Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47157 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47157 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 14/11/2013

SENTENZA
Sul ricorso proposto da HYSA Ermir, nato in Albania il 09.11.1986,
attualmente detenuto per questa causa, avverso l’ordinanza n.
469/2011 del Tribunale di Trieste Sezione Riesame ed Appelli in data
23.05.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del sostituto procuratore generale dott. Fulvio
Baldi, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso fosse rigettato.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza cautelare emessa dal Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Udine in data 23.04.2013, HYSA
Ermir veniva attinto dalla misura cautelare della custodia in carcere
in relazione ai seguenti reati:
a) Artt. 110, 648 c.p. (accertato a Pozzuolo del Friuli il
14.07.2012 e Cerneglons il 17.07.2012);

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b) Artt. 110, 56, 624-bis, 625 n. 2 e 5 c.p. (in Pavia di Udine il
14.07.2012);
c)

Artt. 110, 56, 624-bis, 625 n. 5 c.p. (in Palmanova il

14.07.2012);
d) Art. 110, 61, 624-bis, 625 n. 2 e 5, 61 n. 5 e 7 c.p. (in San
Vito al Torre il 14.07.2012);
e) Artt. 110, 624-bis, 625 n. 5, 61 n. 5 e 7 c.p. (in Ruda il

14.07.2012);
f) Artt. 110, 61, 624-bis, 625 n. 5, 61 n. 5 c.p. (in Ruda il
14.07.2012);
g)

Artt. 110, 61 n. 5, 624-bis c.p. (in Pasian di Prato il

15.07.2012);
h) Artt. 110, 56, 624-bis, 625 n. 5, 61 n. 5 c.p. (in Rena del
Rojale il 17.07.2012);
i) Artt. 110, 61 n. 5, 624-bis, 625 n. 2 e 5 c.p. (in Povoletto il
17.07.2012);
I) Artt. 110, 61 n. 5, 624-bis, 625 n. 2 e 7 c.p. (in Remanzacco il
17.07.2012);
m) Artt. 110, 61 n. 5, 624-bis, 625 n. 5 c.p. (in Povoletto il
17.07.2012);
n) Artt. 110, 56, 624-bis, 625 n. 5, 61 n. 5 c.p. (in Remanzacco
il 17.07.2012).
In relazione agli ulteriori capi in contestazione, e precisamente:
o) Artt. 648, 110 c.p.;
p) Artt. 110, 61 n. 5, 624-bis, 625 n. 2 e 5 c.p.;
q) Artt. 110, 61, 624, 625 c.p.;
r) Artt. 110, 61 n. 5 e 7, 624-bis, 625 n. 2 e 5 c.p.;
s) Artt. 110, 61 n. 5, 624-bis, 625 n. 2 e 5 c.p.;
t) Artt. 110, 61 n. 5, 624-bis, 625 n. 2 e 5 c.p.;
u) Artt. 110, 61 n. 5, 624, 625 n. 2 e 5 c.p.;
v) Artt. 110, 61 n. 5, 624-bis, 625 n. 2 e 5 c.p.;
z) Art. 416 c.p.
non veniva emessa alcuna misura cautelare.
2. Avverso detto provvedimento nell’interesse di HYSA Ermir veniva
proposto ricorso ex art. 309 c.p.p. avanti al Tribunale di Trieste in
funzione di giudice del riesame ove veniva richiesto in via principale
provvedimento di revoca della misura cautelare o, in subordine, la

