Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4712 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 4712 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BERTOLINO RICCARDO N. IL 05/01/1936
ZHANG JIAN REN N. IL 17/05/1969
avverso la sentenza n. 5883/2009 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 14/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore Q nerale iiersona del Dott.
che ha concluso per

r>,

Udito, per la parte
Uditi difenso

e, l’Avv

cpsvp

Data Udienza: 08/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 14/3/2012, pronunciando
sull’appello proposto da Bertolino Riccardo e da Zhang Jian Ren avverso la
sentenza del Tribunale di Bologna che li aveva dichiarati colpevoli di plurime
condotte di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ai sensi dell’art. 12,
comma 3 D. L.vo 286 del 1998, dichiarava prescritti due degli episodi contestati
a Zhang e riduceva la pena per Zhang ad anni quattro e mesi due di reclusione

reclusione ed euro 25.000 di multa, confermando nel resto la sentenza
impugnata.
I fatti risalgono agli anni 2000 e 2001. Secondo le imputazioni per le quali è
stata confermata la condanna in appello, entrambi gli imputati, in concorso con
Tao Hanwang avrebbero compiuto attività dirette a favorire l’ingresso nel
territorio dello Stato di tre cittadini cinesi (capo 3); in particolare Zhang e
Bertolino avrebbero predisposto e fornito a Tao documentazione falsa (buste
paga di una ditta, certificazione igienico-sanitaria rilasciata dalla AUSL di
Bologna, contratto di locazione) allegata alla richiesta di ricongiungimento
familiare presentata alla Questura di Bologna; Bertolino Riccardo, inoltre, in
concorso con due cittadini cinesi, avrebbe compiuto attività diretta a favorire
l’ingresso di una cittadina cinese (capo 8), anche in questo caso predisponendo e
fornendo a Ji Shangkao documentazione falsa dello stesso tipo, anch’essa
allegata ad una domanda di ricongiungimento familiare presentata alla Questura
di Bologna; infine entrambi gli imputati, in concorso con Guo Guolin, avrebbero
commesso analoga condotta (capo 15) al fine di favorire l’ingresso nel territorio
dello Stato della moglie e della figlia di Guo.
Tutti i reati di falso connessi sono stati dichiarati prescritti.

Le fonti di prova erano costituite dalle confessioni dei coimputati stranieri,
che avevano utilizzato la documentazione falsa per presentare la domanda di
ricongiungimento; la loro convergenza, pur trattandosi di dichiarazioni
autonome, nonché l’esito delle perquisizioni nei confronti dei due imputati, atto
che aveva permesso il sequestro di copiosa documentazione, con il rinvenimento
di copie di plurimi documenti relativi ai cittadini stranieri funzionali alla
predisposizione di domande di permesso di soggiorno.

La Corte dichiarava inammissibili i motivi di appello fondati sulla violazione
dell’art. 414 cod. proc. pen. e sulla violazione dei termini massimi per lo
svolgimento delle indagini preliminari.

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ed euro 20.000 di multa e per Bertolino ad anni quattro e mesi quattro di

La Corte affrontava, poi, il motivo di appello concernente l’utilizzazione ai
fini della decisione delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da
coimputati cinesi.
Si trattava di alcuni verbali di sommarie informazioni interrotte ai sensi
dell’art. 63, comma 1, cod. proc. pen. per essere sorti indizi a carico dei
dichiaranti, che avevano ammesso di avere allegato documentazione contraffatta
alle domande di ricongiungimento familiare: secondo la Corte, i verbali non
potevano essere utilizzati contro il dichiarante, mentre potevano esserlo contra

il dibattimento.
Erano stati inoltre utilizzati per la decisione alcuni verbali di interrogatorio
dei coimputati contumaci, di cui era stata data lettura e che erano stati acquisiti
ai sensi dell’art. 513 cod. proc. pen., su richiesta del P.M.. Benché non fosse
stato dato atto di un accordo tra le parti – che, del resto, non era necessario – la
Corte li riteneva utilizzabili contro i due imputati, in quanto nessuna opposizione
dei difensori vi era stata e non essendo necessario, per l’utilizzazione, un
consenso espresso e formale.

