Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47170 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 47170 Anno 2013
Presidente: LANZA LUIGI
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PIZZICHEMI ALBERTO DANIELE N. IL 08/04/1970
avverso l ‘ordinanza n. 342/2013 TRIB. LIBERTA ‘ di REGGIO
CALABRIA, del 19/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
fette/sentite le conclusioni del PG Dott. e,_
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Data Udienza: 24/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18-19 aprile 2013 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha
confermato l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere emessa dal
G.i.p. di quel Tribunale il 28 gennaio 2013 nei confronti di Pizzichemi Alberto Daniele, per il
reato di partecipazione ad associazione mafiosa di cui agli artt. 416-bis, commi 1-6, c.p. e 3-4
della L. n. 146/2006, in relazione all’ipotizzata affiliazione – capo sub A) dell’imputazione

Porto Salvo ed altre zone della provincia reggina in epoca antecedente e prossima al 2005 e
sino alla data odierna, per essersi messo a disposizione del predetto sodalizio assumendo il
ruolo stabile di collegamento fra i membri dell’organizzazione ed ambienti istituzionali, politici
ed imprenditoriali.

2.

Avverso la su indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore

dell’indagato, deducendo un unico motivo di doglianza incentrato sulla violazione dell’art. 606,
comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., per l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex artt. 192,
273, 274 c.p.p., oltre che per la mancanza di motivazione in ordine alla configurabilità
dell’ipotizzata condotta delittuosa.
L’impugnata ordinanza fonda i suoi presupposti su alcune conversazioni telefoniche ed
ambientali, nonché su taluni sms, oggetto di captazione fra gli interlocutori Pizzichemi – Tripodi
e Tripodi-Guerrera, dal cui contenuto non emerge alcunché di penalmente rilevante.
Nessun elemento oggettivo di riscontro è stato offerto a sostegno dell’affermazione del ruolo
ritagliato al Pizzichemi: non v’è, infatti, alcuna prova che egli abbia rappresentato l’anima
imprenditoriale della cosca (non è imprenditore, né è titolare di alcuna azienda), ovvero che si
sia prodigato per far inserire gli Iamonte nella cd. “zona grigia” e in un contesto di conoscenze
politiche, o, ancora, che abbia assistito in diretta a pretese economiche rivolte da Tripodi
Giovanni nei confronti di taluni imprenditori.
L’osservazione delle condotte del Pizzichemi da parte degli organi della P.G., peraltro,
abbraccia un arco temporale molto ristretto (pochi mesi dell’anno 2008), sebbene la
contestazione del capo sub A) si riferisca ad un’epoca antecedente e prossima all’anno 2005, e
sino alla data odierna, con il conseguente rilievo della mancanza dei requisiti della stabilità e
permanenza dei rapporti e della funzionalità del suo ruolo all’interno dell’associazione.
Analoghe carenze motivazionali sono registrabili con riferimento alla vicenda della edificazione
(peraltro mai avvenuta) in Melito Porto Salvo di alcuni capannoni commissionati dalla DHL e
all’ipotizzato coinvolgimento del Pizzichemi riguardo alla corresponsione di una somma di
denaro a titolo estorsivo a Giovanni Tripodi, in qualità di referente della cosca, nonché in
merito ad alcune confidenze da quest’ultimo fatte al Pizzichemi – e dunque prive di rilievo
penale nei suoi confronti – circa la riscossione di somme di denaro da parte di taluni
imprenditori, per i quali il Tripodi avrebbe svolto il ruolo di collettore per conto della cosca.
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provvisoria – ad un’organizzazione criminale denominata “cosca Iamonte”, operante in Melito

Inoltre, il fatto che l’indagato sia a conoscenza del legame di affinità del Tripodi con alcuni
componenti della famiglia Iamonte non equivale ad essere partecipi di un’organizzazione di
tipo mafioso, né al riguardo possono assumere alcun valore indiziario taluni comportamenti del
Tripodi (ad es., una trasferta a Roma per interessarsi di appalti e rapporti con esponenti politici
di rilievo nazionale), cui il Pizzichemi risulta essere del tutto estraneo.
L’indagato, infine, al quale si contesta di essere un imprenditore intraneo alla realtà
associativa, non è affatto imprenditore, né è titolare di alcuna azienda nel settore dell’edilizia o

