Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4715 del 30/11/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 4715 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: CAPOZZI RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) MIRIELLO DOMENICO N. IL 09/05/1983
avverso l’ordinanza n. 1568/2012 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
04/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELE CAPOZZI;
Atitteisentite le conclusioni del PG Dott.
6-1 Pt- L
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Data Udienza: 30/11/2012

N.31174/12-RUOLO N.36 C.C.P. (2001)
RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza del 4 giugno 2012 il Tribunale di Roma, adito ai sensi dell’art.
309 cod. proc. pen., ha respinto la richiesta di riesame proposto da MIRIELLO
Domenico avverso l’ordinanza del 16 maggio 2012, con il quale il G.I.P. in sede
gli ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere, siccome indagato
per il reato di partecipazione ad un’associazione criminosa intesa al commercio di
del 2010, gestendo lo spaccio dello stupefacente in Roma unitamente a PELLE
Antonio classe 1988 ed a TASSONE Francesco, con il ruolo di addetto alla
riscossione dei proventi illeciti (art. 74 commi 2 e 3 del d.P.R. n. 309 del 1990);
2.11 Tribunale del riesame ha ritenuto la sussistenza nei confronti dell’indagato
di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato ascrittogli, indizi consistiti
principalmente nei servizi di appostamento svolti e nelle intercettazioni delle
conversazioni tenute dall’indagato con i coimputati PELLE Antonio e TASSONE
Francesco nel locale sito in Roma, via Bibulo, sede del centro “Privata
Assistenza”, facente capo al MIRIELLO, conversazioni dalle quali era dato
evincere i criteri di distribuzione dello stupefacente fra i vari utenti ed il
conteggio dei proventi relativi, mediante l’utilizzazione di un linguaggio criptico,
nel quale la droga era intesa come “macchine”.
3.11 Tribunale ha ritenuto altresì la sussistenza di gravi esigenze cautelari, tali da
giustificare l’adozione, nei confronti dell’indagato, della custodia cautelare in
carcere, avendo ravvisato il concreto pericolo di reiterazione delle condotte
criminose, ex art. 274 comma primo lettera c) cod. proc. pen., nonostante la
risalenza del fatto e l’incensuratezza dell’indagato, per avere egli messo la
propria insospettabilità a disposizione di personaggi del calibro del PELLE e dei
suoi sodali, si da non potersi riporre affidamento sulla sua capacità di
autodisciplina, in caso di adozione di una misura cautelare meno afflittiva.
4.Avverso detto provvedimento del Tribunale di Roma MIRIELLO Domenico
propone ricorso per cassazione per il tramite del suo difensore, che ha dedotto:
I)-violazione di legge e motivazione erronea per avere il provvedimento
impugnato ritenuto che non sussisteva l’obbligo di tradurre le conversazioni
captate dal dialetto calabrese alla lingua italiana, atteso che il dialetto parlato
era da assimilare del tutto ad una lingua straniera; al contrario erano avvenuti
gravi travisamenti del significato delle conversazioni; né poteva ritenersi
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stupefacente tipo cocaina in un arco di tempo compreso fra il marzo e l’ottobre

