Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47097 del 05/07/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 47097 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
REGGIO Filiberto, nato a Chieti il 15/04/1940

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano del 21/19/2011.
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione del consigliere Paolo Antonio BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr.
Eduardo Scardaccione, che ha chiesto il rigetto del ricorso,
sentito, altresì, l’avv. Massimo Krogh, che ne ha chiesto, invece, l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Milano confermava,
per quanto di ragione, la sentenza del 23/10/2003, con la quale il Tribunale di
quella stessa città aveva dichiarato Filiberto Reggio, assieme a Torri Luigi, colpevole
del reato di cui agli artt. 110 cod. pen. 216, comma 1, n. 1, 223, comma 1, legge
fall. perché, in concorso tra loro, Reggio quale amministratore di fatto della I.F.IN.,
dichiarata fallita dallo stesso tribunale con sentenza del 09/07/1998, Torri quale
complice del predetto, dopo aver convinto Avanzini Augusto, amministratore della
FINAMORE s.r.l. alla cessione ad I.F.IN. del magazzino invenduto, si facevano

Data Udienza: 05/07/2013

consegnare, nell’autunno 1996, merce (gioielli di oggetti preziosi) per un valore di
oltre 700 milioni, pagandole con cambiali che Torri prometteva di scontare suo
tramite, ma che venivano poi restituite e quindi venivano protestate; merce di cui il
curatore non trovava poi più traccia né riusciva, stante la radicale assenza di
scritture contabili, ad accertare l’impiego delle relativo ricavato;

ed assieme a Federici Francesco, del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 216
comma 1, n. 2, 223 comma 1, legge fall. perché, in concorso tra loro, Federici quale
amministratore unico della I.F.IN. , Reggio, socio di maggioranza e quindi

curatore la ricostruzione del patrimonio del movimento degli affari e in specie,
l’individuazione della merce di cui sopra e/o la pensione della ricavato della relativa
vendita;

con l’aggravante, per il Reggio, dell’art. 219, comma 2, per avere

commesso plurimi fatti di bancarotta.
Avverso la pronuncia anzidetta il difensore dell’imputato, avv. Edmondo
Tomaselli, ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura
indicate in parte motiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia violazione e falsa

applicazione di norme giuridiche, ai sensi dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in
relazione all’art. 216 legge fall. Contesta, in particolare, l’attribuzione all’imputato
della qualifica di amministratore di fatto, ancorché non risultasse da alcunché che
egli avesse esercitato un potere gestionale continuativo e significativo.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norme
giuridiche , ai sensi dell’art. 606 lett. b) in relazione agli artt. 216 legge fall. e 640
cod. pen. Si lamenta, in particolare, che nel caso di specie siano stati avvisati gli
estremi del reato di bancarotta fraudolenta anziché quelli del reato di truffa,
nonostante la mancanza evidente dell’elemento soggettivo tipico del contestato
reato fallimentare.
Con il terzo motivo si deduce identico vizio di legittimità con riferimento all’art.
81 cod. pen. Sotto un primo profilo, si lamenta mancata applicazione in sede
cognitiva del vincolo della continuazione con precedente fattispecie di reato,
giudicata con sentenza del tribunale di Roma n. 8462/2004; in secondo luogo, si
deduce che, ingiustamente ed immotivatamente, era stato negato il richiesto
beneficio.
Con il quarto motivo si denuncia manifesta illogicità della motivazione con
riferimento alla valutazione delle risultanze processuali nonché travisamento delle
prove, segnatamente della dichiarazione testimoniale dell’Avanzini.

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amministratore di fatto, occultavano le scritture contabili, allo scopo di impedire al

Con il quinto motivo si deduce violazione falsa applicazione della legge penale,
ai sensi dell’art. 606 lett. b) in relazione all’art. 533 del codice di rito, in ragione
dell’inidoneità del compendio probatorio a giustificare l’affermazione di
responsabilità oltre il ragionevole dubbio.
Con il sesto motivo si deduce identico vizio di legittimità in relazione all’art. 219
legg. fall., con riguardo alla mancata applicazione dell’attenuante del danno di lieve
entità.
Con il settimo motivo si deduce violazione falsa applicazione della legge penale

