Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47360 del 19/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 47360 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: GALLO DOMENICO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PAVONCELLI GIOVANNA N. IL 25/01/1963
avverso la sentenza n. 9777/2008 CORTE APPELLO di ROMA, del
08/03/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DOMENICO GALLO;

Data Udienza: 19/09/2013

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza in data 8/W2012, la Corte di appello di Roma, confermava la sentenza del
Tribunale di Roma, in data 17/6/2008, che aveva condannato Pavoncelli Giovanna alla pena di
mesi 6 di reclusione ed C. 200,00 di multa per il reato di ricettazione di assegni.
Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputata deducendo vizio della motivazione in
relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Il ricorso è inammissibile in quanto fondato su motivi non consentiti nel giudizio per
cassazione perchè manifestamente infondati.
In punto di diritto è sufficiente rilevare che la sussistenza dell’elemento soggettivo
nel reato di ricettazione (vale a dire la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa)
può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento
dell’imputato e dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa
ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente
spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. Sez. 2^, 27.2/13.3.1997, n. 2436, Rv.207313;
conf. Sez. 2, Sentenza n. 25756 del 11/06/2008 Ud. (dep. 2506/2008 ) Rv. 241458).
Del resto, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite: “l’elemento psicologico della
ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza
della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della
cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio ” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12433 del
26/13/2009 Ud. (dep. 30/03/2010 ) Rv. 246324). Nel caso di specie correttamente la
sentenza impugnata ha dedotto la sussistenza dell’elemento soggettivo dalla mancata
indicazione della provenienza della cosa ricevuta in coerenza con l’indirizzo giurisprudenziale
sopra richiamato. Le osservazioni della ricorrente, in ordine alla propria buona fede, si
traducono in mere censure in fatto, inammissibili perché tendenti a provocare un intervento
di questa Corte in sovrapposizione argomentativa rispetto alle conclusioni legittimamente
assunte dai giudici del merito.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché — ravvisandosi profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle
ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza
n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro 1.000,00
(mille/00).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 19 settembre 2013
Il Consigliere estensore

Il P

nte

CONSIDERATO IN DIRITTO

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