sufficiente l’avere ovviato a tale difficoltà di comprensione utilizzando personale
di polizia di origine calabrese, anche perché esso non aveva effettuato tutte le
traduzioni; era ravvisabile pertanto violazione dell’art. 143 comma 2 cod. proc.
pen. in materia di nomina dell’interprete;
II)-motivazione carente ed illogica circa il tempo trascorso dalla commissione del
reato, atteso che i fatti erano avvenuti due anni prima l’emissione dell’ordinanza
di custodia cautelare e non si erano più reiterati, si che non erano stati indicati i
motivi per cui era stata ritenuta possibile la reiterazione del reato;
cautelari e di gravi indizi di colpevolezza a suo carico in ordine alla sua
appartenenza ad un sodalizio criminoso ed allo svolgimento da parte sua di
attività illecite collegate al traffico di sostanze stupefacenti.
Erano stati ritenuti indici validi solo alcune intercettazioni ambientali, ristrette in
un arco temporale di una settimana circa, inidonee a provare la pretesa rilevanza
del contributo che da lui sarebbe stato fornito all’operatività del sodalizio
criminoso, tanto più che gli stessi indizi non erano stati ritenuti idonei a
supportare l’accusa nei suoi confronti circa la commissione di due reati fine,
consistiti in due episodi di spaccio di sostanza stupefacente;
IV)-motivazione carente e contraddittoria, per essere stata effettuata un’analisi
parcellizzata e frammentata delle conversazioni captate, si che erano stati
numerosi gli equivoci ed i fraintendimenti lessicali e concettuali;
V)-motivazione illogica circa il fraintendimento della parola “macchine”,
erroneamente intesa dagli inquirenti come stupefacente, in quanto egli si era
effettivamente occupato di compravendita di auto presso il negozio di un amico
di famiglia ed il coindagato PELLE poteva avere avuto rapporti con lui appunto
per la vendita di auto; non era stato poi indicato quale parte della sua vita, in
quei pochi giorni di due anni addietro, fosse stata contaminata a tal punto
dall’attività illecita da farlo divenire parte attiva di un’associazione criminosa,
non potendosi escludere che egli, in quel periodo abbia continuato ad occuparsi
della vendita di auto;
VI)-motivazione illogica circa la sussistenza a suo carico dell’indizio costituito dal
rinvenimento, in sede di perquisizione, di un appunto, tale da dimostrare la
permanenza della c.d. “affectio societaris”, trattandosi di appunto non datato nel
quale erano stati trascritti conteggi che non si riferivano al traffico di droga;
VII)-motivazione illogica per avere il Tribunale ritenuto che i riferimenti al
capitale investito ed al deficit di capitale, da lui fatti nel corso dei colloqui con il
coindagato PELLE, fossero riferibili al commercio di stupefacente e non al
commercio di auto, acquistati in leasing, con conseguente legittimo uso della
parola “capitale”;
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III)-motivazione manifestamente illogica circa la sussistenza di esigenze

VIII)-motivazione illogica per avere il provvedimento impugnato travisato l’uso
delle parole macchine vecchie e nuove da saldare, avendo erroneamente ritenuto
che fossero riferite allo stupefacente, mentre erano parole compatibili con
l’attività di compravendita di auto da lui svolta.
5.Con memoria depositata il 14 novembre 2012, il ricorrente ha ulteriormente
sviluppato i motivi di ricorso di cui sopra, sottolineando in particolare la carenza
di motivazione circa la ritenuta sussistenza di esigenze cautelari, riferita al
raccolti non erano idonei a provare il suo stabile inserimento nell’associazione
criminosa ipotizzata, in quanto le conversazioni captate erano prive di
espressioni lessicali evocative di sostanze stupefacenti, non potendosi ritenere
che il termine “macchine” da lui usato fosse riferibile alla sostanza stupefacente
e non a vere autovetture.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso proposto da MIRIELLO Domenico è infondato.
2.Va preliminarmente osservato che, in ordine all’applicazione dell’art. 273
c.p.p., per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi quegli elementi a carico,
di natura logica o rappresentativa, che, contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni
degli elementi strutturali della corrispondente prova, non valgono di per sé a
provare oltre ogni dubbio la responsabilità degli indagati ai fini della pronuncia di
una sentenza di condanna, e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di
prevedere che, attraverso il prosieguo delle indagini, saranno Idonei a dimostrare
tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di
colpevolezza (principio ampiamente consolidato; tra le tante: Cass., Sez. VI,
06/07/2004, n.35671).
3.11 primo motivo di ricorso è infondato, atteso che non sussisteva nella specie
l’obbligo per gli organi inquirenti di nominare un interprete per tradurre le
conversazioni, oggetto di intercettazione ambientale, intercorse fra l’indagato ed
il PELLE, dal dialetto calabrese alla lingua italiana; costituisce invero un mero
accertamento di fatto rimesso al giudice di merito la valutazione del grado di
Intelligibilità di un dialetto; e nella specie il provvedimento impugnato ha
adeguatamente motivato circa la sussistenza di detta intelleggibilità, avendo
sottolineato come tutte le intercettazioni ambientali utilizzate erano state
decifrate da personale di polizia di origine calabrese (cfr. Cass. Sez. 4 n. 32924
del 14/572004, Belforte, Rv. 229104).
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pericolo di reiterazione dei reati, essendo egli incensurato; inoltre gli indizi

