Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47131 del 15/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47131 Anno 2013
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VASILE COSIMO N. IL 14/10/1964
MANGONE GIUSEPPE N. IL 05/03/1965
avverso la sentenza n. 909/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
04/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 17,
che ha concluso per i\ n
4);

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 15/11/2013

Con sentenza del 4 luglio 2012, la Corte di appello di Milano ha dichiarato
inammissibile perché generico l’appello proposto da MANGONE Giuseppe avverso
la sentenza pronunciata il 29 settembre 2011 all’esito del giudizio abbreviato dal
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza con la quale lo stesso era
stato condannato alla pena di anni tre di reclusione ed euro 2.100 quale imputato di
tentata estorsione, ed ha confermato la sentenza stessa nei confronti di VASILE
Cosimo Damiano, condannato alla medesima pena per lo stesso reato.
Propongono ricorso per cassazione entrambi gli imputati anzidetti. Nel ricorso
proposto nell’interesse del VASILE si lamenta nel primo motivo che sia stata
disattesa dai giudici del gravame la richiesta di ritenere i fatti non punibili per
intervenuta desistenza volontaria, posto che gli elementi sulla cui base i giudici del
merito hanno ritenuto che l’attività delittuosa si fosse protratta nel tempo
risulterebbero equivoci, così come “fumosa” sarebbe stata la minaccia rivolta alla
persona offesa. Si rinnova poi la censura relativa al fatto che il reato doveva
qualificarsi come violenza privata essendo l’imputato all’oscuro delle finalità cui era
destinato l’atto intimidatorio, evocandosi al riguardo atti dai quali tale conclusione
sarebbe avvalorata. Si lamenta infine la mancata concessione delle attenuanti
generiche e la mancata esclusione della recidiva.
Nel ricorso proposto nell’interesse di MANGONE Giuseppe si rievocano,
invece, i vari profili dedotti a fondamento delle specifiche richieste articolate nei
motivi di appello, sottolineandosi come alla stregua di quanto dedotto la
impugnazione non poteva reputarsi generica e dunque inammissibile.
I ricorsi sono entrambi inammissibili. Quanto al ricorso proposto nell’interesse
del VASILE, infatti, le doglianze, in larga misura reiterative di censure già
prospettate e motivatamente disattese dai giudici del gravame, senza che ai rilievi dei
giudici a quibus sia stata frapposta una articolata critica impugnatoria fondata su
argomentazioni non meramente assertive, i motivi risultano articolati esclusivamente
sulla base di rilievi pertinenti al merito della decisione e, quindi, evocativi di un
sindacato estraneo al perimetro entro il quale è consentito l’odierno scrutinio di
legittimità. Il tutto non senza sottolineare la coerenza, easaustività e correttezza
giuridica che ha caratterizzato la motivazione esibita dai giudici del gravame sui
diversi profili ora nuovamente censurati dal ricorrente.
A proposito, poi, del ricorso del MANGONE, lo stesso non pone in luce aspetti
che evidenzino, in sé, aporie o errori di apprezzamento compiuti dai giudici
dell’appello nel qualificare come generici i motivi di appello, dal momento che il
requisito della specificità deve essere colto nella sua effettiva dimensione funzionale,
che è quella di offrire una critica motivata agli argomenti adottati dal primo giudice a
proposito dei diversi profili attinti dalla impugnazione. Ove manchi una espressa
“spiegazione” delle ragioni per le quali un punto o un capo della sentenza deve essere
sottoposto a revisione da parte del giudice dell’appello e, dunque, l’appellante abbia
1

OSSERVA

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrente al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di euro mille in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2013
Il Cons’ ere estensore

Il Preside

omesso di misurarsi con il tessuto argomentativo proposto dal primo giudice a
sostegno della statuizione decisoria, l’appello non può che ritenersi generico,
esattamente come generica è la doglianza di tipo meramente assertivo che non si
misuri “concretamente” (e quindi non in modo solo formale) con l’oggetto della
propria critica. Poiché, dunque, i motivi di ricorso non hanno posto in risalto vizi o
lacune tali da rendere illegittima la decisone dei giudici dell’appello, anche il ricorso
deve essere di conseguenza dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di
una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 ciascuno alla luce dei
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

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