Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4730 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 4730 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALCAGNI IVO N. IL 03/11/1945
avverso la sentenza n. 18430/2012 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 17/01/2003
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE
SANDRINI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. V Vro
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Data Udienza: 03/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Calcagni Ivo ha proposto ricorso straordinario per errore di fatto ex art. 625bis cod.proc.pen. in relazione alla sentenza 17.01.2013 di questa Corte che,
rigettando il ricorso dell’imputato avverso la sentenza 17.05.2011 della Corte
d’Appello di Roma, ha reso definitiva nei suoi confronti la condanna alla pena di
anni 6 di reclusione per i reati fallimentari ivi giudicati, tra i quali rientrano i fatti
di bancarotta fraudolenta aggravati ai sensi dell’art. 219 comma 1 legge
fallimentare ascritti al capo A del procedimento riunito rubricato al n. 20300 del

In particolare, il ricorrente deduce di aver depositato in data 8.04.2011 nella
cancelleria della Corte d’Appello di Roma motivi aggiunti di gravame ai sensi
degli artt. 585 comma 4 cod.proc.pen. e 167 disp.att. cod.proc.pen. a mezzo dei
quali lamentava la nullità ex artt. 521 e 522 del codice di rito della sentenza di
primo grado per difetto di contestazione della circostanza aggravante del danno
patrimoniale di rilevante gravità, che era stata ritenuta e applicata dal Tribunale
di Roma con riguardo al capo A della rubrica; l’eccezione di nullità era stata
rigettata dalla Corte d’Appello e il Calcagni aveva proposto sul punto uno
specifico motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge, che era stato
dichiarato inammissibile con la sentenza oggetto di ricorso straordinario sul
presupposto (errato) che si trattava di una questione nuova, in quanto non era
stata dedotta con l’atto d’appello ed era perciò indeducibile (per la prima volta)
in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606 comma 3 cod.proc.pen..
Il ricorrente rileva la natura di errore percettivo, oggettivamente e
immediatamente riconoscibile da una semplice lettura degli atti difensivi e dei
provvedimenti giudiziari allegati, dell’errore di fatto in cui è incorsa la Corte nel
dichiarare l’inammissibilità del motivo di ricorso di cui sopra, determinato da una
svista materiale nell’esame degli atti processuali e perciò deducibile nelle forme
del ricorso straordinario ex art. 625-bis cod.proc.pen., in quanto incidente in
modo decisivo nella formazione del processo decisionale, viziato dall’inesatta
percezione delle risultanze processuali che aveva comportato un’omessa
pronuncia – o comunque una pronuncia diversa da quella che sarebbe stata
adottata se non vi fosse stato l’errore – sul motivo devoluto; conclude chiedendo
l’adozione dei provvedimenti necessari a correggere l’errore, mediante la
celebrazione di un nuovo giudizio di legittimità a carico del Calcagni sul punto
relativo alla dedotta nullità delle sentenze di merito per aver applicato
un’aggravante che non era stata contestata dal pubblico ministero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, nella sua parte rescindente, è fondato e merita accoglimento.
2. Dall’esame degli atti allegati al ricorso emerge per tabulas:
1

2002.

- che la sentenza 18.12.2008 del Tribunale di Roma aveva ritenuto responsabile
e condannato Calcagni Ivo per il reato (tra gli altri) di bancarotta fraudolenta
ascrittogli, in concorso con altri soggetti, al capo A del procedimento riunito
rubricato al n. 20300/02, con l’aggravante di cui all’art. 219 comma 1 L.F.;
– che il Calcagni aveva appellato la sentenza di condanna, deducendo (tra le altre
doglianze), nei motivi aggiunti tempestivamente depositati ex art. 585 comma 4
cod.proc.pen., la nullità della sentenza per violazione delle norme di cui agli artt.
521 e 522 del codice di rito poste a presidio del principio di correlazione tra