4.11 secondo motivo di ricorso verrà esaminato appresso.
Sono infondate le restanti sei censure, da trattare congiuntamente, siccome tutte
riferite alla sussistenza in capo al ricorrente di validi indizi di colpevolezza, in
ordine alla sua appartenenza ad un’associazione criminosa intesa al traffico di
cocaina.
5.L’appartenenza di un soggetto ad un sodalizio criminoso richiede, oltre

all’accertamento dell’esistenza in sé dell’associazione malavitosa, la verifica del
ruolo in essa svolto dal soggetto e delle modalità delle azioni da lui eseguite, tali
da porre in rilievo la sussistenza di un vincolo stabile tra il soggetto e
l’associazione, nonché l’accertamento che il ruolo a lui affidato nell’ambito della
compagine criminosa non sia occasionale, ma abbia i caratteri della stabilità e si
sia protratto per un significativo spazio temporale (cfr., in termini, Cass. 9.12.02
n. 2838; Cass. 3^ 16.10.08 n. 43822).
L’associazione a delinquere, prevista dall’art. 74 del d.P.R. n.309 del 1990,
appartiene al genus dell’associazione criminosa delineata dall’art. 416 cod. pen.,
distinguendosene solo per un elemento specializzante, costituito dall’essere essa
finalizzata alla commissione di più delitti fra quelli previsti dall’art. 73 del citato
d.p.r. n. 309 del 1990.
Pertanto anch’essa richiede la presenza di almeno tre persone e la sussistenza di
un vincolo continuativo, scaturente dalla consapevolezza che ha ciascun
associato di far parte di un sodalizio criminoso e di fornire, con il proprio
contributo causale, un valido apporto al perseguimento del programma criminoso
anzidetto, per realizzare il quale è richiesta la predisposizione di una struttura,
che può anche sussistere solo in via rudimentale, purché risulti fornita dei mezzi
finanziari necessari al perseguimento delle illecite finalità e risulti destinata ad
operare per un apprezzabile arco temporale (cfr. Cass. 1^, 22.9.06 n. 34043, rv.
234800).
6.Conforme ai principi giurisprudenziali sopra riferiti appare la motivazione con la
quale il Tribunale del riesame di Roma ha ritenuto la sussistenza a carico del
MIRIELLO di gravi indizi di colpevolezza circa la sua partecipazione ad
un’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti,
principalmente cocaina, facente capo a PELLE Antonio, giudicato a parte, della
quale facevano altresì parte, oltre a quest’ultimo, almeno altri due soggetti, quali
MERIDIANI Mirko e TASSONE Francesco, anch’essi giudicati a parte, avendo
ritenuto sussistente tale associazione per un periodo apprezzabilmente lungo
(dal marzo all’ottobre 2010) ed essendo stato individuato il suo ruolo specifico,
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costituito dall’essere stato egli addetto alla riscossione dei proventi della
distribuzione dello stupefacente al minuto, ruolo da lui consapevolmente svolto
alle dirette dipendenze del capo del sodalizio, individuato in PELLE Antonio,
partecipe del temuto clan mafioso, noto come clan Pelle di San Luca in Calabria.
7.Gli indizi di colpevolezza, correttamente valorizzati dal Tribunale di Roma a
carico del ricorrente, sono consistiti:
-negli esiti di più intercettazioni ambientali, svolte il 24 aprile 2010, il 30 aprile
Antonio e TASSONE Francesco nel locale sito in Roma, via Bibulo n. 23, dove
l’indagato gestiva un centro della rete “Privata Assistenza”, conversazioni nel
corso delle quali venivano svolti conteggi attinenti alle varie partite di
stupefacenti trasportate a Roma dal PELLE e dal TASSONE e distribuite fra gli
utenti finali; e da tali conversazioni era evidente l’uso di un linguaggio cifrato,
indicandosi lo stupefacente come “macchine”;
-nei numerosi appostamenti di p.g. innanzi al locale di via Bibulo, di cui sopra,
dai quali era emerso la frequenza degli incontri intercorsi fra l’indagato ed il
PELLE ed il TASSONE.
7.11 quadro indiziario emerso a carico del ricorrente per il delitto di cui sopra è da
ritenere pertanto rilevante ed idoneo.
A fronte di esso il ricorrente si è limitato a contestare la valenza indiziaria degli
elementi ravvisati a suo carico con argomentazioni di merito non proponibili nella
presente sede di legittimità, particolarmente riferite all’uso del termine
macchine, che secondo il ricorrente era da intendersi effettivamente riferito non
alla droga, ma ad autovetture, della cui compravendita egli si sarebbe
effettivamente occupato; ed i conteggi desumibili dalle intercettazioni ambientali
erano da ritenere riferiti unicamente ad autovetture.
Trattasi invero di una lettura alternativa degli elementi indiziari inibita nella
presente sede di legittimità, essendo adeguata la motivazione addotta sul punto
dal Tribunale, il quale ha rilevato l’inverosimiglianza, nel contesto intercettativo
svolto, del riferimento a vere e proprie autovetture, essendo l’attività di
mediatore di auto solo un lavoro residuale del ricorrente e non avendo avuto egli
alcuna ragione di occuparsi di tale commercio di auto nel locale di via Bibulo,
finalizzato allo svolgimento di attività del tutto differente (servizi di assistenza ad
anziani) con un soggetto (il PELLE), la cui nota caratura criminosa difficilmente
consentiva di accreditarlo quale commerciante di auto.

