Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47303 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 47303 Anno 2015
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Aquila Alessandro, nato a Roma il 5/09/1968
avverso il decreto del 16/01/2014 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile.
RITENUTO IN FATTO

1. Con il decreto in epigrafe, la Corte di appello di Roma rigettava
l’impugnazione di Alessandro Aquila avverso il decreto del Tribunale di Roma che
gli aveva applicato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s.
per la durata di anni due.
La Corte adita riteneva irrilevante ai fini del giudizio di pericolosità sociale
la circostanza addotta dalla difesa che nel procedimento pendente per reato
associativo il ruolo dell’Aquila era stato ridimensionato da organizzatore a
partecipe, in quanto era stato accertato uno stabile inserimento del medesimo
nella compagine sociale criminale dedita al narcotraffico, come dimostravano i
numerosi contatti con i sodali e con i referenti sudamericani dell’organizzazione e
i frequenti viaggi in Europa e in America.

Data Udienza: 12/11/2015

La medesima Corte rilevava che Aquila non aveva mai svolto attività
lavorativa sino al 2010 (data dalla quale risultava cogestire una autorimessa di
proprietà del padre, utilizzata secondo le indagini come copertura delle attività
criminali) e che, nonostante che la moglie avesse dichiarato redditi solo per il
2002-2005 e addirittura negativi per il 2004-2005, quest’ultima aveva acquistato
nel marzo 2005 un immobile per 122.000 euro ed il proposto una autovettura

della somma contante di euro 2.300. Secondo la Corte, gli accertati cospicui
introiti dell’organizzazione criminale alla quale aveva partecipato il proposto
erano i soli idonei a dimostrare le suddette possidenze.
La Corte riteneva infine le prospettate precarie condizioni di salute allegate
dal proposto (depressione endogena) non di gravità tale da incidere
significativamente sul livello di pericolosità sociale accertato nel procedimento
per il reato associativo e quindi sulla durata del periodo di sottoposizione alla
misura.

2. Avverso il suddetto decreto, ricorre per cassazione il difensore del
proposto, articolando un unico motivo di impugnazione, con cui ne denuncia la
nullità, per carenza di motivazione sul punto della pericolosità sociale, avendo in
modo apodittico svilito la portata e l’efficacia degli elementi addotti dalla difesa.
In particolare, la Corte di appello avrebbe confuso illogicamente il requisito
della stabilità, tipico del reato associativo, con la stabilità della semplice
partecipazione a detto reato, nel caso di specie mancante poiché l’Aquila avrebbe
avuto un solo contatto con l’organizzazione e non sarebbe stato accertato nel
giudizio un inserimento organico di questi nella compagine criminale.
In secondo luogo, la Corte adita suggestivamente avrebbe qualificato
l’attività lavorativa del preposto come “di copertura”, mentre dalle indagini
sarebbe risultata una regolare attività dell’Aquila presso il garage. In ogni caso,
ad avviso del ricorrente, nessun bene intestato all’Aquila è stato rinvenuto dagli
inquirenti.
Infine, il ricorrente deduce che è assolutamente infondato e superficiale il
giudizio di non gravità formulato nel decreto quanto alle precarie condizioni di
salute del preposto.

2

nuova nel 2009 ed era stato trovato in possesso nel 2010 di sei orologi Rolex e

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso in quanto articolato su motivi diversi da quelli consentiti dalla
legge e comunque manifestamente infondati, è inammissibile.

2. Come di recente hanno riaffermato le Sezioni Unite di questa Corte, nel

violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n.
1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575,
con la conseguenza che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal
novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di
cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare
con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con
decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art.
4 legge n. 1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente
apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014 – dep. 29/07/2014, Repaci e altri,
Rv. 260246).
E’ evidente che il ricorso in esame sottopone all’apprezzamento del giudice
di legittimità profili sui quali non può certo dirsi che la motivazione del decreto
impugnato sia affetta da carenza o mera apparenza.
Invero, il provvedimento impugnato ha valutato tutte le deduzioni difensive,
indicando specificatamente gli elementi dimostrativi posti a sostegno della loro
irrilevanza.
Il ricorrente deduce piuttosto come vizio di motivazione mancante o
apparente la sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, sono stati
presi in considerazione dal giudice o comunque risultano assorbiti dalle
argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato, che, come
hanno chiarito le richiamate Sezioni Unite, esula dal sindacato in

subiecta

materia del giudice di legittimità.

3. Alla declaratoria d’inammissibilità, consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e a quello della somma, che stimasi equa, di
euro 1.000,00, alla cassa delle ammende.

3

procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e a quello della somma di euro 1.000 in favore della
Cassa delle ammende.

Così deciso il 12/11/2015.

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