Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47076 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47076 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti, a mezzo dei loro difensori, nominati procuratori speciali,
quali parti civili da:
Pagano Santino Fortunato, nato a Santa Lucia del Mela (ME) il 23/04/1936;
Savoca Giuseppe, nato a Messina il 1/05/1945;
nei confronti di:
1. Broccio Gerolamo, nato a Messina il 11/03/1963;
2. Davì Santo, nato a Alì (Me) il 23/11/63;
3. Fusco Aldo, nato a Messina il 11/02/1965;
4. Miroddi Francesco, nato a Messina il 03/02/1961;
5. Pirinoli Giovanni Battista, nato a Gravellona Toce (Vb) il 27/09/1936;
6. Puzzo Michele, nato a Calascibetta (En) il 17/09/1959;
avverso la sentenza 9.11.2012 del G.U.P. del Tribunale di Lecco.
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Piercamillo Davigo.

Data Udienza: 07/11/2013

Udita la requisitoria del sost. procuratore generale, dott.ssa Elisabetta
Cesqui, che ha concluso per la inammissibilità dei ricorsi.
Uditi i difensori delle parti civili, l’Avv. Armando Veneto per Pagano Santino e
l’Avv. Gullino Alberto Savoca Giuseppe, i quali hanno concluso chiedendo
l’accoglimento dei ricorsi, con condanna degli imputati alle spese.
Uditi i difensori degli imputati:
Avv. Lorenzo Gatto per Broccio Gerolamo, Davì Santo, Miroddi Stefano,

Pirinoli Giovanni Battista e Puzzo Michele;
Avv. Tommaso Calderone per Davì Santo, Miroddi Stefano e Puzzo Michele;
Avv. Fabio Repici per Broccio Gerolamo e Fusco Aldo;
Avv. Maria Rito Cicero per Fusco Aldo;
i quali hanno concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

Ritenuto in fatto

A. Con sentenza 14/07/2011 il Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Lecco, dichiarava non luogo a procedere, “non essendo gli
elementi di prova acquisiti idonei a sostenere l’accusa in giudizio”,

nei

confronti di Broccio Gerolamo, Davì Santo, Fusco Aldo, Miroddi Stefano,
Pirinoli Giovanni Battista e Puzzo Michele, cui erano stati contestati, con
riferimento a diversi episodi e a differenti ipotesi concorsuali, i delitti di falso
ideologico in atto pubblico e di calunnia in danno, tra l’altro, delle due parti
civili ricorrenti. In particolare, a Gerolamo Broccio, Santo Davì e Michele
Puzzo, all’epoca pubblici ufficiali in servizio negli uffici della Direzione
investigativa antimafia di Messina, ed a Giovanni Battista Pirinoli, consulente
tecnico nominato dalla Procura generale presso la Corte di appello di Reggio
Calabria, era stato addebitato di avere redatto – per i primi tre a Merate, il
04/05/2005 per il Davì ed il Puzzo in concorso tra loro, il 19/10/2005 ed il
05/11/2205 per il Broccio ed il Davì in concorso tra loro; in Milano, il
10/02/2006 per il Pirinoli – una falsa trascrizione del contenuto di una
intercettazione ambientale eseguita, nell’ambito di un procedimento penale, il
23.7.2001 presso il bar Grillo a Messina, registrazione dal contenuto
inintelligibile, attribuendo agli interlocutori Giuseppe Savoca, Letterio Arena e
Siracusano Salvatore frasi e parole relative ad un traffico di armi e di