La Corte riassumeva gli elementi di prova a carico dei due imputati, di
carattere generale (esito delle perquisizioni) e con riferimento a ciascun reato;
riteneva che essi dimostrassero la responsabilità di entrambi gli imputati,
valutando attendibili le chiamate in correità, in quanto precise e dettagliate, rese
da persone che si accusavano dei reati per i quali sarebbero stati condannati e
che non avevano alcun intento vendicativo o calunniatorio nei confronti di Zhang
e Bertolino; le chiamate erano inoltre riscontrate, sia tra di loro, trattandosi di
dichiarazioni convergenti del tutto autonome tra loro, sia da elementi oggettivi.

I tre reati per i quali è stata confermata la condanna, secondo la Corte, non
erano prescritti, in conseguenza della contestazione del numero di concorrenti
pari a tre e del fine di lucro, tali da determinare la pena edittale, anche dopo la
modifica introdotta dalla legge 94 del 2009, in misura che non permetteva di
ritenere compiuta la prescrizione.

La Corte confermava il rigetto della richiesta di applicazione delle attenuanti
generiche ad entrambi gli imputati per le modalità professionali con cui
operavano; inoltre Bertolino aveva riportato numerosi e non lievi precedenti
penali, mentre Zhang, oltre ad un precedente per contrabbando, svolgeva il
ruolo fondamentale di collettore tra i cinesi e gli ambienti che fornivano le false
documentazioni; uno dei testimoni aveva, poi, dichiarato di temere da lui

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alios; per di più, sull’accordo delle parti, essi erano stati acquisiti al fascicolo per

ritorsioni.
La Corte, infine, esplicitava il calcolo delle pene nei confronti dei due
imputati.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Bertolino Riccardo e di Zhang Jian
Ren, deducendo distinti motivi.
In un primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 12, comma 3, D.
L.vo 286 del 1998. La modifica operata dalla legge 189 del 2002 ha sostituito il

Stato: di conseguenza non costituiscono più reato ai sensi dell’art. 12 D. L.vo
286 del 1998 le condotte che favoriscono l’ingresso dei clandestini, senza
procurarlo.

Il ricorrente, poi, deduce la violazione dell’art. 414 cod. proc. pen., non
essendo stata richiesta la riapertura delle indagini; censura l’utilizzo a fini
decisori delle dichiarazioni rese da due cittadini stranieri e, infine, il mancato
rispetto dei termini di durata massima delle indagini preliminari.

In un secondo motivo, il ricorrente deduce vizio della motivazione.
Gli elementi indiziari valorizzati dalla Corte territoriale erano suscettibili di
diversa interpretazione ed erano contrastanti tra loro e con gli altri emersi.
La Corte territoriale aveva ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rese da
coimputati ai sensi dell’art. 63, comma 1, cod. proc. pen., ritenendole utilizzabili
contra alios ed affermando che i relativi verbali erano stati acquisiti al fascicolo
per il dibattimento su accordo delle parti. In realtà, Zhang non aveva dato il
consenso, né quello prestato dal difensore aveva efficacia, dovendo il consenso
provenire direttamente dall’imputato. Per di più, in mancanza dell’avviso di cui
all’art. 64, comma 3, lett. c) cod. proc. pen., le dichiarazioni dei due coimputati
non potevano essere utilizzati nei confronti dei ricorrenti.

Il ricorrente analizza le imputazioni e sottolinea che le condotte contestate a
Bertolino non integravano il reato contestato e che la contestazione a Zhang era
generica. I giudici di merito avevano violato gli artt. 521 e 522 cod. proc. pen.,
trattandosi di imputazioni generiche, che erano state concretizzate nelle
sentenze. In sostanza, dalla motivazione si ricavava l’imputazione, con
conseguente vizio della prima, che diventava assertoria.
A Zhang era stato formalmente contestato il concorso in falso, indicando
determinati comportamenti che, invece, erano stati completamente ignorati,
mentre l’imputato era stato condannato per il medesimo titolo di reato, ma per

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verbo “favorire” con “procurare”, con riferimento all’ingresso nel territorio dello

un fatto completamente diverso.

Secondo il ricorrente sussiste violazione di legge anche per la mancata
dichiarazione dell’intervenuta prescrizione dei reati contestati ai punti 3, 8 e 15 e
per l’utilizzazione dei verbali di sommarie informazioni e di interrogatorio dei
coimputati. Questi ultimi – in particolare l’interrogatorio di Tao Hanwang – erano
stati acquisiti ex art. 513 cod. proc. pen. ma erano stati utilizzati anche contro

Il ricorrente deduce, infine, violazione di legge con riferimento alla mancata
concessione delle attenuanti generiche ai due imputati.
Il ricorrente conclude per l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata o per l’annullamento parziale, con eventuale trasmissione alle Sezioni
Unite.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere respinto.