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sua sostituzione con quella degli arresti domiciliari. A sostegno del
gravame l’istante adduceva ed eccepiva:
– l’inefficacia della misura cautelare disposta dal Giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Udine ai sensi dell’art. 297,
co. 3, c.p.p., dovendo tale ordinanza – emessa in data 23.04.2013 essere retrodatata al 07.12.2012, giorno in cui il giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Milano aveva emesso a

carico di HYSA Ermir altra misura cautelare per fatti di ricettazione e
furto in abitazione commessi nello stesso arco temporale di quelli
per i quali stava procedendo la Procura della Repubblica di Udine e a
questi accomunati da connessione qualificata ai sensi dell’art. 12, co.
1, lett. b) e c) c.p.p.: veniva in particolare eccepito che gli elementi
che avrebbero successivamente portato all’emissione dell’ordinanza
del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Udine
erano già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della
precedente ordinanza;
-la nullità dell’ordinanza cautelare del 23.04.2013 ai sensi dell’art.
178 lett. c) c.p.p., non essendosi provveduto alla traduzione in
lingua albanese del provvedimento custodiale, necessaria, in tesi
difensiva, dal momento che il prevenuto non aveva conoscenza della
lingua italiana;
– l’insussistenza del presupposto della gravità indiziaria sia rispetto ai
contestati furti, consumati e tentati, sia in relazione al delitto di
ricettazione dell’autovettura Nissan Pixo;
– l’insussistenza delle esigenze cautelari con particolare riferimento al
pericolo di reiterazione del reato che non sarebbe desumibile dalla
mera presa d’atto dei numerosi precedenti per reati contro il
patrimonio a carico di HYSA Ermir né dalle circostanze di fatto poste
alla base dell’ordinanza custodiale.
3. Con ordinanza in data 23.05.2013 il Tribunale di Trieste in funzione
di giudice del riesame rigettava il ricorso evidenziando in relazione ai
diversi profili di gravame:

come l’applicabilità dell’art. 297 co. 3 c.p.p. impediva al
Tribunale di disporre l’immediata scarcerazione del prevenuto in
quanto alla data del 27.05.2013 (rectius 23.05.2013, data di
emissione del dispositivo) non erano ancora scaduti i termini
massimi (mesi sei) di fase di cui all’art. 303, co. 1, lett. a) c.p.p.;

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-

come nel verbale di interrogatorio per delega in data 27.04.2013
disposto dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
di Udine, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
di Milano non solo prendeva atto della dichiarazione di HYSA
Ermir di “parlare e comprendere la lingua italiana” ma anche del
contenuto della sua ulteriore dichiarazione di trovarsi in Italia da
tre anni, tempo che da ritenersi sufficiente a raggiungere un

livello di padronanza della lingua del paese ospitante e far
ritenere raggiunto il livello di “conoscenza” richiesto dalla legge
processuale (in ogni caso evidenziava come all’atto della chiusura
del verbale il giudice per le indagini preliminari rogato avesse
dato espressamente atto che “l’indagato parla e comprende la
lingua italiana e che non è stato necessario valersi dell’interprete
ancorchè presente”);

come dalla disamina delle circostanze indiziarie apparisse, con
alto grado di probabilità, la colpevolezza dell’indagato rispetto a
tutti i delitti in contestazione;

come, con riferimento alle valutate esigenze cautelari, vi fosse
concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie
desunta dai precedenti giudiziari specifici dell’HYSA Ermir, dalla
reiterazione delle condotte di reato e dal reticolo di “relazioni
pericolose” dal medesimo intrecciate.

4. Avverso il provvedimento del Tribunale di Trieste in funzione di
giudice del riesame la difesa di HYSA Ermir proponeva ricorso per
cassazione per i seguenti motivi:
a) violazione di legge, in particolare dell’art. 297, co. 3, c.p.p. e
difetto di motivazione circa la sopravvenuta perdita di efficacia
della misura cautelare disposta in data 23.04.2013 nei confronti
di HYSA Ermir dal giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Udine;
b) violazione di legge, mancanza e contraddittorietà della
motivazione ex art. 606, lett. c) ed e), c.p.p. in relazione
all’eccezione relativa all’omessa traduzione in lingua albanese
dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal giudice
per le indagini preliminari presso il Tribunale di Udine in data
23.04.2013;
c)

mancanza,

contraddittorietà

e

manifesta

illogicità

della

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motivazione ex art. 606, lett. e), c.p.p. in merito alla sussistenza
dei gravi indizi di colpevolezza con riferimento a tutti i reati
contestati;
d) mancanza,

contraddittorietà

e

manifesta

illogicità della

motivazione ex art. 606, lett. e), c.p.p. in merito alla sussistenza
delle esigenze cautelari.
Nel gravame il ricorrente argomentava le proprie doglianze