3. Con motivi nuovi depositati in Cancelleria il 22 ottobre 2013 ai sensi dell’art. 311, comma 4,
c.p.p., la difesa ha dedotto nuove argomentazioni a sostegno del ricorso, insistendo sui profili
dell’erronea applicazione al caso di specie dell’ipotizzata fattispecie di cui all’art. 416-bis,
commi 1-6, c.p. (art. 606, lett. b), c.p.p.), della motivazione meramente apparente
dell’impugnato provvedimento (art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.) e del travisamento del fatto
(art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.).

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è fondato e va pertanto accolto nei limiti e per gli effetti di seguito esposti e
precisati.

5. E’ noto che, in tema di misure cautelari personali, allorquando venga denunciato, con
ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del
riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, spetta alla Corte Suprema il
compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che
ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che
l’hanno indotto ad affermare, ovvero a negare, la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. Un., n. 11, 22/03/2000, Audino).
Strettamente connessa alle implicazioni di tale linea interpretativa deve ritenersi la regola di
giudizio secondo la quale, in materia di applicazione delle misure cautelari, i gravi indizi di
colpevolezza vanno individuati in quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa,
che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente
prova – non valgono di per sè a dimostrare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato, e
tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione
di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo

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dei servizi pubblici.

una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, Rv. 212998; Sez.
6, n. 23267 del 28/03/2003, Rv. 225847).
E’ parimenti noto che, in sede cautelare, la gravità dell’indizio deve correlarsi alla specificità,
ossia alla capacità di attribuire con elevata probabilità il fatto concreto al soggetto sottoposto
ad indagini (Sez. 3, n. 1791 del 12/08/1993, dep. 15/10/1993, Rv. 195215). Pertanto, a
norma dell’art. 273 c.p.p., il concetto di gravità della base indiziaria su cui riposa il
provvedimento cautelare non può essere identificato con quello di sufficienza, poiché da questo

certezza richiesto per la condanna, quanto piuttosto l’alta probabilità della attribuibilità del
reato all’indagato (Sez. 3, n. 742 del 23/02/1998, dep. 22/04/1998, Rv. 210514).

6. Nel caso di specie, il percorso motivazionale seguito dall’impugnato provvedimento mostra
un andamento incerto, legato ad un insufficiente approfondimento critico e ad un attenuato
rigore argomentativo, laddove la ritenuta gravità degli indizi non sembra trovare adeguata
giustificazione in un organico e coerente apprezzamento delle emergenze investigative, nè
sembra riposare su una base di sequenze motivazionali dotate della indispensabile solidità
logico-argomentativa, con particolare riguardo al dato oggettivo della carente individuazione di
atti o comportamenti idonei a rivelare in concreto il ruolo stabile di collegamento che l’indagato
avrebbe assunto tra i membri del sodalizio criminale ed ambienti istituzionali, politici ed
imprenditoriali, sì da renderne pacificamente sussumibile l’inquadramento nello schema tipico
dell’ipotizzata fattispecie incriminatrice.
Scarso peso indiziario sembra attribuibile, in tal senso, alla circostanza, emersa
dall’intercettazione ambientale di una conversazione intercorsa fra i coindagati Tripodi e
Guerrera, secondo cui l’indagato avrebbe assistito ad un colloquio fra il Tripodi ed un
imprenditore – tale Lino Conti, rappresentante di una ditta romana incaricata dell’edificazione
in Melito Porto Salvo di alcuni capannoni commissionati dalla DHL – nel corso del quale il
Tripodi avrebbe rappresentato al proprio interlocutore il decalogo delle regole seguite in loco
per poter effettuare dei lavori in “pacifica collaborazione”, attraverso il pagamento di somme
oggetto di imposizione estorsiva: la stessa ordinanza non solo riconosce, al riguardo, che non
tutti i contorni dell’operazione sono risultati chiari, ma neanche definisce lo specifico ruolo che
il Pizzichemi – la cui sicura identificazione, peraltro, non è oggetto di alcun preciso passaggio
motivazionale – avrebbe svolto nella vicenda in esame.
Analoga incertezza, inoltre, affiora dal testo dell’impugnata ordinanza allorquando effettua un
generico, e del tutto imprecisato, riferimento ad altra conversazione oggetto di intercettazione,
in cui l’indagato manifesta al Tripodi l’intenzione di acquistare un tabacchino e sembra voler
sottoporre al vaglio di Remingo Iamonte – individuato come uno dei capi dell’organizzazione il suo prossimo investimento.
Elementi storico-fattuali, quelli or ora indicati, che non paiono ancora assumere un peso
decisivo, o comunque di sicuro orientamento, ai fini della valutazione in merito alla consistenza
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si distingue sia quantitativamente che qualitativamente, non dovendo raggiungere il grado di

