Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47185 del 29/01/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 47185 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Minasi Saverio, nato a Oppido Mamertina il 10/09/1941

avverso l’ordinanza del 07/09/2012 del Tribunale di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Giuseppe Volpe, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Il 07/09/2012, il Tribunale di Milano rigettava l’appello proposto ex art.
310 cod. proc. pen. nell’interesse di Saverio Minasi avverso un’ordinanza emessa
dal G.i.p. dello stesso Tribunale in data 16/07/2012: il provvedimento del G.i.p.
era stato reiettivo di una richiesta della difesa volta a far dichiarare l’inefficacia

Data Udienza: 29/01/2013

della misura cautelare in atto a carico del prevenuto, nei confronti del quale era
stato celebrato un processo con rito abbreviato definitosi con sentenza del
19/11/2011, recante la condanna del Minasi alla pena di anni 9 e mesi 2 di
reclusione. Detto processo si riferiva ai reati contestati al Minasi ai capi 1, 24,
152, 153, 154, 155, 156, 157 e 158 della rubrica, e l’ordinanza ammissiva del
rito speciale era intervenuta il 04/05/2011: a seguito di sospensione dei termini
di restrizione ex art. 304, comma 2, del codice di rito, la scadenza del termine di
fase era stata prorogata al 24/11/2011, ergo la sentenza di condanna risultava

La difesa, rilevato che il giudicante si era assegnato termine di novanta
giorni per il deposito della motivazione, poi prorogato dal Presidente del
Tribunale di ulteriori sessanta giorni (fino al 17/04/2012), aveva segnalato che la
sentenza risultava essere stata depositata solo nel giugno 2012, sostenendo
dovesse derivarne la sopravvenuta inefficacia del titolo di restrizione in quanto il
termine per il deposito della pronuncia avrebbe dovuto intendersi ricompreso
nella relativa fase di giudizio, mentre il termine di fase previsto dall’art. 303,
comma 1, lett. c) cod. proc. pen. comincerebbe a decorrere solo a seguito della
trasmissione degli atti alla Corte di appello.
Contrariamente all’assunto difensivo, il Tribunale di Milano – analizzata la
ratio e il combinato disposto delle previsioni di cui agli artt. 544, comma 3, cod.
proc. pen. e 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen. – richiamava la
giurisprudenza di legittimità secondo cui il periodo di redazione della
motivazione, oltre a determinare la sospensione dei termini di custodia cautelare
laddove espressamente disposto, deve intendersi ricadere già nella fase
successiva a quella conclusa, dal momento che il citato art. 303, co. 1, lett. c) fa
riferimento alla data della “pronuncia” della sentenza.

2. Propongono ricorso per cassazione i difensori del Minasi, deducendo
violazione di legge processuale con riguardo agli artt. 303 e 304 cod. proc. pen.,
nonché carenza di motivazione del provvedimento impugnato.
La difesa, ribadite le scansioni cronologiche evidenziate dai giudici milanesi e
confermata la circostanza che la scadenza del termine di restrizione del
ricorrente era stato prorogato al 17/04/2012, fa rilevare che «la sospensione dei
termini di durata della custodia cautelare, disposta ai sensi dell’art. 304, comma
1, lett. c-bis, cod. proc. pen., durante il periodo previsto dall’art. 544, comma 3,
cod. proc. pen. e 154, comma 4-bis, disp. att. cod. proc. pen. cessa alla
scadenza del termine prorogato, ed è da tale data che riprendono a decorrere i
termini di custodia cautelare […]. In vero, l’effetto sospensivo è limitato al lasso
temporale contemplato dall’art. 544, commi 2 e 3, cod. proc. pen. non

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pronunciata cinque giorni prima.

estendendosi all’eventuale ritardo nel deposito della sentenza». Dalla premessa
appena segnalata, e dalla conferma della tesi già prospettata secondo cui «il
termine per il deposito della sentenza, nella fattispecie in disamina, rientra nella
relativa fase di giudizio», i difensori deducono la contraddittorietà della decisione
del Tribunale, che inspiegabilmente non avrebbe accolto il gravame.

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Alla pagina 2 del ricorso presentato dalla difesa si coglie infatti un evidente
contrasto logico fra le tesi sostenute e quelle che si ritengono le valutazioni
operate dal Tribunale, laddove si afferma da un lato che «il termine per il
deposito della sentenza, nella fattispecie in disamina, rientra nella relativa fase di
giudizio» e subito dopo si precisa che questa sarebbe anche l’interpretazione
fatta propria dai giudici di merito («così come correttamente il collegio afferma, a
pag. 4 della prefata ordinanza, richiamando quella giurisprudenza di legittimità
che, in merito alla fase di operatività della sospensione dei termini di durata
massima della custodia cautelare, ha espressamente affermato che il periodo di
redazione della sentenza – ovviamente se non si verifichi sospensione dei
termini ex art. 304 – ricada già nella fase successiva a quella conclusa, ai sensi
dell’art. 303, co. 1, lett. b) e c), dalla pronuncia della sentenza»). E’ evidente
che la premessa non collimi con la conclusione: sostenere che il termine per il
deposito della motivazione di una sentenza debba rientrare, ai fini del computo
della scadenza della restrizione di un imputato in vinculis, “nella relativa fase di
giudizio”, è infatti l’esatto contrario dell’affermazione secondo cui quel termine
ricade “già nella fase successiva a quella conclusa”.
A riguardo, nell’interesse del ricorrente si citano due precedenti di questa
Corte che risalgono al 1996, non a caso contenenti l’affermazione di principi in
antitesi: in una occasione si sostenne che «la sospensione dei termini massimi di
custodia cautelare per il tempo concesso per la redazione della sentenza,
secondo quanto previsto dall’art. 304 comma 1 lett. c), deve essere disposta dal
giudice di primo grado, che può farlo anche dopo la pronuncia della sentenza,
purché non siano scaduti i termini di fase, ma incide sulla fase del primo grado e
non su quella del giudizio d’appello per il quale i termini massimi di custodia
cautelare decorrono dal giorno della pronuncia della sentenza di primo grado e
non dal novantesimo giorno successivo a questo» (Cass., Sez. V, n. 4600 del
25/10/1996, Sanfilippo, Rv 206152); pochi mesi prima, pur ribadendo che «la
competenza ad emettere il provvedimento sospensivo, ai fini della redazione