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stupefacenti e alle modalità esecutive dell’omicidio di Bottari, ed ancora
attribuendo a Santino Fortunato Pagano e Vincenzo Barbaro una attività
diretta ad influenzare procedimenti penali in corso, ed avere così formato un
atto pubblico falso e attribuito ai predetti soggetti un coinvolgimento in quei
reati (capi d’imputazione 1, 2 e 3).
Inoltre, a Gerolamo Broccio, Santo Davi, Michele Puzzo e Francesco
Miroddi, all’epoca pubblici ufficiali in servizio negli uffici della Direzione

investigativa antimafia di Messina, era stato addebitato di avere redatto – in
Messina il 12/09/2005 in concorso tra loro – una falsa nota informativa n.
3761 indirizzata alla Procura generale presso la Corte di appello di Reggio
Calabria, mendace relativamente alla trascrizione del contenuto di
intercettazioni ambientali eseguite, nell’ambito di un procedimento penale,
presso lo studio professionale di tal Giancarlo Panzera, attribuendo agli
interlocutori Panzera e ad altri soggetti frasi e parole relative ad un
coinvolgimento di Siracusano Salvatore e Santino Fortunato Pagano con
associazioni per delinquere di stampo mafioso, ed avere così formato un atto
pubblico falso e attribuito ai predetti soggetti un coinvolgimento in quei reati
(capi d’imputazione 4 e 5).
Riteneva il Giudice dell’udienza preliminare che gli elementi di prova
raccolti nel corso delle indagini fossero insufficienti, contraddittori e non
idonei a sostenere l’accusa in giudizio, in quanto tali dati non avevano
permesso di ritenere raggiunta la prova della oggettiva falsità degli elaborati
redatti, nelle vesti innanzi elencate, dai sei imputati, né della effettiva
esistenza nei prevenuti della consapevolezza della falsità delle trascrizioni
formate. Il G.U.P., con riferimento alla intercettazione ambientale effettuata il
23/07/2001 all’interno del bar Grillo di Messina, richiamava le conclusioni cui
era pervenuto il perito dott. Stefano Delfino, il quale aveva affermato di
essere stato nell’impossibilità di stabilire la mendacità del contenuto delle
trascrizioni eseguite dagli imputati, in ragione tanto della pessima qualità
della registrazione, che non aveva permesso una decodificazione certa dei
contenuto, quanto del carattere dei suoni, dei rumori e dei fonemi registrati,
di impossibile certa interpretazione, ma aperto a percezioni di carattere
soggettivo. Il dott. Delfino aveva spiegato come quella registrazione, per lo
scarso livello acustico, non fosse stata tale da pervenire ad una

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comprensione del suo contenuto, salvo che non si fosse adottato un metodo
– da lui non condiviso – di interpretare il parlato attraverso un continuo
riascolto di singole parole o singole frasi, tecnica fallace perché tendente a
fornire risultati troppo condizionati soggettivamente e scarsamente affidabili
sotto l’aspetto scientifico. A conclusioni sostanzialmente simili, ad avviso di
quel Giudice, erano pervenuti i periti dott. Antonio Pititto e Francesco Baldo,

entrambe le suddette intercettazioni ambientali, i quali, riconoscendo la
pessima qualità delle registrazioni, perché qualificate dalla difficoltà di
individuazione dei parlatori, dal volume motto basso delle parole e dalla
presenze di molti rumori di fondo, avevano asserito che la decisione di dare
un significato a quelle frasi captate era stato il frutto di una scelta opinabile
perché fortemente soggettiva, potendo ciascun interprete sentire parole che
altri avrebbero potuto non riconoscere. Di tanto il Giudice dava atto per avere
personalmente constatato in udienza, durante l’ascolto di alcuni dialoghi
intercettati all’interno dello studio del Panzera, rilevando di aver udito
l’indicazione di luoghi o persone diverse da quelle riportate nella trascrizione
curata dai periti Pititto e Baldo, oppure di aver compreso alcune parole che
tali periti avevano ritenuto di non trascrivere nel loro elaborato. Aggiungeva il
G.U.P. che la soggettività dell’interpretazione del tenore di quelle
registrazioni la si era potuta desumere in via logica da fatto che, in relazione
all’intercettazione ambientale effettuata nel bar Grillo, la trascrizione
eseguita, tra il maggio ed il novembre del 2005, dai funzionari della D.i.a. di
Messina era risultata in gran parte analoga a quella curata, a Milano nel
febbraio del 2006, dal consulente Pirinoli, senza che vi fosse il benché
minimo legame personale tra quest’ultimo ed i primi, ovvero senza che fosse
stata data dimostrazione di un comune complotto, che pure era stato
prospettato dalle persone offese.

B. Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione le parti
civili Pagano Santino Fortunato e Giuseppe Savoca deducendo:
1) la mancanza della formula di proscioglimento nel dispositivo;
2) il vizio di motivazione;
3) la mancata assunzione di una prova decisiva.

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incaricati come periti dall’autorità giudiziaria calabrese per la trascrizione di

C. La Corte Suprema di cassazione, Sezione 6^ penale, con sentenza
n. 20207 del 26.4.2012 dep. il 25.5.2012, annullò la sentenza impugnata con
rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Lecco, ritenendo fondati i seguenti
motivi:
il primo relativo alla mancanza nella sentenza impugnata della formula di
proscioglimento, con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 426

il secondo in quanto il G.u.p. del Tribunale di Lecco non aveva fatto buon
governo del potere che era stato chiamato ad esercitare per due ragioni che
si trascrivono:
a) “Pur riconoscendo come tutti e tre í periti incaricati di effettuare la
trascrizione delle due registrazioni avessero, in pratica, concluso nel senso
dell’impossibilità di stabilire con certezza la falsità o meno delle trascrizioni a
suo tempo eseguite dagli imputati, e come fosse riconoscibile un fenomeno
di “miraggio acustico” collettivo, il primo Giudice non ha affatto spiegato se
quella forma di “miraggio”, astrattamente comprensibile se riferito a qualche
secondo o a pochi minuti delle registrazioni, fosse compatibile o meno con
l’ascolto di oltre trenta minuti di intercettazioni ambientali; se vi fosse o meno
una sovrapponente cronologica tra l’effettiva durata delle registrazioni ed il
testo delle trascrizioni, tenuto conto che uno dei periti si era espresso nel
senso della non corrispondenza tra “le frasi così come trascritte” ed il “cd.
tempo o velocità di eloquio, cioè il numero di fonemi ricorribili in un certo
lasso temporale”, conclusione formulata anche “misurando con esattezza i
tempi massimi in cui certe parole possono essere pronunciate” (così a pag. 3
del verbale dell’udienza preliminare del 12104/2011, richiamato nel ricorso ed
allegato ad esso)”;
b) “se vi sia stato o meno una situazione – in ordine al quale vi è stata una
esplicita doglianza dei ricorrenti – di immotivata anticipazione o di
posticipazione di frasi nelle trascrizioni rispetto all’ordine di quelle stesse frasi
desumibili dalle registrazioni”.

La Corte di cassazione riteneva altresì che, “in considerazione della
natura dei delitti oggetto di addebito, il primo Giudice non ha affatto chiarito
una circostanza essenziale dei fatti oggetto di addebito, e cioè se gli imputati,
nel redigere, in diverse occasioni ed a vario titolo, le trascrizioni del

cod. proc. pen., comma 3;

contenuto di quelle due conversazioni tra presenti, avessero dato
pienamente atto, oltre che della difficoltà del loro compito, della scarsa
intellegibilità di ogni singolo specifico brano – soprattutto di quelli contenenti
passaggi riportati nelle trascrizioni in termini di maggiore gravità indiziarla a
carico dei protagonisti dei colloqui – e della inevitabile soggettività delle
relative interpretazioni proposte: perché se ciò non fosse accaduto (ed a

processuali), se cioè vi fosse stata una volontaria omissione di aspetti
problematici della vicenda, sarebbe difficilmente sostenibile la tesi che gli
imputati avessero senz’altro agito senza alcuna consapevolezza della falsità
dei testi trascritti, con ineludibile conseguenze decisorie in sede di udienza
preliminare, perché situazione obiettivamente idonea a lasciare spazio ad
ulteriori approfondimenti tecnici ed a soluzioni interpretative alternative, tali
da giustificare, se non ad imporre, emissione del decreto di rinvio dei
prevenuti dinanzi al giudice del dibattimento”.
La Corte di legittimità riteneva invece manifestamente infondato il terzo
motivo di ricorso.