1.1)

evidenziando:
come dal semplice confronto tra le due ordinanze custodiali,
appariva di tutta evidenza come la seconda (quella emessa
dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Udine) avesse ad oggetto reati commessi in epoca
precedente rispetto alle fattispecie di reato contestate nella
prima ordinanza di custodia cautelare, ovvero quella emessa
dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Milano; inoltre, entrambe le ordinanze avevano ad oggetto la
contestazione dei medesimi fatti di reato (artt. 648 e 624-bis
c.p.) commessi nello stesso arco temporale: reati della stessa
indole accomunati da connessione qualificata ex art. 12, co.
1, lett. b) e c) c.p.p.;
1.2)

come, già in data 07.12.2012, data di emissione della prima
ordinanza da parte del giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Milano, il giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Udine aveva a disposizione
indizi idonei e utili a contestare i fatti oggetto della seconda
ordinanza; già nel verbale di arresto del 05.12.2012 cui
avevano proceduto i carabinieri di Udine, veniva dato atto
dell’esistenza di gravi indizi circa la responsabilità di HYSA
Ermir non solo per i “fatti di Milano” ma anche per tutti i
precedenti furti che erano stati commessi in precedenza e su
cui stava indagando la Procura della Repubblica di Udine;
tutte le attività di indagine relative al procedimento pendente
avanti all’Autorità Giudiziaria milanese nei confronti di HYSA
Ermir erano state espletate dai carabinieri di Udine che
stavano indagando per accertare i reati precedentemente
commessi da HYSA Ermir nella zona friulana;

1.3)

che, sulla base di quanto espressamente riconosciuto dalla

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Corte costituzionale, si può applicare il principio della
retrodatazione anche a fatti diversi non connessi quando
risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano
già desumibili dagli atti al momento dell’emissione della
precedente ordinanza (C. Cost. 24 ottobre – 3 novembre
2005, n. 408): sul punto si è più volte espressa anche la
corte di legittimità secondo cui in caso di ordinanze cautelari

emesse in procedimenti diversi per fatti legati da connessione
qualificata, il meccanismo della retrodatazione opera solo per
i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel
procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza
cautelare (cfr., Cass. Sez. Un. n. 21957 del 22 marzo 2005,
dep. il 10 giugno 2005);
1.4) che, in sede di udienza di convalida del fermo avvenuta
presso il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
di Milano in data 07.12.2012 compariva per svolgere le
funzioni di interpretariato a favore di HYSA Ermir tale sig.ra
Irma Lohja (interprete di lingua albanese) dal momento che
preliminarmente a verbale si dava atto come il fermato
dichiarasse di non comprendere e di non saper parlare la
lingua italiana;
1.5)

che tutti gli atti relativamente al processo pendente avanti
all’Autorità Giudiziaria milanese venivano sempre tradotti in
lingua albanese, unica lingua conosciuta dall’HYSA Ermir;

1.6) che identico diritto doveva essere attribuito all’HYSA Ermir
anche con riferimento al procedimento pendente avanti
l’Autorità giudiziaria di Udine: invero, vigendo il principio
generale per cui si presume che i cittadini stranieri non
comprendano e non parlino la lingua italiana fino a prova
contraria, l’ordinanza custodiale emessa dal Giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Udine in data
24.04.2013 doveva necessariamente essere tradotta in lingua
albanese ed essere in tale idioma notificata all’interessato a
nulla rilevando che l’interrogatorio di garanzia, avvenuto solo
in data 27.04.2013, si fosse svolto alla presenza di interprete
in lingua albanese: il tutto, in ossequio delle previsioni di cui
all’art. 6, co. 3, lett. a) CEDU secondo cui ogni accusato ha

