Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4724 del 20/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 4724 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI MAIO VINCENZO N. IL 29/10/1944
avverso l’ordinanza n. 2/2013 CORTE APPELLO di PALERMO, del
26/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
lette/serrtite le conclusioni del PG Dott.
C.52-P {~-•‘-e.e) C9f-51-‘
C1/4.71-4-Na

Uditi difensor Avv.;

C-D1/4/:

Data Udienza: 20/11/2013

L: e/

Ritenuto in fatto.

1.11 26 febbraio 2013 la Corte d’appello di Palermo, in funzione di giudice

dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata nell’interesse di Vincenzo Di
Maio,volta ad ottenere la detrazione dal computo complessivo del periodo di
detenzione sofferto in esecuzione delle pene inflitte per i primi due reati
successivamente riuniti per la continuazione3:, con sentenza del 2 aprile 2012, con

Il giudice dell’esecuzione richiamava, condividendoli, attesa l’identità della
fattispecie esaminata, i principi enunciati dalla Prima Sezione Penale di questa
Corte (cfr. sentenza n. 20567 del 2012 che aveva rigettato il ricorso di Rosario
Inzerillo, condannato nel medesimo procedimento instaurato a carico di Di Maio)
secondo cui il riconoscimento della continuazione, con conseguente determinazione
di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale, non
comporta che la differenza così formatasi sia automaticamente imputata alla
detenzione da eseguire, operando, anche in tale eventualità, il disposto dell’art. 657,
comma 4, c.p.p., secondo cui a tale fine vanno computate solo la custodia cautelare
sofferta e le pene espiate dopo la commissione del reato con conseguente scissione
del reato continuato nelle singole violazioni che lo compongono.
2.Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il
difensore di fiducia, Vincenzo Di Maio, il quale lamenta mancanza,
contraddittorietà e rronife>ta illogicità della motivazione, te
thìvl co ■mi-ak2_,
‘ziattat~ernifrincipi adottati nell’ordine di esecuzione dal Procuratore

generale, che ha detratto dalla pena complessiva da espiare quella di quattro anni,
due mesi di reclusione, pari a quella inflitta a titolo di continuazione,
individuandola, senza alcuna giustificazione, nel periodo 18 luglio 1997-17
settembre 2001, nonostante che quei periodi fossero stati espiati in forza di un
valido titolo e, comunque, prima della commissione del reato per il quale doveva
essere determinata la pena da eseguire, considerato che la condotta associativa si era
protratta fino al giugno 2006.
Osserva, inoltre, che la soluzione adottata contrasta con la ratio sottesa all’art.
81 cpv c.p e viola le regole poste dagli artt. 533, comma 2, e 597, comma 4, c.p.p.,
attesa la mancata diminuzione della pena, nonostante l’intervenuto riconoscimento
in appello, all’esito dell’impugnazione proposta dall’imputato, del vincolo della
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un altro e più grave reato, successivamente commesso.

continuazione tra il fatto per il quale veniva giudicato e quelli per i quali lo era già
stato condannato
La soluzione adottata nel provvedimento impugnato determina, inoltre,
un’ingiustificata disparità di trattamento tra chi, per i diversi reati in continuazione,
venga giudicato in un’unica sentenza e chi, invece, venga condannato con diverse
sentenze separatamente eseguite.
In subordine eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 657, comma 4,

Osserva in diritto.

