Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47161 del 15/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47161 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI PUORTO SIGISMONDO N. IL 02/03/1972
VENOSA MASSIMO N. IL 12/01/1975
MAISTO PASQUALE N. IL 01/02/1974
avverso l’ordinanza n. 2957/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
24/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA;
19é/sentite le conclusioni del PG Dott.

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rl; f9:

Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 15/11/2013

Con ordinanza del 24 aprile 2013, il Tribunale di Napoli ha respinto le richieste
di riesame avanzate da DI PUORTO Sigismondo, VENOSA Massimo e MAISTO
Francesco avverso l’ordinanza emessa nei loro confronti dal locale Giudice per le
indagini preliminari il 4 gennaio 2013, con la quale era stata disposta la misura della
custodia cautelare in carcere per i reati di cui ai capi 3) e 4) nei confronti del DI
Puorto, per i reati di cui ai capi 16) e 17) nei confronti del VENOSA e per il reato di
cui al capo 17) nei confronti del MAISTO.
Avverso l’ordinanza pronunciata dal giudice del riesame hanno proposto
ricorso per cassazione tutti gli indagati suddetti. Nel ricorso proposto nell’interesse
del DI PUORTO si lamenta che la gravità indiziaria sia stata desunta da elementi di
tipo congetturale, evocandosi intercettazioni nelle quali il reale interlocutore era il
fratello dell’indagato; intercettazioni, per di più, che sarebbero state interpretate
erroneamente, proprio sul versante del dolo del reato di intestazione fittizia di beni
ascritto all’indagato, che il Tribunale scorrettamente anticipa al momento della
commissione dello stesso reato presupposto.
Nel ricorso proposto nell’interesse del VENOSA, si deduce vizio di
motivazione in punto di gravità indiziaria in riferimento al reato associativo, giacchè
tutte le circostanze evocate a carico dell’indagato si rivelerebbero elementi neutri,
tenuto anche conto del fatto che la specifica attività svolta dall’indagato non sarebbe
stata neppure enunciata nella imputazione. Eguale carenza si riscontrerebbe anche in
riferimento all’addebito di cui al capo 16), tenuto conto del carattere equivoco che
caratterizzerebbe la intercettazione della conversazione con il Vallefuoco e posta a
base della accusa. La condotta sarebbe al più riconducibile ad una ipotesi di tentativo
inidoneo e si contesta la sussistenza della aggravante del fine di agevolare il Clan dei
casalesi, contestata in fatto.
Nel ricorso proposto da MAISTO Francesco si lamenta nel primo motivo
violazione dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen, in quanto i fatti ora contestati
avrebbero formato oggetto di altro provvedimento cautelare emesso su richiesta della
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna. Si lamenta pi che il
Tribunale del riesame non abbia valutato l’atto prodotto in quella sede e
rappresentato dalla trascrizione del’incidente probatorio svoltosi davanti alla autorità
giudiziaria di Bologna e relativo alle dichiarazioni rese da Buragni Michel.
I ricorsi sono tutti palesemente inammissibili. In merito alle doglianze proposte
dal MAISTO va infatti rilevato che le questioni attinenti alla asserita violazione della
disciplina dettata dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., non risultano proposte in
sede di riesame e presuppongono valutazioni in punto di fatto non soltanto non
desumibili dagli atti, ma anche del tutto eccentriche rispetto al sindacato devolvibile
al giudice della legittimità. Lo stesso è a dirsi per le restanti censure, evocative di un
riesame dello scrutinio condotto dai giudici del merito, i quali hanno posto a
fondamento del giudizio concernente la gravità indiziaria un bagaglio motivazionale
del tutto esauriente e privo di incoerenze sul piano logico argomentativo. La rilettura
1

OSSERVA

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di euro mille in favore della Cassa delle
ammende. Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1-ter,, disp.. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2013
Il Consi. . e estensore

Il Presidentp

delle acquisizioni sulla cui base si è articolato quell’apprezzamento, è tema estraneo
al rigoroso perimetro entro il quale può essere ricondotto l’odierno scrutinio.
Le stesse considerazioni possono nella sostanza svolgersi anche in merito alle
censure proposte nell’interesse del DI PUORTO e del VENOSA. L’ordinanza
impugnata ha, infatti, più che esaurientemente scandagliato l’attività di penetrazione
e di sviluppo posta in essere dal clan camorristico dei casalesi e degli acerrani anche
in territori diversi da quelli di origine dei sodalizi, attraverso metodologie di stampo
mafioso ed attraverso una articolata cura degli interessi economici del clan,
analizzando in dettagli il reticolo dei rapporti intersoggettivi e dei ruoli ascritti ai
singoli, con specifico riferimento agli addebiti loro provvisoriamente contestati. Il
tutto, su una coesa e ben sedimentata base investigativa, rappresentata dalle
convergenti dichiarazioni delle persone offese, di soggetti a vario titolo coinvolti e di
intercettazioni, la cui lettura e ricomposizione nel tessuto scaturito dalle indagini
risulta operata dai giudici a quibus in termini di esaustività esplicativa e coerenza
argomentativa senz’altro incensurabili in questa sede. Le doglianze dei ricorrenti, si
rivelano, dunque, in larga parte assertive e orientate, come si è già rilevato,
esclusivamente verso un non consentito riesame del merito, per di più su aspetti
parcellizzati e comunque incoerenti rispetto alla puntualità dei riferimenti accusatori
che sono stati messi in luce dall’ampia ordinanza oggetto di ricorso.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di
una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 ciascuno alla luce dei
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

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