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diritto ad essere informato, nel più breve spazio di tempo,
nella lingua che egli comprende e in maniera dettagliata,
della natura e dei motivi dell’accusa a lui rivolta nonché delle
previsioni di cui all’art. 14, co. 3, lett. a) del Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New
York il 19.12.1966, ratificato e reso esecutivo con L. 25
ottobre 1977, n. 881, secondo cui ogni individuo accusato di

un reato ha diritto, in posizione di piena eguaglianza, ad
essere informato sollecitamente e in modo circostanziato, in
una lingua a lui comprensibile, della natura e dei motivi
dell’accusa a lui rivolta;
1.7)

che, rispetto alle doglianze formulate dal difensore in merito
alla sussistenza dei gravi indizi di reità, non si riscontrava
nella motivazione del provvedimento impugnato alcun profilo
di indagine critica ed analitica, essendosi il giudice del
riesame limitato a condividere appieno quanto contenuto
nell’ordinanza custodiate, fondando il proprio giudizio sulla
base di mere congetture e ragionamenti di tipo deduttivoipotetico.
In particolare:
– con riferimento ai reati di cui ai capi da b) a g) tutti
commessi in data 14 e 15 luglio 2012, l’unica fonte di prova
risultano essere le denunce-querele delle parti offese,
mancando osservazioni di p.g. e monitoraggio GPS; ma non
solo: in relazione ai predetti fatti, nessuna delle parti offese
ha avuto modo di riconoscere gli autori dei reati ed anche chi
ha dichiarato di aver visto i presunti malfattori, non è stato
comunque in grado di identificare nessuno di essi; ed ancora:
le persone offese, non trovandosi sul posto al momento in cui
avvenivano i furti, non potevano in ogni caso essere a
conoscenza del numero dei malfattori finendo per subire un
condizionamento esterno, seppur involontario, fonte di
ulteriore equivocità;
– con riferimento ai reati di cui ai capi da h) a n) tutti
commessi in data 17 luglio 2012, v’è anche in questo caso
carenza di gravità indiziaria sotto diversi profili: innanzitutto,
perché nessuna delle persone offese ha avuto modo di

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riconoscere gli autori dei furti; anche qui l’unica fonte di
prova è rappresentata dalle denunce-querele delle vittime e,
in ogni caso, v’è mancanza o comunque discrepanza di
connessioni spazio-temporali tra i luoghi e gli orari in cui sono
avvenuti i furti;
– con riferimento al capo a) si evidenzia come l’accusa si
fondi su un insieme di elementi indiziari privi del connotato

della gravità: in particolare, la circostanza documentata che
l’HYSA Ermir si trovasse a bordo dell’autovettura Nissan Pixo,
oggetto del contestato reato di ricettazione, si ricava dalle
immagini tratte dalle telecamere del casello autostradale di
Udine Sud in data 14.07.2012; invero, nella circostanza
l’HYSA Ermir figurava come passeggero trasportato e
nessuna impronta riferibile allo stesso è stata rinvenuta sul
biglietto autostradale connesso a quel transito nonchè
all’interno del mezzo; ed ancora: nessun elemento consente
di far ritenere come certa o anche solo probabile la
consapevolezza da parte dell’indagato della provenienza
delittuosa di detta autovettura;
1.8)

che del tutto non condivisibile appariva la valutazione operata
dal giudice di merito in ordine alla pericolosità sociale dello
stesso, non essendosi tenuto conto della sua incensuratezza e
del possesso, al momento del fermo, di regolare documento
d’identità; così come, ampiamente criticabile appariva la
valutazione del giudice di merito che aveva inopinatamente
fondato il suo convincimento sul risultato positivo alla banca
dati in uso alle Forze di Polizia in relazione a precedenti
giudiziari di HYSA Ermir per reati contro il patrimonio.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è solo parzialmente fondato nei limiti e per le motivazioni
che si andranno ad esporre
2. Il primo motivo di doglianza. La questione involge il tema delle c.d.
contestazioni a catena. Al riguardo va evidenziato come questa
Suprema Corte, in relazione al profilo qui dedotto, abbia enunciato i
seguenti principi:
-la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare
disposta per differenti reati non solo presuppone, in ogni caso, che la