e gravità del quadro indiziario, ed il cui apprezzamento, ciò nonostante, sembra indurre il
Tribunale, in assenza di puntuali verifiche investigative in relazione ai profili appena
evidenziati, a considerazioni meramente congetturali circa la specifica rilevanza ad essi
attribuibile.

7. E’ noto che, sul piano probatorio, la partecipazione ad un’associazione di tipo mafioso può
essere desunta da una serie di indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di

logicamente inferirsi l’appartenenza del soggetto al sodalizio, purché si tratti di indizi gravi e
precisi, come, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e
“prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di
delitti-scopo, oltre a molteplici e significativi

facta condudentia,

idonei senza alcun

automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo,
con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato
dall’imputazione (Sez. Un., n. 33748 del 12/07/2005, dep. 20/09/2005, Rv. 231670; Sez. 1, n.
1470 del 11/12/2007, dep. 11/01/2008, Rv. 238839).
Occorre altresì rilevare che la messa a disposizione dell’organizzazione criminale, quale dato
rilevante ai fini della prova dell’adesione, non può risolversi nella mera disponibilità
eventualmente manifestata nei confronti di singoli associati, quand’anche di livello apicale, al
servizio di loro interessi particolari, ma deve essere incondizionatamente rivolta al sodalizio, ed
essere di natura ed ampiezza tale da dimostrare l’adesione permanente e volontaria ad esso
per ogni fine illecito suo proprio (Sez. 1, n. 26331 del 07/06/2011, dep. 06/07/2011, Rv.
250670).
Entro questa prospettiva, infine, si è più volte precisato che le semplici frequentazioni per
parentela, affetti, amicizia, comune estrazione ambientale o sociale, rapporti di affari e, a
maggior ragione, gli occasionali o sporadici contatti, soprattutto in occasione di eventi pubblici
in contesti territoriali ristretti, non possono di per sé essere utilizzati come elementi sintomatici
dell’appartenenza a sodalizi criminali. Essi possono configurarsi, allorquando la personalità dei
soggetti fornisca concrete ragioni sull’illiceità dell’attività svolta in comune, come motivi di
sospetto sufficienti per giustificare ed indirizzare le indagini, ma non possono essere valorizzati
come elementi di prova indiretta o logica. Frequentazioni e contatti, quando risultino qualificati
da un’abituale o significativa reiterazione, non giustificata da usuali modalità di convivenza in
contesti territoriali ristretti, possono — se connotati dal necessario carattere individualizzante
— essere utilizzati come riscontri da valutare ai sensi dell’art. 192, comma 3, c.p.p. (Sez. 6, n.
24469 del 05/05/2009, dep. 12/06/2009, Rv. 244382; Sez. 6, n. 9185 del 25/01/2012, dep.
08/03/2012, Rv. 252281).

8. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, l’ordinanza impugnata va
annullata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria affinchè, alla stregua delle regole di giudizio
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esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa

affermate, riesamini il corredo indiziario e provveda a colmare le su indicate lacune
motivazionali, uniformandosi al quadro dei principii in questa Sede statuiti.
La Cancelleria curerà l’espletamento delle incombenze di cui all’art. 94, comma primo –

ter,

disp. att., c.p.p. .

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame. Manda

Così deciso in Roma, lì, 24 ottobre 2013

Il Consigliere estensore

A Il Presidente

alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att., c.p.p. .

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