Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4721 del 20/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 4721 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
ROMA
nei confronti di:
DI STEFANO MASSIMO N. IL 06/02/1964
avverso l’ordinanza n. 1265/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
07/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. C –

Uditi difensor Avv.;

c-122j,Ut

Data Udienza: 20/11/2013

Ritenuto in fatto.

1.Con ordinanza del 7 febbraio 2013 la Corte d’appello di Roma, in funzione di
giudice dell’esecuzione, riconosceva nei confronti di Massimo Di Stefano il
beneficio della continuazione tra i reati giudicati con sentenze della Corte d’appello
di Roma rispettivamente in data 27 ottobre 2009 (irrevocabile il 23 giugno 2010) e
il 14 giugno 2011 (irrevocabile il 24 luglio 2012) e, per l’effetto, rideterminava la

Il giudice fondava la sua decisione sulla sostanziale contiguità temporale dei
fatti, consumati tra il maggio e il giugno 2008, sulla identità delle norme violate
(art. 628 c.p.) e sulle analoghe modalità di commissione dei fatti (rapine a mano
armata ai danni di esercizi commerciali), elementi tutti espressivi dell’esistenza di
un programma delittuoso predeterminato.
2.Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Roma, il quale
lamenta erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione, non
emergendo dagli atti circostanze idonee a comprovare un collegamento psicologico
tra i reati ritenuti avvinti dalla continuazione, costituenti piuttosto l’espressione di
abitualità e professionalità nel delitto.
3.11 22 ottobre 2013 il difensore di Di Stefano depositava una memoria
difensiva con la quale eccepiva la tardività dell’impugnazione del Procuratore
generale che non risultava depositata nella cancelleria della Corte d’appello di
Roma nei termini di legge. Infatti l’ordinanza, depositata in cancelleria il 20 marzo
2013, era stata comunicata in pari data al Procuratore generale che aveva apposto il
visto il 26 febbraio 2013. Il ricorso per cassazione, interposto il 28 marzo 2013,
risultava depositato in pari data presso l’Ufficio affari penali della Procura generale,
ma né sull’originale del ricorso né in altri atti risultava attestata la data del deposito
dell’atto d’impugnazione presso la cancelleria della seconda sezione penale della
Corte d’appello di Roma, ufficio che aveva adottato il provvedimento impugnato.
Osserva in diritto.

Il ricorso è manifestamente infondato.
1.Come eccepito dalla difesa Di Stefano, manca in atti la prova della
tempestività dell’impugnazione proposta dal Procuratore generale presso la Corte
1

pena complessiva in sei anni di reclusione ed euro 2.700 di multa.

d’appello di Roma in assenza dell’attestazione sull’originale del ricorso o su altri
atti risultava della data del deposito dell’atto d’impugnazione presso la cancelleria
della seconda sezione penale della Corte d’appello di Roma, ufficio che aveva
adottato il provvedimento impugnato.
2.In ogni caso il ricorso è inammissibile, in quanto pur denunziando
formalmente una violazione di legge e mancanza della motivazione, non critica in
realtà la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla formazione del

con essa, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in sede d’indagine
di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura
razionale del provvedimento impugnato abbia -come nella specie- una sua chiara e
puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole
della logica, alle risultanze del contenuto delle sentenze acquisite, indicative di
un’unica, originaria preordinazione criminosa.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso, in Roma, il 20 novembre 2013.

convincimento del giudice, sollecita, in realtà, una rilettura degli elementi di fatto e,

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