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2010 il 9 giugno 2010 il 14 giugno 2010 fra l’indagato ed i coimputati PELLE

8.E’ altresì infondata il secondo motivo di ricorso, con il quale il MIRIELLO
lamenta carenza di motivazione circa la sussistenza di esigenze cautelari così
rilevanti da far luogo alla custodia in carcere disposta nei suoi confronti.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 231 del 2011, ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 275 comma 3 secondo periodo cod. proc. pen., così come
modificato dall’art. 2 del d.l. n. 11 del 2009, convertito con modificazioni nella
legge n. 38 del 2009, nella parte in cui, nel prevedere che quando sussistono
gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309
elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva
altresì l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso
concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con
altre misure.
A seguito della pronuncia anzidetta il giudice, anche con riferimento al reato di
cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, è tenuto pertanto ad indicare gli
specifici elementi, di cui all’art. 274 lettera c) cod. proc. pen., dai quali poter
presumere la sussistenza di esigenze cautelari, sotto la species del pericolo di
reiterazione nello stesso reato.
E’ da ritenere che l’ordinanza impugnata ha adeguatamente motivato la
sussistenza di tale pericolo di recidiva.
Il Tribunale ha invero rilevato come l’incensuratezza stessa del ricorrente
costituisse un elemento dal quale desumere la sussistenza di tale pericolo,
sebbene si trattasse di fatti risalenti al 2010, atteso che egli, sebbene
incensurato, aveva dato prova di una particolare spregiudicatezza ed
inaffidabilità, essendosi egli prestato a fungere da contabile ed uomo di fiducia di
pessimi personaggi appartenenti alla malavita calabrese, quali PELLE Antonio
(cfr. la conservazione da parte sua dell’agenda 2010, contenente i conteggi
relativi alla distribuzione al minuto della cocaina, effettuata in quel periodo);
appare pertanto ragionevole avere ritenuto sussistente il pericolo di recidiva, se
si pone mente al fatto che il PELLE appartiene ad una nota famiglia mafiosa
calabrese, in grado di procurarsi in qualsiasi momento ingenti quantità di cocaina
da riversare sul mercato romano.
9.Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso proposto da MIRIELLO
Domenico, con sua condanna al pagamento delle spese processuali.
10.5i provveda all’adempimento di cui all’art. 94 comma 1 ter disp. attuazione
c.p.p.
P.O.M.
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del 1990 è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti

Trasmessa copia ex art. 23
n i tcr L 8-8-95 n. 332
2013
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Roma, n

a

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att.
cod. proc. pen.

Così deciso il 30 novembre 2012.

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