D. Con sentenza in data 9.11.2012 il G.U.P del Tribunale di Lecco,
quale giudice di rinvio, dichiarava non luogo a procedere nei confronti di:
1. Davi Santo e Puzzo Michele in ordine ai reati loro ascritti al capo 1 per
essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione;
2. Broccio Gerolamo. Davi Santo. Miroddi Francesco, Puzzo Michele,
Pirinoli Giovanni e Fusco Aldo in ordine ai reati loro ascritti ai capi 2, 3,
4 e 5 perché il fatto non sussiste.

E. Avverso la sentenza del giudice di rinvio, ricorrono per cassazione,
con distinti ricorsi, i difensori delle parti civili Pagano Santino Fortunato e
Giuseppe Savoca.

Il difensore della parte civile Pagano Santino Fortunato deduce
violazione della legge processuale e vizio di motivazione in quanto il giudice
di rinvio non si sarebbe uniformato alle indicazioni contenute nella sentenza
di annullamento. Il giudice di rinvio è libero di determinare il proprio

questa Corte è precluso il compito di verificare il contenuto degli atti

convincimento di merito senza però incorrere nei vizi censurati dalla Corte di
cassazione. Il G.U.P. ha ritenuto insussistente l’elemento soggettivo del reato
in ragione dell’intervenuta archiviazione del procedimento a carico del
sostituto procuratore generale incaricato delle indagini, deducendo dalla
mancanza di dolo in capo al pubblico ministero l’assenza di consapevolezza
degli imputati nel presente procedimento di redigere false trascrizioni. Anche

ai loro danni, il procedimento a carico delle parti civili ha chiarito che gli
elementi a carico delle stesse non erano veri. Non proverebbe la legittimità
dell’operato degli imputati qualche inciso, riportato nelle trascrizioni, circa la
pessima qualità del nastro o dei rumori rilevati. Infatti, nonostante le difficoltà
evidenziate, solo gli imputati erano riusciti a trascrivere più parole e frasi di
quanto avvenuto nelle operazioni precedenti e sempre nel solco della
tendenza a sostenere l’ipotesi del sostituto Procuratore generale della
Repubblica dott. Neri, il quale, aveva ritenuto di raccogliere a carico di
Pagano e Siracusano le prove di mafiosità del magistrato Lembo (che aveva
sottoposto a procedimento penale il padre del dott. Neri), mafioso perché
aveva acquistato il suo appartamento dai “mafiosi” Pagano e Siracusano. Le
prove raccolte erano state riversate nel processo contro Lembo dall’Avv.
Colonna, difensore di collaboratori di giustizia, testimone innanzi al dott. Neri
e parte civile contro Lembo. Gli imputati non solo non hanno dato atto delle
difficoltà del loro compito, ma neppure mai fatto cenno della “soggettività”
delle trascrizioni, che il G.U.P. ha voluto trarre dalle annotazioni a corredo
delle trascrizioni. Lo stesso G.U.P. ha implicitamente ammesso il dato
obiettivo quando ha indicato che in occasione di precedente trascrizione
della registrazione della conversazione del 23.7.2001 la polizia giudiziaria
non aveva trascritto per la inutilizzabilità del nastro. Contrariamente a quanto
richiesto nella sentenza di annullamento, il G.U.P. non ha dato contezza
delle ragioni per le quali tali aporie sarebbero risolvibili a favore degli
imputati. In ogni caso non ha motivato circa la compatibilità del presunto
miraggio con l’ascolto di circa 30 minuti di intercettazioni ambientali e sulla
sovrapponibilità cronologica tra l’effettiva durata delle registrazioni e il testo
delle trascrizioni, tenuto conto delle valutazioni di uno dei periti sul numero
dei fonemi ricorribili in un certo lasso di tempo e sulla collocazione

se si dovesse ritenere infondata la tesi delle parti civili di un complotto ordito

(immotivata anticipazione o posticipazione) delle frasi trascritte. Lo stesso
giudice di rinvio ha rilevato alcune “irregolarità” nel procedimento dal quale la
presente vicenda ha tratto origine, quale la consegna del supporto filtrato al
solo P. G. dott. Neri anziché alle parti e l’incarico conferito a Puzzo e Davì
quali delegati del P.G. preposti alle trascrizioni. La sentenza impugnata
sarebbe priva di concretezza laddove si sofferma sulla veridicità o meno

civili da ogni accusa.

