Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47253 del 18/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47253 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 18/11/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Petrovich Jordan, n. a Busto
Arsizio (VA) il 31.07.1971, rappresentato e assistito dall’avv. Enrico
Moschini, di fiducia, avverso l’ordinanza del giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Torino, n. 6872/2015, in data
10.06.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale, dott. Massimo
Galli, che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento
impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1

1. Con ordinanza ex art. 263 cod. proc. pen. in data 10.06.2015, il
giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino
rigettava l’istanza, presentata nell’interesse di Petrovich Jordan, di
restituzione della somma di euro 9.295,00 al medesimo sequestrata
in data 04.02.2015, in presenza dell’astratta configurabilità del reato
di cui all’art. 648 cod. pen..
2. Avverso detto provvedimento, nell’interesse di Petrovich Jordan,

viene proposto ricorso per cassazione, lamentandosi violazione
dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 240 e
648 cod. pen.. In particolare, si afferma che il giudice ha
illogicamente argomentato in relazione alla presunta connessione tra
il peculio posto sotto sequestro ed il reato di ricettazione, invertendo
l’onere probatorio con riferimento alla sussistenza del

fumus del

reato. Si evidenzia altresì la carenza di motivazione avendo il
giudicante omesso di argomentare in ordine alla dedotta lecita
provenienza della somma in sequestro in relazione alla quale era
stata assunta la provenienza dalla vendita di un camper e la
detenzione da parte del Petrovich giustificata con la mancata titolarità
di un conto corrente.
3. Con requisitoria scritta in data 07.09.2015, il Procuratore generale
ha evidenziato come non potesse affrontarsi il merito del ricorso non
rientrando la misura cautelare reale nell’ambito applicativo dell’art.
611 cod. proc. pen..

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è generico e manifestamente infondato e, come tale,
risulta inammissibile.
2. Afferma la giurisprudenza di questa Suprema Corte, come il ricorso
per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro
preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in
tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o
“in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da
rendere

l’apparato

argomentativo

posto

a

sostegno

del

provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere
comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr.,

ex multis,

2

Sez. 5, sent. n. 43068 del 13/10/2009, dep. 11/11/2009, Bosi, Rv.
245093).
Nella nozione di violazione di legge – per cui soltanto può essere
proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1 cod.
proc. pen. – rientrano sia la mancanza assoluta di motivazione sia la
presenza di una motivazione meramente apparente, in quanto
entrambe le ipotesi sono correlate all’inosservanza di precise norme

processuali, ma non vi rientra l’illogicità manifesta, che può
denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed
autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606, comma 1 lett. e), cod.
proc. pen. (Sez. 6, sent. n. 7472 del 21/01/2009, dep. 20/02/2009,
P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916).
3. Invero, in materia di misure cautelari reali, in sede di legittimità
così come in sede di riesame, non è consentito verificare la
sussistenza del reato ma solo accertare se il fatto contestato sia
configurabile quale fattispecie astratta di reato, in termini di
sommarietà e provvisorietà propri della fase delle indagini preliminari.
La misura cautelare reale attiene infatti a “cose” che vengono
rappresentate con un tasso di “pericolosità”, collegandosi con un
reato, e la conservazione del sequestro – volto a limitare la “libera
disponibilità” delle stesse – prescinde da qualsiasi verifica in merito
alla fondatezza dell’accusa, la quale introdurrebbe nel procedimento
incidentale un

“thema decidendi”

procedimento principale (cfr.,

coinvolgente l’oggetto del

ex multis,

Sez. U, sent. n. 7 del

23/02/2000, dep. 04/05/2000; Sez. 3, sent. n. 23214 del
10/02/2004, dep. 18/05/2004).
Fermo quanto precede, del tutto congrua e totalmente esente da vizi
logico-giuridici appare la motivazione del Tribunale secondo cui
l’accertamento della sussistenza del

fumus delicti commissi

va

compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati,
che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne
la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno
valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono – in
una prospettiva di ragionevole probabilità – di sussumere l’ipotesi
formulata in quella tipica. Da qui la giustificata conclusione secondo
cui il Collegio, pur non entrando nel merito delle contestazioni
accusatorie elevate ritiene che

“permangano i presupposti del

3

sequestro in esame, posto che, per un verso, gli indagati hanno
fornito difformi giustificazioni in ordine alla provenienza del denaro di
cui si discute (Petrovich dicendo che era provento della propria
attività di vendita di pedane e Braidic dicendo che era provento della
vendita di un automezzo, peraltro risultato ancora nella disponibilità
dei prevenuti), di modo che risulta sussistente l’astratta
configurabilità del reato di cui all’art. 648 cod. pen.; per altro verso, il

ordine alla reale provenienza del denaro di cui si discute …”.
4. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si
determina equitativamente in euro 1.000,00

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del
18.11.2015

Il Consigliere estensore
Dott. Ar3drei Pellegrino_

Il Presidente
D tt. Franco Fiandanese
cuQ5)

mantenimento del vincolo è indispensabile per gli accertamenti in

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