Il ricorso non è fondato.
1.La Corte premette che non sono denunciabili con il ricorso per cassazione i
vizi della motivazione nelle questioni di diritto affrontate dal giudice di merito in
relazione alla argomentazioni giuridiche dette parti, in quanto o le medesime sono
fondate, e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà
luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge, ovvero sono
infondate e, allora, il rigetto della domanda non può dar luogo ad alcun vizio di
legittimità della pronuncia giudiziale, tenuto conto anche del disposto di cui all’art.
619 c.p.p., comma 1, che consente di correggere, ove necessario, la motivazione
quando la decisione in diritto sia comunque corretta (Sez. 5, n. 4173 del 22 febbraio
1994; Sez. 1, n. 4931 del 17 dicembre 1991 ).
2.Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il principio sancito
dall’art. 657, comma 4, in base al quale sono computate soltanto la custodia
cautelare o le pene sine titulo espiate dopo la commissione del reato per il quale
deve essere determinata la pena da eseguire, trova applicazione anche nel caso in
cui il cd. credito di pena si sia formato a seguito del riconoscimento in fase
esecutiva della continuazione fra taluni reati, con la conseguente determinazione di
una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale (Sez. 1, n.
8109 dell’il febbraio 2010; Sez. 1, n. 25186 del 17 febbraio 2009; Sez. 1, n. 1680
del 6 marzo 2000; Sez. 1, n. 5537 dell’ 11 novembre 1998; Sez. 1, n. 523 del 27
gennaio 1997; Sez. 1, n. 2421 del 23 maggio 1994).
Di conseguenza, il riconoscimento della continuazione tra più reati in sede
esecutiva, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a
quella risultante dal cumulo materiale, non comporta che la differenza così
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c.p.p. per violazione degli artt. 3, 25, 27, comma 3, Cost.

formatasi sia automaticamente imputata alla detenzione da eseguire, operando
anche in detta eventualità il disposto dell’art. 657, comma 4, c.p.p. secondo cui a tal
fine vanno computate solo custodia cautelare sofferta e pene espiate sine titulo dopo
la commissione del reato, e si deve conseguentemente scindere il reato continuato
nelle singole violazioni che lo compongono.
Sotto tutti questi profili, il provvedimento impugnato ha fatto corretta
applicazione dei principi in precedenza enunciati.

ricorrente, oltre ad essere genericamente formulati, non tengono conto di quanto
affermato dalla Corte Costituzionale, sia pure con riferimento all’art. 271
dell’abrogato codice di rito (cfr. sentenza. n. 13 del 1979), e della lettura logicosistematica dell’art. 657, comma 4, c.p.p., volta ad assicurare la funzione retributiva
e quella special – preventiva della pena e ad evitare che taluno possa fare conto, al
momento della commissione di un reato, di eventuali “crediti” di pena già espiata
per delinquere, contando sulla impunità acquisita.
Invero, anche nel caso di c.d. “credito di pena”, formatosi a seguito al
riconoscimento in fase esecutiva della continuazione fra taluni reati con la
conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante
dal cumulo materiale, vale sempre il principio, che è a base della fungibilità della
pena, secondo cui la pena non può precedere il reato, ma solo seguirlo, principio
che trova esplicita affermazione nell’art. 657, comma 4, c.p.p. Tale principio vale
anche nel caso che il nuovo reato, pur successivo alla esecuzione della pena, sia
stato commesso anteriormente all’accertamento giudiziale che abbia reso inutile
l’espiazione della pena, costituito, nella specie, dal riconoscimento della
continuazione. Invero, la situazione di chi comunque sia nelle condizioni di poter
beneficiare di provvedimenti giudiziari che rendano sine titulo periodi di detenzione
già sofferti è, dal punto di vista psicologico, notevolmente diversa da quella di chi
non ha neppure modo di far calcoli di sorta in ordine alla possibilità di computare
pene già espiate in funzione della commissione di nuovi reati.
L’applicazione nei termini anzidetti del principio di fungibilità della pena
discende non soltanto dalle sue finalità preventive, ma anche dal principio di
obbligatorietà della pena, la quale sorge dal reato e consegue ad esso e, quindi,
presuppone un rato già commesso ed accertato; risponde, altresì, alle finalità
rieducative della pena (art. 27, comma 3, Cost.) che possono avere senso anche se
3

2. I profili di illegittimità costituzionale dell’art. 657 c.p.p., prospettati dal

riferite ad altro reato, ma che certamente non possono mai riguardare un reato
ancora da commettere (cfr. Corte Cost. sentenza n. 442 del 1988).
Le considerazioni svolto inducono a ritenere manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 657, comma 4, c.p.p., sollevata in via
subordinata dal ricorrente, anche con riferimento alla pretesa disparità di
trattamento che sarebbe riservata al condannato che abbia espiato sine titulo una
pena.

infondate, in quanto avrebbero dovuto formare oggetto dei motivi d’impugnazione
nell’ambito del processo di cognizione.
4.A1 rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma, il 20 novembre 2013.

3.Le ulteriori censure sul trattamento sanzionatorio sono manifestamente

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