Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47280 del 05/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 47280 Anno 2015
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARIO FRANCO N. IL 17/10/1969
avverso la sentenza n. 1287/2012 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 17/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LAURA SCALIA
011t(
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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N
Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 05/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza emessa in data 17.02.2014, la Corte d’Appello di
Catanzaro, in parziale accoglimento dell’appello proposto da Franco Mario ed
in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Castrovillari, pronunciata
all’esito di giudizio abbreviato in data 11.04.2012, ha confermato la penale
responsabilità dell’imputato per il reato di evasione ascrittogli ed ha
rideterminato la pena in otto mesi di reclusione, escludendo gli effetti della

L’imputato è stato ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 385 cod.
pen. perché il giorno 23.06.2011, mentre si trovava sottoposto alla misura
cautelare degli arresti domiciliari, in esito a controlli di personale operante,
egli veniva rinvenuto in strada, a circa sei, sette metri di distanza dal
portone principale della propria abitazione presso la quale faceva repentino
ritorno, una volta accortosi della presenza delle forze dell’ordine.

2. Avverso l’indicata sentenza, il difensore di Franco Mario propone ricorso
per cassazione, articolando tre motivi che possono sinteticamente riportarsi
nei termini che seguono.

2.1. Con il primo motivo, la difesa dell’imputato fa valere la nullità delle
sentenze emesse in primo e secondo grado per violazione delle norme
processuali stabilite a pena di nullità (art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc.
pen. relativamente agli artt. 178, 179, 477, comma 1, e 486, comma 3, cod.
proc. pen.).
La difesa lamenta come l’imputato, in stato di detenzione, dopo aver
rinunciato espressamente a presenziare alla prima udienza dibattimentale,
non sia stato più tradotto alle successive udienze.
Il ricorrente fa valere pertanto l’errore in cui sarebbero incorsi i Giudici di
primo e secondo grado, nell’ attribuire alla rinunzia dell’imputato, detenuto,
a presenziare alla singola udienza dibattimentale il significato di rinuncia a
presenziare all’intero dibattimento, articolato in più udienze.
Deduce la difesa a sostegno del proposto ricorso, come una siffatta
lettura della norma urterebbe con la nozione stessa di udienza e sarebbe
destinata a tradursi in una invalida estensione degli effetti di un atto
dispositivo del diritto di difesa – quale è la rinuncia a presenziare alla singola
udienza -, in difetto di una sicura ricostruzione, in tal senso, della volontà
dell’imputato.

1

recidiva.

2.2. Con il secondo motivo, la parte denuncia (artt. 606 lett. e), cod.
proc. pen., in relazione agli artt. 125, comma 3, 192, comma 1, e 546 lett.
e), cod. proc. pen.) la mancanza dì motivazione o la motivazione apparente
della sentenza.
Il ricorrente lamenta, per il dedotto vizio, la distanza registrata tra le
emergenze processuali, in punto di prova, e la motivazione adottata dai
Giudici di appello e, comunque, nella motivazione, la carenza dei passaggi
necessari a rendere comprensibile, e verificabite, l’iter logico osservato.

il reato di evasione, non darebbero contezza dell’elemento oggettivo del
reato nonché della coscienza e della coscienza e volontà del Franco di
allontanarsi dal domicilio, luogo di espiazione della misura.
Deporrebbe in senso contrario alla ritenuta integrazione del reato:
a)

quanto all’elemento oggettivo, il limitato spostamento in cui si

sarebbe tradotto il contestato allontanamento dal luogo degli arresti
domiciliari e la dedotta, in ricorso, natura pertinenziale, rispetto
all’abitazione, del contesto in cui sarebbe stato rivenuto l’imputato, al
momento del controllo;
b) quanto all’elemento soggettivo, la circostanza che, avvistate le forze
dell’ordine, l’imputato avrebbe fatto rientro nell’abitazione provvedendo ad
aprire la porta d’ingresso dell’abitazione, in tal modo dimostrando, il primo,
l’assenza di dolo e quindi dell’intenzione di sottrarsi ai controlli delle forze
dell’ordine o, ancora, l’intento di mettere in pericolo la tempestività degli
stessi.

2.3. Con il terzo motivo la parte fa valere la motivazione mancante ed
incompleta dell’impugnata sentenza (art. 606 lett. e) cod. proc. pen.),
richiamando gli estremi della motivazione di stile o apparente, in relazione a
specifiche doglianze formulate nell’atto di appello e relative alla misura della
pena applicata in primo grado e confermata in appello sia per errata
interpretazione del certificato del casellario (che avrebbe riportato una unica
e non una duplice precedente condanna) sia per la mancata concessione
delle circostanze attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, la rinuncia a
comparire all’udienza da parte dell’imputato detenuto produce i suoi effetti,
non solo per l’udienza in relazione alla quale la prima è stata formulata, ma
2

Gli esiti della prova, posti a fondamento dell’affermata responsabilità per

anche per quelle successive, fissate a seguito di rinvio a udienza fissa, e ciò
fino a quando il primo non manifesti la volontà di essere nuovamente
tradotto (Sez. 4, 26/03/2014 n. 27974, Bruno, Rv. 261567; Sez. 5,
15/07/2010 n. 36609, Panzariello e altri, Rv. 248433; Sez. 1, 31/01/2000 n.
744, Pianese, Rv. 215500).
La regola è quindi quella, di contro a quanto dedotto dalla difesa del
ricorrente, dell’efficacia estensiva della rinuncia, efficacia superabile solo
dietro una nuova manifestazione di volontà di segno contrario – o revoca –

I riportati principi hanno trovato piena e conforme valutazione nella
motivazione spesa dai Giudici di appello, anche per la parte in cui gli stessi
richiamano la sentenza di primo grado, restando pertanto la spesa
motivazione immune da vizi logici e come tale non censurabile questa sede.