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CONSIDERATO IN DIRITTO

della motivazione della sentenza, spetta al giudice che ha pronunziato la
sentenza medesima», questa stessa Sezione aveva però rilevato che «per
quanto concerne […] la fase di operatività della sospensione, deve ritenersi che il
periodo di redazione della motivazione ricada già nella fase successiva a quella
conclusa, ai sensi dell’art. 303 comma primo lett. b) e c) dalla “pronuncia” della
sentenza; e pertanto ricada nella fase di appello» (Cass., Sez. V, n. 3676 del
19/07/1996, Casciana, Rv 205556).
Il collegio ritiene di aderire a quest’ultimo indirizzo, che peraltro appare

chiarito ulteriormente che «l’art. 304, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., che
prevede la sospensione dei termini di durata della custodia cautelare durante il
tempo occorrente per la redazione della sentenza, la quale è necessariamente
successiva alla pronuncia della decisione, non può che riferirsi al termine della
fase in corso, e quindi, quando sia stata pronunciata sentenza di primo grado, a
quello della fase di appello» (Cass., Sez. VI, n. 2366 del 13/06/1997, Interlici,
Rv 208354; v. anche Cass., Sez. III, n. 36396 del 15/07/2003, Ait Abdelmalk
Hassan).
Appare altresì significativo prendere atto che anche il primo degli approdi cui
era pervenuta questa Corte nella prima delle pronunce sopra ricordate risulta
oramai superato, giacché «in tema di misure cautelari personali, il
provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare può essere
deliberato anche da un giudice diverso da quello dinanzi al quale si è verificata la
causa che ha dato luogo alla sospensione, dovendosi rispettare, come unica
condizione di legittimità del provvedimento sospensivo, che nel momento in cui
venga adottato non siano già scaduti i termini di custodia cautelare che
l’ordinanza intende sospendere» (Cass., Sez. III, n. 3637 del 15/12/2010, M., Rv
249157; v. anche Cass., Sez. V, n. 37656 del 07/06/2012, Scozzari, Rv 254556,
secondo cui «compete al giudice di appello il potere di adottare il provvedimento
di sospensione dei termini di custodia cautelare per la durata del tempo di
redazione della sentenza di primo grado»). Le Sezioni Unite hanno peraltro
risolto un ulteriore contrasto interpretativo in senso coerente a quest’ultimo
indirizzo, affermando sotto altro profilo che «è legittimo il provvedimento di
sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, in pendenza dei
termini per la redazione della sentenza, ex art. 304, comma primo, lett. c), cod.
proc. pen., assunto d’ufficio, senza il previo contraddittorio delle parti» (Cass.,
Sez. U, n. 27361 del 31/03/2011, Ez Zyane, Rv 249969).
Nel caso oggi in esame, pertanto, i termini di restrizione del Minasi non
venivano a scadere – quanto alla fase del processo di primo grado – il
22/04/2012: non può infatti condividersi l’assunto difensivo secondo cui

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nettamente maggioritario nella giurisprudenza degli anni successivi. Si è infatti

avrebbero dovuto computarsi cinque giorni in più rispetto alla scadenza
risultante dal provvedimento assunto ex art. 154, comma 4-bis, disp. att. del
codice di rito, avendo il primo giudice pronunciato il dispositivo il 19/11/2011. A
quella data, stando al ricorrente, mancavano ancora cinque giorni prima della
scadenza in quel momento prevista, e sarebbe stato necessario tenere conto che
la sospensione correlata al periodo di redazione della sentenza può operare solo
nei limiti del termine assegnato dal giudicante od autorizzato dal capo dell’ufficio.
Tuttavia, mentre quest’ultimo rilievo è senz’altro condivisibile, non è corretto

grado, che si conclude con la “pronuncia” della sentenza e che nella fattispecie
era stata comunque definita in tempo utile per impedire la declaratoria di
inefficacia della misura: ergo, la data del 17/04/2012 non può valere come dies
ad quem (seppure differita di cinque giorni) in relazione al disposto dell’art. 303,
comma 1, lett. b-bis, cod. proc. pen., bensì come dies a quo per il diverso ed
ulteriore termine – qui, pari a un anno, in ragione dell’entità della pena inflitta di cui alla successiva lettera c).

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.
Dal momento che alla presente decisione non consegue la rimessione in
libertà del Minasi, dovranno curarsi gli adempimenti previsti dalla norma indicata
in dispositivo.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso il 29/01/2013.

imputare comunque il periodo in questione nella fase del processo di primo

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