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seconda ordinanza abbia ad oggetto fatti anteriori a quelli oggetto
della prima, ma, quando i reati siano oggetto di distinti
provvedimenti e procedimenti e tra gli stessi non sussista una delle
ipotesi di connessione qualificata previste dall’art. 297, co. 3, C.P.P.,
richiede anche, come condizioni ulteriori ed autonomamente
necessarie, che, al momento dell’emissione della prima ordinanza,
fossero già desumibili, dagli atti a disposizione, gli elementi per

emettere il successivo provvedimento e che i diversi procedimenti,
pendenti davanti alla stessa autorità giudiziaria, fossero stati tenuti
separati in conseguenza di una scelta del pubblico ministero (Cass.
Sez. 6, n. 11807 dell’Il febbraio 2013, dep. 12 marzo 2013, rv.
255721, Paladini);
– in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia
cautelare, la nozione di anteriore ‘desumibilità’ delle fonti indiziarie,
poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva dagli atti
inerenti la prima ordinanza cautelare, non va confusa con quella di
semplice ‘conoscenza’ o ‘conoscibilità’ di determinate evenienze
fattuali, ma si individua nella condizione di conoscenza, da un
determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi
relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano una specifica
“significanza processuale”. (In applicazione del principio, è stata
esclusa la “desumibilità” allo stato degli atti quando, al momento
dell’emissione della prima ordinanza, non era stata ancora depositata
al P.M. un’informativa relativa a pregresse indagini sostanziatesi
anche in intercettazioni, sulla base della quale è stata formulata la
richiesta del successivo provvedimento) (Cass. Sez. 6, n. 11807
dell’il febbraio 2013, cit., rv. 255722);
– in tema di contestazione a catena, la questione relativa alla
retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può
essere dedotta anche nel procedimento di riesame solo se ricorrono
congiuntamente le seguenti condizioni: a) termine interamente
scaduto, per effetto della retrodatazione, al momento del secondo
provvedimento cautelare; b) desumibilità dall’ordinanza applicativa
della misura coercitiva di tutti gli elementi idonei a giustificare
l’ordinanza successiva (Cass. S.U. n. 45246

del 19 luglio 2012,

dep. il 20 novembre 2012; rv. 253549, P.m. in proc. Polcino; Conf.
S.U. n. 45247/12, Asllani, non massimata).

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Fermo quanto precede, facendo applicazione dei condivisibili principi
di cui sopra, si osserva preliminarmente come nella fattispecie,
avanti al giudice del riesame ove la questione veniva sollevata, il
termine di fase – nell’ipotesi di riconosciuta ricorrenza di ipotesi
legittimante la retrodatazione – non era ancora spirato, con
conseguente non deducibilità della questione; peraltro, quand’anche
la questione fosse stata proponibile, nondimeno il preteso effetto

