Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47152 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47152 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 14/11/2013

SENTENZA
Sul ricorso proposto da DI ROSA Giovanni, nato a Parigi il 15.5.1994
avverso l’ordinanza n. 386/2013 del Tribunale del Riesame di Venezia
in data 12.04.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del sostituto procuratore generale dott. Fulvio
Baldi, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso fosse dichiarato
inammissibile.

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Vicenza in
data 22.03.2013 veniva disposta nei confronti di DI ROSA Giovanni
la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di rapina e
porto d’armi. Avverso detta ordinanza DI ROSA Giovanni proponeva
ricorso ex art. 309 c.p.p. avanti al Tribunale di Venezia in funzione di
giudice del riesame che, con provvedimento in data 12.04.2013,

1

rigettava la richiesta confermando l’ordinanza impugnata.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Venezia veniva
proposto il presente gravame con i seguenti motivi:
-violazione dell’art. 606, co. 1, lett. e) c.p.p. per mancanza di
motivazione relativamente all’assenza di motivazione sulla richiesta
di sostituzione della misura cautelare carceraria con gli arresti
domiciliari da eseguirsi con le modalità di cui all’art. 275-bis c.p.p..

Assume il ricorrente come nell’ordinanza impugnata non venga
offerta alcuna motivazione in ordine al diniego della richiesta
avanzata di sostituzione della misura coercitiva in essere con quella
degli arresti domiciliari da eseguirsi a mezzo di braccialetto
elettronico, richiesta che costituiva motivo esplicito di riesame ex
art. 309 c.p.p. e, altrettanto esplicitamente, veniva inclusa tra le
richieste avanzate avanti al Tribunale del Riesame avanti al quale, in
sede di udienza, il DI ROSA prestava il proprio manifesto consenso
all’esecuzione della misura degli arresti domiciliari nelle forme di cui
all’art. 275-bis c.p.p.: mancanza di motivazione sul punto tanto più
significativa alla luce del tenore dell’impugnata ordinanza avendo il
Tribunale del Riesame ridimensionato il quadro delle esigenze
cautelari riconoscendo la sussistenza della sola pericolosità sociale;
-violazione dell’art. 606, co. 1, lett. e) c.p.p. per mancanza, illogicità
e contraddittorietà della motivazione relativamente alla valutazione
inerente la sussistenza del pericolo di reiterazione ex art. 274 lett. c)
c.p.p..
Assume il ricorrente che l’impugnata ordinanza motivava la
sussistenza del pericolo di reiterazione dei reati sulla sola base di
una telefonata intercettata dalla quale non emergeva alcun elemento
concreto per suffragare dette conclusioni
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta
infondatezza.

2.

Va innanzitutto evidenziato come, per giurisprudenza costante di
questa Suprema Corte a cui si uniforma anche questo Collegio, è da
considerarsi inammissibile il ricorso avverso il provvedimento del
Tribunale del riesame che deduca per la prima volta vizi di
motivazione inerenti ad argomentazioni presenti nel provvedimento
genetico della misura coercitiva che non avevano costituito oggetto

2

di doglianza dinanzi allo stesso Tribunale, non risultandone traccia né
dal testo dell’ordinanza impugnata, né da eventuali motivi o
memorie scritte, né dalla verbalizzazione delle ragioni addotte a
sostegno delle conclusioni formulate nell’udienza camerale (Cass.,
Sez. 2, n. 42408, del 21 settembre 2012, dep. 30 ottobre 2012, rv.
254037, Caltagirone Bellavista)
Nella fattispecie, il ricorrente non risulta aver offerto adeguata

dimostrazione di aver sollevato la doglianza della mancata
concessione della misura cautelare degli arresti domiciliari da
eseguirsi con le modalità di cui all’art. 275-bis c.p.p. al giudice per le
indagini preliminari precedentemente alla proposizione del ricorso
avanti al Tribunale del riesame ove l’istanza risulterebbe essere stata
proposta per la prima volta.
3. Passando al primo motivo di doglianza si evidenzia come, per
costante insegnamento della Suprema Corte (cfr., Cass. Sez. 5, 19
giugno 2012, Bottan), la richiesta di applicazione del controllo
personale attraverso il cd. braccialetto elettronico, che è una mera
modalità di esecuzione di una misura cautelare personale, rimane
assorbita dalla decisione di rigetto dell’istanza di revoca della misura
massima della detenzione in carcere.
Invero, in tema di misure cautelari personali, la previsione di cui
all’art. 275-bis c.p.p., introdotta dal D.L. 24 novembre 2000, n. 341,
art. 16, convertito dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4 stabilendo che il
giudice nel disporre la misura degli arresti domiciliari anche in
sostituzione della custodia cautelare possa prescrivere, in
considerazione della natura e del grado delle esigenze cautelari da
soddisfare nel caso concreto, l’adozione di mezzi elettronici o altri
strumenti tecnici di controllo non introduce una misura coercitiva
ulteriore, rispetto a quelle elencate negli artt. 281 e segg. c.p.p. ma
unicamente una condizione sospensiva della custodia in carcere, la
cui applicazione viene disposta dal giudice contestualmente agli
arresti domiciliari e subordinatamente al consenso dell’indagato
all’adozione dello strumento elettronico. Ne deriva che il suddetto
braccialetto rappresenta una cautela che il giudice può adottare, se
lo ritiene necessario, non già ai fini della adeguatezza della misura
più lieve, vale a dire per rafforzare il divieto di non allontanarsi dalla
propria abitazione ma ai fini del giudizio, da compiersi nel

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procedimento di scelta delle misure, sulla capacità effettiva
dell’indagato di autolimitare la propria libertà personale di
movimento, assumendo l’impegno di installare il braccialetto e di
osservare le relative prescrizioni (v. Cass. Sez. 2, 29 ottobre 2003 n.
47413).
Nella fattispecie il Tribunale del Riesame, nel confermare la misura
cautelare in carcere nei confronti di DI ROSA Giovanni ha

della stessa e di consequenziale inadeguatezza di altra misura
cautelare meno afflittiva.
4. In relazione al secondo motivo, il ricorrente ripropone le medesime
questioni sottoposte al giudice dell’impugnazione del merito ed alle
quali è stata data corretta e logica risposta.
Non si può, pertanto, chiedere a questa Corte di legittimità di
riesaminare in punto di fatto quanto già affrontato in sede di merito.
5. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art.
616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1000.
A cura della cancelleria devono, altresì, disporsi gli adempimenti di
cui all’art. 94, co. 1 ter, disp. att.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000 alla
Cassa delle ammende.
Si provveda ex art. 94, co. 1-ter disp. att. c.p.p.
Così deliberato in Roma il 14.11.2013

implicitamente e validamente formulato il giudizio di ineludibilità

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