Il difensore della parte civile Savoca Giuseppe deduce:
1. violazione di legge in relazione alla declaratoria di prescrizione del
reato di cui al capo 1, in quanto sarebbe configurabile la circostanza
aggravante di cui all’art. 476 comma 2 in relazione all’art. 479 cod.
pen.; l’attività di trascrizione non sarebbe affatto valutativa come
ritenuto dal G.U.P. almeno nelle proporzioni in cui il fatto si è
verificato; del resto il conflitto di competenza fra le autorità giudiziarie
di Catanzaro e di Lecco era stato risolto sulla base della ritenuta
sussistenza di tale aggravante; in ogni caso era compito demandato al
G.U.P quello di accertare se fosse stata possibile un’erronea
percezione;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in quanto il giudice di rinvio
avrebbe dovuto spiegare se fosse possibile un miraggio acustico di
quelle proporzioni (32 minuti di registrazione quasi completamente
non udibili, decine di nomi e di luoghi inesistenti) e non ha valutato la
sovrapponibilità cronologica tra effettiva durata del testo delle
trascrizioni e immotivata anticipazione o posticipazione di frasi; inoltre
non avrebbe verificato se gli imputati avessero dato conto della scarsa
intelligibilità di ogni singolo specifico brano e soprattutto di quelli
contenenti passaggi riportati nelle trascrizioni in termini di maggiore
gravità indiziaria; il G.U.P. avrebbe motivato su argomenti estranei al
tema probatorio demandato dalla Corte di cassazione, essendosi
soffermato ad affermare che, non essendo configurabile un complotto
ai danni delle persone offese, si dovrebbe anche escludere un
movente in capo agli imputati e quindi l’elemento soggettivo dei delitti

delle trascrizioni ed ha omesso di evidenziare il proscioglimento delle parti

di calunnia e falso; inoltre la impossibilità di provare, per la scarsa
intelligibilità del nastro, il reale ed effettivo contenuto del medesimo,
difetterebbe l’elemento oggettivo del reato; il G.U.P. avrebbe eluso il
tema a lui sottoposto affermando che gli imputati avrebbero potuto
essersi sbagliati, facendo riferimento a ridottissimi tratti di trascrizione
ed a ben guardare a singole parole; sarebbe manifestamente illogico
l’assunto secondo il quale, per sostenere l’accusa in giudizio, sarebbe

trascrizioni; sarebbe bastato accertare che da quelle intercettazioni
non era possibile trarre quelle trascrizioni incriminate, attribuendo
dialoghi alle singole voci dei tre dialoganti; nonostante il perito Delfino
avesse concluso che quelle intercettazioni non potevano e non
dovevano essere trascritte; il G.U.P. ha invece concluso che, a causa
della cattiva qualità delle intercettazioni, non si potesse escludere che
le cose trascritte fossero davvero presenti nella registrazione; poiché
nella specie il falso consisterebbe nell’aver dato atto di aver udito
determinate parole, vero sarebbe ciò che è udibile; sicché una volta
stabilito che quelle parole e frasi non sono udibili chi attesta di averli
uditi attesta cose contrarie al vero; nella prima trascrizione (Puzzo e
Davì) rispetto alle frasi indizianti non viene segnalata alcuna difficoltà
di comprensione o di intellegibilità; ci si troverebbe perciò nella
situazione in cui, secondo la sentenza di annullamento, sarebbe stato
necessario emettere il decreto di citazione a giudizio; vengono poi
richiamate le argomentazioni svolte nel primo ricorso sulla
impossibilità di un miraggio acustico; in particolare si sarebbe dovuto
confrontare la parte intellegibile dell’intercettazione con la relativa
trascrizione; si richiamano poi i dati certi rassegnati dal perito Delfino a
fronte dei quali il G.U.P. si sarebbe limitato a provare a dare
spiegazione a due o tre delle anomalie evidenziate; Delfino aveva
anche escluso che gli fosse mai capitato un miraggio acustico di
quella portata e dimensione qualitativa e quantitativa, collettivo e
reiterato; valutazione condivisa dai periti Baldo e Pititto; costoro, che
pure hanno usato un metodo simile a quello degli imputati, hanno
versato in atti una trascrizione sostanzialmente simile a quella di