retroattivo dovrebbe essere escluso dal momento che, in presenza di
diverse autorità giudiziarie, non è stata raggiunta prova sufficiente
per far ritenere l’anteriore ‘desumibilità’ da parte del giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Milano all’atto
dell’emissione della prima ordinanza delle fonti indiziarie valutate dal
giudice per le indagini presso il Tribunale di Udine all’atto
dell’emissione della seconda ordinanza: da qui il rigetto del motivo.
3. Il secondo motivo di doglianza.
Come è noto, a norma dell’art. 143 c.p.p., “l’imputato che non
conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente
da un interprete al fine di potere comprendere l’accusa contro di lui
formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa”.
Tale previsione, secondo l’orientamento costante di questa Corte,
viene interpretata, alla luce della lettura datane dalla Corte
Costituzionale con sentenza 19 gennaio 1993, n. 10, e dell’art. 6, co.
3, lett. a), Cedu, come una clausola generale che, mirando a
garantire il diritto dell’imputato, che non parla la lingua italiana, di
partecipare effettivamente allo svolgimento del processo penale, si
espande e si specifica in relazione al tipo di atto cui la persona
sottoposta al procedimento deve partecipare o in relazione al genere
di ausilio necessario in concreto (Cass. Sez. 2, n. 44599 del 24
ottobre 2007, dep. 29 novembre 2007, Asoltani, rv. 238808; Cass.
S.U., n. 5052 del 24 settembre 2003, dep. 09 febbraio 2004,
Zalagaitis, rv. 226717).
Il riconoscimento del diritto all’assistenza dell’interprete, tuttavia,
suppone l’accertata ignoranza della lingua italiana, non discendendo
automaticamente, come atto dovuto e imprescindibile, dal mero
status di straniero o apolide (Cass. S.U., n. 25932 del 29 maggio
2008, dep. il 26 giugno 2008, Ivanov, rv. 239693; Cass. Sez. 2, n.
40807 del 06 ottobre 2005, dep. il 09 novembre 2005, Sokolovych,

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rv. 232593; Cass. Sez. 4, n. 6684 del 12 novembre 2004, dep. il 22
febbraio 2005, Hachimi, rv. 233360; Cass. Sez. 3, n. 26846 del 29
aprile 2004, dep. il 15 giugno 2004, Ionascu, rv. 229295).
Nella fattispecie, la raggiunta consapevolezza da parte del giudice sul
fatto che l’indagato parlasse e comprendesse la lingua italiana
rendeva superflua qualunque ulteriore traduzione nella lingua del
paese d’origine dell’indagato e comprova l’infondatezza del motivo.

4. Prima di passare agli ultimi due profili di doglianza, si rende
necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte
delle decisioni adottate dal giudice del riesame dei provvedimenti
sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento della Corte, che questo Collegio condivide,
l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di
revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate
(ivi compreso lo spessore degli indizi) né alcun potere di
riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato (ivi
compresa la valutazione delle esigenze cautelari e delle misure
ritenute adeguate) trattandosi di apprezzamenti rientranti nel
compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta
l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del
riesame.
Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto
all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il
testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo
e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di
legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative
che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la
congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento (Cass. Sez. 6 sent. n. 2146 del 25 maggio 1995 dep.
il 16 giugno 1995, rv. 201840; Cass. Sez. 1 sent. n. 1700 del 20
marzo 1998 dep. il 04 maggio 1998, rv. 210566).
Sempre in premessa, conviene ribadire la diversità dell’oggetto della
delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in
termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato,
rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della
certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato (Cass.
Sez. Un. del 19 gennaio 2006, n. 36267; Cass. Sez. I, dell’ 01 aprile

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2010, n. 19517).
5. Con riguardo al suindicato tema dei limiti del sindacato di legittimità,
delineati dall’art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p., come vigente a seguito
delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, questa Corte
Suprema ha ripetutamente affermato che la predetta novella non
abbia comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di
effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione

finalizzata a sovrapporre una propria valutazione a quella già
effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità
limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il
giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento.
La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali
può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora
comporti il cd. travisamento della prova, purché siano indicate in
maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state
travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti
in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza
alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia
effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.
6. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve
essere di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze
e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed
adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal
senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivise,
Cass. Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Spina, rv. 214794; Id.,
n. 12 del 31 maggio 2000, Jakani, rv. 216260; Id., n. 47289 del 24
settembre 2003, Petrella, rv. 226074). A tal riguardo, devono tuttora
escludersi la possibilità di «un’analisi orientata ad esaminare in modo
separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di
essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai
motivi ad essi relativi» (Cass. Sez. 6, n. 14624 del 20 marzo 2006,

Vecchio, rv. 233621; conforme, Cass. Sez. 2, n. 18163 del 22 aprile
2008, Ferdico, rv. 239789), e la possibilità per il giudice di legittimità