2. Il secondo motivo è inammissibile.
Ed infatti, in adesione a consolidata giurisprudenza di questa Corte, la
Corte di appello ha ritenuto l’esistenza degli estremi obiettivi del contestato
reato di evasione nella condotta assunta dal prevenuto.
Questi infatti si è allontanato di qualche metro dal portone dell’abitazione
principale, tentando poi di farvi repentinamente rientro, una volta accortosi
dell’intervento del personale operante preposto ai controlli sulla misura
custodiale.
Come questa Corte ha più volte affermato, integra il reato di evasione
qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza
autorizzazione, non rilevando la durata e la distanza dello spostamento o i
motivi che inducono il soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato custodiate
(Sez. 6, 09/06/2015, n. 28118, Rapino, Rv. 263977; Sez. 6, 21/03/2012, n.
11679, Fedele).
Premesso come la finalità del reato sia quella di agevolare i controlli di
polizia sulla reperibílità dell’imputato, controlli che debbono rivestire il
carattere della prontezza e non della aleatorietà (Sez. 6, 21/10/2014, n.
4830, Capkevíca, Rv. 262155; Sez. 6, n. 3212 del 18/12/2007, Perrone;
Sez. 6, 07/01/2003, Favero), questa Corte ha ritenuto, secondo una lettura
restrittiva della norma, che costituisca abitazione solo il luogo in cui la
persona conduce la propria vita domestica e privata.
Resta in tal modo esclusa qualsiasi altra appartenenza – sia essa
costituita da aree condominiali, da dipendenze, giardini, cortili e spazi simili
-, che non si trovi in un legame pertinenziale con l’abitazione e di questa
non costituisca parte integrante.
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della parte.

L’impugnata motivazione dà conto, congruamente, del fatto che il Franco
venne sorpreso al momento del controllo mentre si trovava per strada, in un
luogo posto ad una distanza tale dal portone principale dell’abitazione da
interrompere ogni nesso di accessorietà o dipendenza con l’abitazione
stessa.

2.1 E’ manifestamente infondato, e come tale inammissibile, l’ulteriore
vizio con cui la difesa lamenta come, per l’impugnata sentenza, la Corte di

La Corte di merito ha fatto corretta applicazione della costante
giurisprudenza di legittimità, per la quale il reato contestato è sostenuto dal
dolo generico, caratterizzato dalla consapevolezza nell’agente di allontanarsi
in assenza della necessaria autorizzazione (Sez. 6, 08/05/2012, n. 19218,
Rapillo, Rv. 252876; Sez. 6, 06/11/2008, n. 44969, lussi).
I Giudici di appello hanno infatti correttamente motivato sull’esistenza
dell’indicato estremo dalla condotta osservata dall’imputato che, dopo aver
avvistato gli operanti, ha fatto repentino rientro nell’abitazione.
In tal modo sono stati congruamente valorizzati della condotta assunta
dal Mario quei contenuti che, inequivocamente, denunciano come alla prima
si accompagni coscienza e volontà dell’agente di essersi sottratto alla misura
ed ai connessi controlli.

3. Con il terzo motivo, la difesa lamenta la nullità della sentenza per
carenza di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio applicato.
Il motivo è inammissibile.
La difesa dell’imputato denuncia invero in ricorso la mancata concessione
delle attenuanti generiche, motivando in tal senso dall’errore in cui sarebbe
incorsa la Corte di appello ritenendo la presenza di duplice precedente nel
certificato del casellario laddove quest’ultimo avrebbe invece presentato
un’unica pregressa condanna.
La parte non sostiene siffatta deduzione attraverso la produzione del
certificato giudiziale per consentire a questa Corte di rilevare l’errore di
lettura dei Giudici di secondo grado.
In detto quadro congruamente la Corte territoriale motiva dai precedenti
– qualificati quali «preminente indice segnaletico di capacità a delinquere»

in ordine alla non concedibilità delle attenuanti generiche, riservando in

tal modo a siffatto profilo del ritenuto trattamento sanzionatorio, puntuale
ed autonomo momento di valutazione.

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appello non avrebbe motivato sull’estremo della colpevolezza.

La dedotta concedibilità delle attenuanti generiche (art. 62 bis cod. pen.)
che, per loro intrinseca natura, deduce la difesa, troverebbero applicazione
anche se: il fatto sia grave; il reo abbia precedenti penali; la pena sia
irrogata in misura superiore al minimo; non rinviene invece riscontro in
ragione, proprio, della obiettiva disciplina dell’indicato istituto.
Come espresso da questa Corte, anche uno tra gli elementi indicati
dall’art. 133 cod. pen. – attinente ad esempio alla personalità del colpevole,
e ritenuto prevalente – può essere sufficiente a negare il riconoscimento del

24/09/2008, Caridi) senza che sia necessario uno specifico apprezzamento
per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato
(Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003, Anaclerio).
L’ipotesi si apprezza come integrata nella specie giusta la spesa
motivazione, congrua e non contraddittoria e come tale non sindacabile in
sede di legittimità, secondo cui la Corte ha valorizzato la personalità del
colpevole, nella ritenuta, per l’appunto, «preminenza>> dei precedenti.

4. Il ricorso va quindi dichiarato come inammissibilmente proposto ed il
ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali ed al
pagamento della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed alla somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

beneficio (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone; Sez. 6, n. 42688 del

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