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stato necessario dimostrare l’esatto e certo contenuto delle

Delfino, ma molto diversa da quelle incriminate; su tali evidenti
discrasie (talora esemplificate come quella relativa a Verzera)
mancherebbe motivazione; sarebbe una straordinaria coincidenza un
miraggio acustico che avrebbe tratto in inganno tutti gli imputati in tre
diverse e distanti occasioni (1^ Davi, Puzzo e Furnari; 2^ Davi,
Broccio e Pallavicino; 3^ Pirinoli) facendo loro sentire cose che anche

ritenuto inutile il filtraggio, il filtraggio secondo il perito Delfino avrebbe
prodotto un risultato peggiore; in ogni caso Pirinoli, che non aveva
partecipato alle indagini non poteva esserne condizionato ed anche il
dott. Neri ha escluso di aver sentito, in occasione dell’ascolto del
nastro avvenuto a Cambridge, alcunché di relativo all’omicidio Bottari;
non sono stati vittima di tale miraggio altri periti e consulenti tecnici e
comunque nessun miraggio acustico si era verificato in contraddittorio;
il G.U.P. ha omesso di considerare altri elementi, quali la mancanza di
siffatti riferimenti nelle oltre 58.000 intercettazioni a carico dei tre
soggetti protagonisti della conversazione del 23.7.2001; le frasi
incriminate non vennero percepite neppure dagli agenti che
effettuarono l’intercettazione; non vi è traccia strumentale di tali frasi e
neppure gli imputati sono riusciti a farle riascoltare; l’inversione
dell’ordine di ascolto proverebbe che quelle frasi sarebbero state
trascritte senza ascoltare il nastro altrimenti avrebbero dovuto essere
riportate nello stesso ordine; si tratterebbe di un errore del c.d. “copia
e incolla” informatico; se le trascrizioni non sono frutto dell’ascolto, ciò
proverebbe che sono ideologicamente false, dal momento che i
trascrittori hanno dato atto di aver trascritto ciò che stavano
ascoltando.
F. Con dichiarazioni pervenute in data 7.10.2013, 10.10.2013 e
14.10.2013 Broccio Gerolamo, Davi Santo, Puzzo Michele e Miroddi
Francesco dichiaravano di rinunciare alla prescrizione.
G. L’udienza, fissata erroneamente come pubblica, sull’accordo delle
parti, è stata trattata con rito camerale.

secondo il G.U.P. non sono udibili; Furnari per oltre un anno aveva

Considerato in diritto

1. Il ricorso proposto nell’interesse di Pagano Santino Fortunato ed il
secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Savoca Giuseppe sono
infondati.

Questa Corte Sez. 6″, con sentenza n. 35668 del 28.3.2013 dep.
28.8.2013, ha affermato:
«Sia in giurisprudenza che in dottrina si è dell’awiso che all’udienza
preliminare debba riconoscersi natura processuale e non di merito, non
essendovi alcun dubbio circa la individuazione della finalità che ha spinto il
Legislatore a disegnare e strutturare l’udienza preliminare, quale oggi si
presenta, all’esito dell’evoluzione legislativa registrata al riguardo, e
nonostante l’ampliamento dei poteri officiosi relativi alla prova: lo scopo
(dell’udienza preliminare) è quello di evitare dibattimenti inutili, non quello di
accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. Di tal che, il Giudice
dell’udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere
nei confronti dell’imputato solo in presenza di una situazione di innocenza
tale da apparire non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuovi
elementi di prova o da una possibile diversa valutazione del compendio
probatorio già acquisito; e ciò anche quando, come prevede espressamente
l’art. 425 c.p.p., comma 3, “gli elementi acquisiti risultano insufficienti,
contradditori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”: tale
disposizione altro non è se non la conferma che il criterio di valutazione per il
giudice dell’udienza preliminare non è l’innocenza, bensì – dunque, pur in
presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori (sempre che
appaiano destinati, con ragionevole previsione, a rimanere tali
nell’eventualità del dibattimento) – l’impossibilità di sostentare l’accusa in
giudizio. Insomma, il provvedimento ai sensi dell’art. 425 c.p.p., pur motivato
sommariamente, in effetti assume natura di sentenza sol perché la
valutazione dopo il contraddittorio svolto in udienza preliminare è difforme da
quella del Pubblico Ministero e implica l’assunzione da parte del Giudice

