Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47143 del 17/09/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47143 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PONTICELLI ALESSANDRO N. IL 27/07/1959
PONTICELLI RICCARDO N. IL 20/05/1954
avverso l’ordinanza n. 48/2012 TRIB. LIBERTA’ di PISTOIA, del
26/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
—e c•–e

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 17/09/2013

PONTICELLI Alessandro e PONTICELLI Riccardo (indagati per il delitto di
corruzione), ricorrono per Cassazione avverso l’ordinanza 26.2.2013 con la quale il
Tribunale di Pistoia, in funzione di giudice del rinvio della decisione 27.11.2012 di
questa Suprema Corte, ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo ex art.
322 ter cp di tre autoveicoli di proprietà degli indagati, quale equivalente a € 20.000,00.
Le difese degli indagati chiedono l’annullamento della decisione impugnata
denunciando:
§1.) ex art. 606 l^ comma lett. B) cpp in relazione gli artt. 627 comma 3 cpp e 322 ter
cp, violazione di legge, perché il Tribunale, per la determinazione dell’importo
sequestrabile per equivalente agli indagati. In sede di giudizio di rinvio, ha individuato
il “profitto – sequestrabile con metodo presuntivo nella misura del 10% del valore della
commessa in appalto, al netto dei costi, in ciò ricorrendo a criteri normativi non
applicabili nella presente sede; la difesa sostiene che il profitto sequestrabile doveva
essere individuato attraverso una determinazione concreta ed effettiva del quantum, e la
omissione di tal procedimento costituisce violazione di legge e segnatamente dell’art.
627 cpp.
RITENUTO IN DIRITTO
Fermi i profili del fumus commissi delicti e del periculum in mora (aspetti sui quali si è
formato il giudicato cautelare), ex art. 627 cpp, il Tribunale del riesame ha indicato
nella misura del 10% del valore dell’appalto, l’ entità del profitto ritratto dagli indagati
nel rapporto contrattuale da loro instaurato con modalità corruttive con la Pubblica
amministrazione.
Il Tribunale, in sede di rinvio, seguendo i due principi di diritto indicati dal giudice della
legittimità, ha determinato il “profitto” (ex art. 322 ter cp) attraverso una
parametrazione percentuale del vantaggio economico conseguito dagli indagati
correlato al valore della commessa in appalto, escludendo i valori di costo delle
prestazioni effettivamente fornite alla Pubblica Aministrazione; il Tribunale, inoltre ha
verificato che le somme costituenti il profitto come sopra determinato fossero state
oggettivamente percepite dall’impresa coinvolta nella vicenda corruttiva che vede
indagati i suoi amministratori..
Nella determinazione della percentuale del 10% del valore delle opere, il Tribunale del
riesame, ha ritenuto di richiamarsi a due specifici dati normativi (art. 134 dlgs 163/2006
e art. 32 dpr 207/2010) espressamente indicati nel provvedimento oltre ad altri
provvedimenti (di carattere amministrativo) rispondenti a quei criteri. Si tratta di
metodo di calcolo del “danno risarcibile – a favore dell’appaltatore in caso di recesso dal
contratto della Pubblica amministrazione; con tale metodo viene infatti individuato in
termini di danno oggettivo il profitto non conseguito (pag. 3 e ss. dell’ordinanza)
dall’imprenditore che assista ad una risoluzione anticipata del contratto di appalto.
Da parte del Tribunale si tratta di una scelta di merito pienamente rispondente ai canone
della ragionevolezza e della non manifesta illogicità [v. pag. 4 della ordinanza], sì da
non poter essere censurata sotto il profilo della legittimità; né è sindacabile, in questa
sede, la considerazione, sviluppata dalla difesa che altri e diversi potevano essere i
parametri di riferimento o le metodiche che dovevano essere seguite nella
determinazione del profitto sequestrabile: trattandosi anche in questo caso di questioni
di mero fatto non suscettibili di considerazione nella presente sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 17.9.2013.

Nella motivazione della decisione il Tribunale ha proceduto ad una nuova valutazione
del “quantum” sequestrabile per equivalente attenendosi ai principi di diritto segnati dal
giudice di legittimità, con la conseguenza che la ordinanza non è censurabile sotto il
profilo del rispetto dell’art. 627 cpp, verificando che la somma così come sopra
individuata fosse stata concretamente percepita da parte dell’impresa aggiudicatrice
dell’appalto [pag. 4, 5 della ordinanza].
Ogni altra censura formulata dalla difesa è riconducibile o ad aspetti o a scelte di
merito, o a censure riconducibili al vizio di motivazione (pag. 5 del ricorso): nel primo
caso si tratta di aspetti che esulano dal giudizio di legittimità, nel secondo, si tratta di
argomenti inammissibili ex art. 325 cpp, poiché la denuncia dei provvedimenti cautelari
reali in sede di legittimità può essere fatta solo per casi di violazione di legge.
Contrariamente a quanto affermato dalla difesa, il Tribunale nella propria decisione si è
riferito ad uno dei possibili metodi utilizzabili per la individuazione del profitto
sequestrabile ed è pervenuto ad una determinazione netta dai costi sostenuti per la
esecuzione dell’opera, né può essere apprezzata la tesi con la quale si critica l’idea che
il quantum sequestrabile possa coincidere con l’utile netto di impresa (pag. 6 del
ricorso); infatti, in relazione al delitto contestato l’ illiceità prospettata dalla pubblica
accusa si ricollega al fatto che attraverso la manovra corruttiva l’ impresa degli indagati
ha conseguito l’aggiudicazione del contratto di appalto, con la conseguenza che è
corretto sul piano della logica la valutazione fatta dal Tribunale.
Le censure della difesa, riguardando aspetti di merito o vizi della motivazione, senza la
deduzione di specifiche e reali violazioni di legge, ex art. 325 cpp, deevono essere
dichiarate inammissibili.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna degli indagati al
pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di € 1.000,00 alla Cassa
delle Ammende, così equitativamente determinata la sanzione dovuta ex art. 616 cpp,
ravvisandosi nella condotta processuale degli indagati estremi di responsabilità nella
determinazione della causa di inammissibilità.

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