1. Il primo motivo di ricorso è del tutto generico.

Se è vero che, successivamente alla modifica dell’art. 12, comma primo e
terzo, del D.Lgs. n. 286 del 1998 ad opera dell’art.1 della I. n. 189 del 2002, non
costituisce più reato la condotta di chi favorisce l’ingresso nel territorio dello
Stato in violazione delle disposizioni in materia ove la stessa non si sia
estrinsecata anche in atti che abbiano procurato un tale ingresso (Sez. 3, n.
20880 del 29/02/2012 – dep. 30/05/2012, M. e altro, Rv. 252911), il ricorrente
non chiarisce affatto per quale motivo le condotte contestate ai due imputati non
“procurassero” l’ingresso nel territorio dello Stato degli stranieri clandestini,
limitandosi a favorirlo.

2. Anche i motivi attinenti alla violazione dell’art. 414 cod. proc. pen. (il
procedimento sarebbe stato instaurato dopo l’emissione di un decreto di
archiviazione, senza che fosse richiesta e concessa la riapertura delle indagini) e
al mancato rispetto dei termini massimi per lo svolgimento delle indagini
preliminari sono inammissibili, in quanto generici.

Già la Corte territoriale aveva ritenuto inammissibili i corrispondenti motivi
di appello, osservando che essi erano limitati ad una generica deduzione di una

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gli imputati pur in assenza del consenso della difesa di Zhang.

censura, senza alcuna indicazione chiara e precisa degli elementi di fatto che la
sorreggevano e senza la produzione della documentazione a sostegno delle
eccezioni: il ricorrente, anziché censurare la declaratoria di inammissibilità da
parte del Giudice di appello, ripropone i motivi, ancora una volta del tutto spogli
di qualsiasi documentazione a sostegno degli stessi.

3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

all’acquisizione di atti al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo
del pubblico ministero può essere validamente prestato anche dal difensore
dell’imputato, nell’ambito delle sue funzioni di partecipazione alla definizione
delle prove (Sez. 5, n. 13525 del 25/01/2011 – dep. 04/04/2011, Xhaferri, Rv.
250226, Sez. 6, n. 7061 del 11/02/2010 – dep. 22/02/2010, Minzera, Rv.
246090); il consenso può essere prestato anche tacitamente, qualora il
comportamento processuale delle stesse sia incompatibile con la volontà
contraria all’acquisizione (Sez. 2, n. 19679 del 06/05/2010 – dep. 25/05/2010,
Palamara, Rv. 247120): pertanto, esattamente la Corte territoriale ha ritenuto
utilizzabili i verbali di sommarie informazioni rese nel corso delle indagini
preliminari da coimputati e interrotti ai sensi dell’art. 63, comma 1, cod. proc.
pen., verbali per i quali il difensore degli imputati aveva prestato espressamente
il consenso all’acquisizione al fascicolo per il dibattimento.
Dal tenore della norma applicata, poi, si evince con chiarezza che quelle
dichiarazioni non potevano essere utilizzate contro le persone che le aveva rese,
ma potevano esserlo nei confronti di terzi (da ultimo, Sez. 6, n. 29535 del
02/07/2013 – dep. 10/07/2013, Oppolo e altro, Rv. 256151).

Il riferimento del ricorrente ai mancati avvisi dati al dichiarante ai sensi
dell’art. 64, comma 3, cod. proc. pen. è incomprensibile: si tratta di dichiarazioni
rese da persone che venivano sentite come persone informate sui fatti e alle
quali, quindi, tali avvisi non dovevano essere dati.

4. Analoga soluzione deve essere adottata con riferimento alla censura
concernente l’utilizzazione degli interrogatori dei coimputati, acquisiti al fascicolo
per il dibattimento ai sensi dell’art. 513 cod. proc. pen..