12

di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. Sez. 6, n. 27429 del 4
luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559; Id., n. 25255 del 14 febbraio
2012, Minervini, rv. 253099).
7. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606,
comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di «travisamento

della prova» (consistente nell’utilizzazione di un’informazione
inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova,
accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od
omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato
motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di
inammissibilità (Cass. Sez. 1, n. 20344 del 18 maggio 2006, Salaj,
rv. 234115; Cass. Sez. 6, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano,
rv. 249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale
atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la
ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato
probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto
processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori
ritualmente acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza
della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità”
all’interno

dell’impianto

argomentativo

del

provvedimento

impugnato;
(e)

nell’ipotesi che la prova omessa o travisata abbia natura

dichiarativa, il ricorrente ha l’onere di riportarne integralmente il
contenuto, non potendosi limitare ad estrapolarne alcuni brani,
giacchè così facendo viene impedito al giudice di legittimità di
apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni
e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (Cass. Sez.
4, n. 37982 del 26 giugno 2008, Buzi, rv 241023).

13

Di contro, il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606
c.p.p., il compito di accertare (Cass. Sez. 6, n. 35964 del 28
settembre 2006, Foschini ed altro, rv. 234622; Cass. Sez. 3, n.
39729 del 18 giugno 2009, Belloccia ed altro, rv. 244623; Cass. Sez.
5, n. 39048 del 25 settembre 2007, Casavola ed altri, rv. 238215;
Cass. Sez. 2, n. 18163 del 22 aprile 2008, Ferdico, rv. 239789):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra

individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non
essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti
processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto
requisito);
(d)

la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d.

«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu ()cui/ ed assuma
anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli
elementi probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio
valutativo non è sindacabile in sede di legittimità se non
manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio).
8. Fermo quanto precede, ritiene questo Collegio come il terzo motivo
relativo alla mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione ai gravi indizi di colpevolezza con
riferimento ai reati per i quali era stata emessa la misura cautelare
vada in parte accolto.
Invero, nel provvedimento impugnato il giudice di secondo grado,
valutate le risultanze processuali, evidenziava come dagli atti
trasmessi dall’autorità procedente fossero risultate alcune
circostanze oggettive incontestabili, ed in particolare:
-che un’autovettura modello Nissan Pixo tg. EA771PX di colore
bianco, di provenienza furtiva essendone stato denunciato il furto ai
danni di tale Gornati Luigi ad opera di ignoti in Milano in data
10.07.2012, in data 14.07.2012 si trovasse in uscita al casello di
Udine Sud e che, sulla base della rilevazione delle impronte digitali

14

presenti sul tagliando del pedaggio autostradale, alla guida vi fosse
tale Cobra Edi, alias Coba Leandro;
-che nella circostanza del transito autostradale il sistema di
videosorveglianza in uso presso il casello di Udine Sud avesse
comprovato la presenza di una seconda persona all’interno del
veicolo, seduta sul sedile passeggero;
– che tra il 14 ed il 17 luglio 2012 quella autovettura fosse stata