comma 3 I. n. 251/2005 in relazione all’art. 3 Cost. ed all’art. 117 Cost. In
riferimento all’art. 7 Conv. Europea Diritti dell’Uomo. Si sostiene, al riguardo,
l’illegittimità della norma anzidetta nella parte in cui non consente l’applicazione del
più favorevole regime prescrizionale.
2. In limine, va rilevata la palese infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n.251, alla
stregua della pronuncia del Giudice delle leggi del 22.6.2011, n. 236 (ed ord. n. 43
del 25.1.2012), anteriore alla proposizione del ricorso.
3. Quanto al merito dell’impugnazione, la prima ragione di doglianza – afferente
all’attribuzione all’imputato della qualifica di amministratore di fatto – si pone ai
limiti dell’ammissibilità, involgendo questione squisitamente di merito, in ordine alla
quale la sentenza impugnata offre motivazione congrua e formalmente corretta. Ad
ogni modo, la questione è priva di fondamento, in quanto, in esito a prudente
apprezzamento di tutte le risultanze di causa, i giudici del merito hanno individuato
circostanze di fatto univocamente rivelatrici dell’attività di gestione attribuita allo
stesso imputato e dello specifico interesse che lui aveva nelle attività sociali (specie
alla luce dei rapporti che Avanzini intratteneva con l’imputato, da lui individuato
come rappresentante dell’IFIN; delle sollecitazioni all’amministratore di diritto
affinché sottoscrivesse i titoli mediante i quali avrebbe dovuto essere acquistata la
merce indicata in rubrica).
La seconda censura, che si duole della mancata configurazione nel caso di
specie di altra fattispecie di reato, è destituita di fondamento, posto che, con
motivazione ineccepibile, per compiutezza e coerenza logica, il giudice di appello ha
ribadito il giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine ai reati di bancarotta
fraudolenta a lui ascritti, dei quali ha correttamente individuato i presupposti
giustificativi. Il conclusivo giudizio espresso al riguardo escludeva, eo ipso, ogni
possibilità di ravvisare gli estremi di meno grave ipotesi delittuosa.
Anche la terza censura – relativa alla mancata applicazione dell’istituto della
continuazione con i fatti oggetto di precedente sentenza – è decisamente infondata,
in quanto, con argomentata valutazione di merito il giudice a quo ha escluso che i

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ai sensi dell’art. 606 lett. b) e si eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 10,

fatti in esame potessero intendersi espressione di un medesimo disegno criminoso,
necessario ai fini dell’applicazione del reclamata beneficio.
La quarta censura si colloca, invece, in area d’inammissibilità, attenendo a
questione prettamente di merito, qual’è, pacificamente quella riguardante la
valutazione delle risultanze processuali, che si sottrae al sindacato di legittimità
ogni qual volta, come nel caso di specie, sia assistita da idonea e pertinente
motivazione. L’insieme giustificativo della sentenza impugnata dà, infatti, conto di
corretto apprezzamento delle emergenze di causa, argomentatamente ritenuto

motivazione in ordine alla riconosciuta attendibilità alla testimonianza, per diversi
aspetti decisiva, di Augusto Avanzini.
Identico non può che essere il giudizio in merito alla quinta censura, che dubita
della sufficienza del compendio probatorio a sostenere la statuizione di colpevolezza
oltre il ragionevole dubbio. Attraverso tale censura si ripropone, infatti, il rilievo
critico sulla complessiva valenza probatoria delle emergenze di causa, che, invece,
sono state motivatamente ritenute valide e sufficienti nella prospettiva accusatoria,
nei termini di compiuto apprezzamento di merito, che, siccome privo di
incongruenze o sbavature di sorta, non può essere sindacato in questa sede di
legittimità.
Inammissibile è la sesta censura riguardante la mancata applicazione
dell’attenuante del danno di lieve entità, posto che dalla narrativa della sentenza
impugnata non risulta che una siffatta doglianza sia stata prospettata in sede di
merito. Ad ogni modo, l’esclusione dell’attenuante risultava ampiamente giustificata
dall’entità complessiva della condotta di distrazione, nei termini indicati in rubrica,
con conseguente rilevante pregiudizio per le ragioni dei creditori.
Ogni altra questione deve essere disattesa in quanto involge questioni di fatto
che non possono essere apprezzate in questa sede o è intesa a sollecitare
un’improponibile rilettura delle risultanze processuali.
4.

Per quanto precede, il ricorso – globalmente considerato – dev’essere

rigettato con le conseguenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 05/07/2013

idoneo a sostenere il ribadito giudizio di colpevolezza. Ineccepibile, tra l’altro, è la

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