La Corte dà correttamente atto della mancanza del consenso espresso
all’utilizzazione da parte della difesa degli imputati oggi ricorrenti, ma richiama la
sentenza di questa Corte, secondo cui, ai fini dell’utilizzazione delle dichiarazioni

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Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, il consenso

predibattimentali contra alios

rese da imputati contumaci, assenti o rifiutatisi di

sottoporsi ad esame – la necessità del consenso di cui all’art. 513, comma primo,
ultima parte, cod. proc. pen., non comporta che esso debba manifestarsi in
modo espresso e formale, con la conseguenza che può essere desunto per
implicito dal solo fatto che la disposta acquisizione non abbia formato oggetto di
specifica opposizione (Sez. 5, n. 47014 del 08/07/2011 – dep. 20/12/2011, M.,
Rv. 251445).

dibattimento celebrato contro più imputati, alcuni dei quali sono rimasti
contumaci o sono assenti, i difensori degli altri imputati non possono opporsi alla
lettura dei verbali di interrogatorio reso nel corso delle indagini preliminari e alla
conseguente acquisizione al fascicolo per il dibattimento, quando lettura e
acquisizione conseguono alla richiesta del P.M. (o di altra parte interessata);
essi, piuttosto, possono dichiarare di non prestare il consenso all’utilizzazione di
tali dichiarazioni nei loro confronti.
Si intende, cioè, affermare il principio che – per far valere l’inutilizzabilità di
tali dichiarazioni nei propri confronti – l’imputato o il suo difensore devono
espressamente dichiarare di non prestare il consenso di cui all’art. 513, comma
1, cod. proc. pen..

In effetti, la soluzione si pone in linea con il principio più volte affermato da
questa Corte – e già richiamato al punto precedente – con riferimento ad altre
fattispecie, quale quella dell’utilizzazione di prove acquisite da un collegio
giudicante diversamente composto: il consenso ben può essere desunto, per
implicito, dal solo fatto costituito dalla mancata opposizione alla lettura dei
verbali relativi a dette prove o dall’assenza, comunque, di iniziative da parte
della difesa.

Più in generale, la tesi opposta appare formalistica e astratta: il contenuto
del verbale di interrogatorio del coimputato è già conosciuto dal momento
dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari; se contiene dichiarazioni
contra alios, l’imputato e il suo difensore lo hanno già valutato, prima della
celebrazione del dibattimento, nel momento in cui hanno valutato se avanzare
richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione di pena.
La dichiarazione espressa di negare il consenso all’utilizzazione nei propri
confronti, nel momento in cui quelle dichiarazioni entrano a far parte del
materiale probatorio utilizzabile dal giudice del dibattimento, è quindi coerente e
conseguente alla conoscenza dell’intero fascicolo delle indagini preliminari e alle

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Tale pronuncia deve essere confermata, pur dando atto che, in un

scelte difensive già operate; al contrario, il silenzio sulla questione
dell’utilizzazione, salva la successiva impugnazione della sentenza che utilizza
quei verbali è condotta processuale incoerente ed equivoca.
Il Giudice del dibattimento, che non conosce il contenuto degli interrogatori
fino al momento della loro lettura e che, quindi, ha un quadro assai più limitato
degli imputati e dei loro difensori, ben può ritenere, in definitiva, che a tale
silenzio corrisponda un consenso tacito all’utilizzazione nei confronti dei
coimputati, tenuto conto che – in linea di principio e salvo specifiche eccezioni –

pen., può utilizzare tutti e solo gli atti di cui è stata data lettura (artt. 511 e ss.
cod. proc. pen.) e che sono stati acquisiti al fascicolo per il dibattimento (art.
515 cod. proc. pen.).

5. Palesemente infondata è la censura concernente la genericità della
contestazione nei confronti dell’imputato Zhang: al contrario, la condotta allo
stesso contestata è ben descritta (si deve ricordare che l’imputazione
comprendeva anche i reati di falso, in cui erano specificamente indicati la natura
dei documenti contraffatti, l’ente pubblico che apparentemente li aveva rilasciati
e il cui timbro era stato a sua volta contraffatto nonché la condotta dello Zhang
di esecutore materiale delle contraffazioni), anche nella finalizzazione delle
contraffazioni operate verso l’ingresso clandestino di soggetti extracomunitari nel
territorio nazionale.

6. Le ulteriori censure sono del tutto infondate.

La Corte territoriale motiva adeguatamente sulla mancata estinzione per
prescrizione dei reati per i quali ha confermato la condanna: il ricorrente
denuncia violazione di legge, senza chiarire affatto la censura. Eppure
esattamente la Corte rileva che, per i reati sub 3, 8 e 15 dell’imputazione è stata
contestata l’ulteriore aggravante del numero di concorrenti pari a tre, con
conseguente diversa determinazione della pena edittale.

Anche la mancata concessione delle attenuanti generiche è adeguatamente
motivata dalla sentenza impugnata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese

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al momento della decisione il Giudice, in base all’art. 526, comma 1, cod. proc.

processuali.

Così deciso 1’8 gennaio 2014

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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