al succitato capo A del procedimento n. 20300/02 – la circostanza aggravante
dell’aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità, pur non essendo
stata la relativa circostanza contestata nel capo d’imputazione e non avendo il
pubblico ministero proceduto ad alcuna modifica della contestazione originaria
nel corso del dibattimento;
– che la Corte d’Appello di Roma aveva rigettato e comunque disatteso
l’eccezione di nullità, argomentando nel senso che “l’imputazione contiene i
requisiti fondamentali del fatto nel quale l’aggravante consiste, nella fattispecie
rappresentato dal danno patrimoniale grave cagionato ai creditori, qui
indiscutibile, atteso il rilevante valore economico, puntualmente riportato nelle
imputazioni, degli atti di distrazione contestati”, richiamando il precedente di cui
a “Cass. 47863/03, secondo cui ai fini della contestazione di una circostanza
aggravante non è indispensabile una formula specifica espressa con sua
enunciazione letterale, né l’indicazione della disposizione di legge che la prevede,
essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e
decisione, l’imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la propria
difesa sugli elementi di fatto integranti l’aggravante” (pag. 16 della sentenza
d’appello pronunciata il 17.05.2011); e aveva rideterminato la pena inflitta al
Calcagni nella misura complessiva di anni sei di reclusione, individuando il reato
più grave, in relazione al quale era stata quantificata la pena base su cui erano
stati applicati gli aumenti per la continuazione con i reati satelliti, proprio nella
bancarotta fraudolenta aggravata di cui al capo A del procedimento n. 20300/02;
– che nel ricorso per cassazione proposto avverso la decisione di secondo grado il
Calcagni aveva dedotto, tra gli altri motivi, l’omesso accoglimento da parte della
Corte territoriale della censura di nullità concernente il difetto di contestazione
dell’aggravante di cui al 10 comma dell’art. 219 L.F., censurando il ragionamento
in forza del quale la Corte d’Appello aveva ritenuto che l’aggravante fosse stata
contestata in fatto e l’imputato fosse stato posto in grado di difendersi sul merito
dell’accusa (pagine 24-27 del ricorso), chiedendo l’annullamento, sul punto, della
sentenza impugnata per inosservanza degli artt. 522 e 604 comma 1

2

accusa e sentenza, nella parte in cui il Tribunale aveva applicato – con riguardo

cod.proc.pen. in relazione al capo A del procedimento 20300/02;
– che la sentenza n. 10180 del 17/01/2013 di questa Corte, reiettiva del ricorso
del Calcagni, ha dichiarato inammissibile il motivo de quo, ai sensi dell’art. 606,
ultimo comma, cod.proc.pen., sul presupposto che si trattava di una questione
nuova, non riguardante una nullità assoluta, che non era stata dedotta con l’atto
d’appello (pag. 15).
3. Da quanto precede emerge in modo evidente che la Corte di legittimità è
incorsa in un errore di fatto rilevante, avente le caratteristiche richieste per

La pronuncia della Corte, che ha dichiarato l’inammissibilità del motivo di ricorso,
non contiene, infatti, alcuna valutazione (neppure implicita) sulla dedotta
questione di nullità delle sentenze di merito, ma si fonda esclusivamente
sull’errata percezione, ascrivibile a una svista materiale in cui è incorsa la Corte
nella lettura degli atti processuali, della mancata deduzione di uno (specifico)
motivo d’appello sul punto, che era stato invece – pacificamente – proposto nei
motivi nuovi depositati dal Calcagni ai sensi dell’art. 585, comma 4, del codice di
rito avverso la sentenza del Tribunale di Roma (tanto da indurre la Corte
d’Appello a pronunciarsi al riguardo, ritenendo infondato il gravame sul
presupposto che la circostanza aggravante di cui al 10 comma dell’art. 219 L.F.
era da intendersi contestata in fatto, in guisa da escludere qualsiasi violazione
del principio del contraddittorio e del diritto di difesa), errore di percezione che
ha indotto la Corte ad omettere, su tale solo presupposto, l’esame contenutistico
del motivo di ricorso.
L’errore percettivo in cui è incorsa la Corte si è tradotto in un vizio effettivo del
procedimento decisionale su un punto rilevante (e decisivo) per l’esito del
giudizio di legittimità riguardante il Calcagni, che avrebbe potuto condurre a una
soluzione diversa (vedi Sez. 6 n. 35239 del 21/05/2013, Buonocore, Rv.
256441) a seguito dell’esame – e in ipotesi di eventuale accoglimento – della
questione di nullità afferente la rituale contestazione di una circostanza
aggravante ad effetto speciale (concernente, tra l’altro, il reato individuato come
più grave tra quelli unificati sotto il vincolo della continuazione dal giudice di
merito), incidente sia sulla misura della pena che sul computo del termine di
prescrizione del reato; si impone pertanto la celebrazione di nuovo giudizio
(rescissorio) di legittimità su tale limitato punto.
4. La sentenza n. 10180 del 17/01/2013 di questa Corte deve pertanto essere
revocata, nei soli confronti di Calcagni Ivo, limitatamente al punto della decisione
che ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso concernente la contestazione
della circostanza aggravante di cui all’art. 219, comma 1, legge fallimentare
relativamente al reato di cui al capo A del procedimento 20300/02; gli atti vanno

3

essere corretto ed eliminato nelle forme dell’art. 625-bis del codice di rito.

di conseguenza rimessi al Presidente di Sezione per la fissazione dell’udienza
pubblica di trattazione del ricorso proposto dal Calcagni sul punto predetto
P.Q.M.
revoca la sentenza oggetto di ricorso straordinario nei confronti di Calcagni Ivo
limitatamente al punto concernente l’aggravante di cui all’art. 219 comma 1
legge fallimentare relativa al capo A del procedimento 20300/02 e dispone
rimettersi gli atti al Presidente di Sezione per la fissazione dell’udienza pubblica
di trattazione del ricorso proposto avverso la sentenza d’appello relativamente al

Così deciso il 3/12/2013

punto predetto.

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