utilizzata da più persone (dalle due alle quattro) e vista transitare in
diverse località della bassa friulana presso le quali si realizzavano
condotte di furto o di tentato furto oggetto del presente
procedimento;
-che detta attività delittuosa si interrompeva solo in data 17 luglio
2012 quando, dopo un inseguimento, i malviventi si davano alla
macchia abbandonando l’autovettura in parola;
– che successivi accertamenti che muovevano dall’intercettazione del
traffico telefonico in entrata e in uscita da uno degli apparecchi
telefonici sottratti in occasione di uno dei primi furti, consentiva agli
investigatori di risalire all’identità di Hysa Besjan, residente a Buja,
arrestato il successivo 10 ottobre 2012 e riconosciuto come coautore
di una rapina consumata in Veneto il giorno precedente;
– che le medesime intercettazioni permettevano altresì di individuare
un’utenza nella disponibilità di un individuo che intratteneva rapporti
di forte contiguità con Hysa Besjan;
-che il medesimo individuo intratteneva analoghi stretti rapporti con
Cobra Edi, alias Coba Leandro, dimorante in una particolare zona di
Milano frequentata anche dal soggetto in parola e che veniva
identificato come HYSA Ermir, parente di Hysa Besjan e in rapporti di
stretta amicizia con Cobra Edi, alias Coba Leandro, come rilevato da
appostamenti delle forze dell’ordine ma anche dal profilo facebook di
HYSA Ermir, dove lo stesso sceglie quale foto-profilo un’immagine
che lo ritrae proprio con Cobra Edi, alias Coba Leandro;
-che una successiva attività di comparazione delle immagini del
passeggero della Nissan Pixo catturate dalle telecamere della
videosorveglianza del casello di Udine Sud con quelle di HYSA Ermir
consentiva di giungere con sufficiente grado di compatibilità
all’affermazione dell’identità fisica dei due soggetti.

15

Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come in relazione al reato
di ricettazione dell’autovettura Nissan Pixo, la motivazione del
giudice di merito si appalesi assolutamente congrua in relazione alla
dedotta gravità indiziaria nei confronti di HYSA Ermir. Come
correttamente evidenziato dal giudice del provvedimento impugnato,
i rapporti di contiguità intrattenuti dal ricorrente con Cobra Edi, alias
Coba Leandro, non possono certo assimilare la presenza di HYSA

Ermir nel veicolo che in data 10.07.2012 giungeva a Udine da Milano
a quella di un passeggero occasionale, dovendosi piuttosto ritenere
che detto individuo fosse consapevole della provenienza illecita ma
anche dello scopo stesso del viaggio quantomeno da parte del suo
conducente. In questa parte del gravame il ricorrente si è limitato a
fornire, in modo parcellizzato, un’interpretazione semplicemente
alternativa della ricostruzione effettuata dal giudice di merito, sul
punto incensurabile.
Il provvedimento cautelare, sia con riferimento alla gravità indiziaria
valutata che alle esigenze cautelari ritenute, appare congruo e
sufficientemente motivato.
Ad opposte conclusioni si deve pervenire con riferimento ai reati di
furto – tentato o consumato – oggetto di tutte le altre incolpazioni.
In relazione a dette ipotesi delittuose il provvedimento del giudice
del riesame è carente di motivazione in punto gravità indiziaria dal
momento che lo stesso opera un inaccettabile ragionamento
inferenziale-deduttivo nel riconoscere che, attesa la disponibilità di
quell’autovettura da parte del ricorrente e del Cobra Edi, alias Coba
Leandro, non vi fossero elementi per poter sostenere che la stessa
fosse stata utilizzata da altri soggetti (altri, quantomeno rispetto a
HYSA Ermir) nelle date e nei luoghi di commissione dei furti e dei
tentati furti: il tutto, pur in mancanza di qualsivoglia ulteriore
elemento probatorio su ciascun singolo episodio, per arrivare alla
sbrigativa ed illogica conclusione che vi fosse gravità indiziaria a
carico dì HYSA Ermir anche in relazione a detti reati.
9. Consegue pertanto pronuncia di annullamento dell’ordinanza
impugnata limitatamente alla gravità indiziaria per i reati di furto consumati e tentati – con rinvio al Tribunale di Trieste per nuovo
esame. Sarà compito del giudice del rinvio operare all’esito del
nuovo giudizio valutazione attualizzata in merito al rispetto dei criteri

16

di adeguatezza e proporzionalità della misura cautelare attualmente
in vigore.
Il ricorso va invece rigettato nel resto.
Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. c.p.p.
PQM
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla gravità indiziaria per i
reati di furto – consumati e tentati – con rinvio al Tribunale di Trieste

Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. c.p.p.
Così deliberato in Roma il 14.11.2013

per nuovo esame; rigetta nel resto.

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