trattamento sanzionatorio.

non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del
30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie non ricorre.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso
(Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene
equa, dì euro mille a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro mille alla cassa delle
ammende.
Così de so in Rima il 10 novembre 2015.

Non ricorre alcuna ragione per assegnare il ricorso ad altra Sezione di questa
Corte Suprema come richiesto con la memoria aggiuntiva del ricorrente, essendo
questa Sezione competente a decidere secondo i criteri tabellari e non ricorrendo
alcuna situazione di incompatibilità dei componenti il Collegio giudicante.

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