Va anzitutto delineata la natura dell’udienza preliminare.

della scelta d’inibire allo stato l’esercizio dell’azione penale contro l’imputato,
salvo potenziale revoca.
Pertanto, a fronte di ricorso per cassazione, va tenuto in conto che il
controllo di questa Corte sulla sentenza non può comunque avere ad oggetto
gli elementi acquisiti dal P.M., bensì solo la giustificazione resa dal giudice

Ne deriva che l’unico controllo ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1,
lett. e) consentito in sede di legittimità della motivazione della decisione
negativa del processo, qual è la “sentenza di non luogo a procedere”,
concerne la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione
d’insieme degli elementi acquisiti dal Pubblico Ministero».
Il Collegio condivide tale assunto.
Nel caso in esame inoltre si vede in tema di impugnazione della
sentenza emessa dal giudice di rinvio.
Questa Corte ha altresì chiarito (ed il Collegio condivide l’assunto) che,
nel caso di annullamento con rinvio della sentenza per vizio di motivazione, il
giudice di rinvio – pur restando libero di determinare il proprio apprezzamento
di merito mediante un’autonoma valutazione della situazione di fatto
concernente il punto annullato — è tenuto a giustificare il proprio
convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato
nella sentenza di annullamento, restando vincolato ad una determinata
valutazione delle risultanze processuali o al compimento di una determinata
indagine, in precedenza omessa, di determinante rilevanza ai fini della
decisione, con il limite di non ripetere i vizi di motivazione rilevati nel
provvedimento annullato. (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 19206 del 10/01/2013
dep. 3/05/2013 Rv. 255122. Fattispecie in cui, dopo precedente
annullamento con rinvio di ordinanza del riesame che aveva sostituito la
misura degli arresti domiciliari con quella della sospensione dall’ufficio,
fondato sul rilievo della specifica capacità criminale dell’indagato e della non
correlazione all’ufficio del pericolo di recidivanza, la Corte ha nuovamente
annullato con rinvio il successivo provvedimento del tribunale che aveva
escluso “in toto” detto pericolo, pur in assenza di elementi nuovi e decisivi).

nel valutarli.

È quindi necessario verificare se il Giudice di rinvio si sia uniformato a
tale principio.
Come si è già enunciato la Corte di cassazione aveva rilevato che,
nella sentenza annullata con rinvio, il G.U.P. del Tribunale di Lecco non
aveva fatto buon governo del potere che era stato chiamato ad esercitare per
le ragioni sopra esposte.
I punti rimessi dalla Corte di legittimità alla valutazione al giudice di

rinvio erano tre:
1. la verifica della compatibilità dei tempi dell’intercettazione con quelli
della trascrizione, anche al fine della plausibilità del miraggio acustico;
2. se vi fosse stata motivata anticipazione o posticipazione dell’ordine
delle frasi intercettate;
3. se gli imputati, nel redigere le trascrizioni del contenuto di quelle due
conversazioni tra presenti, avessero dato pienamente atto, oltre che
della difficoltà del loro compito, della scarsa intellegibilità di ogni
singolo specifico brano e se vi fosse stata una volontaria omissione di
aspetti problematici della vicenda.
In ordine al primo punto demandato al giudizio di rinvio la sentenza
impugnata chiarisce, a pagina 17, richiamando l’esame del perito Delfino:
“Indici obiettivi di non rispondenza di quanto trascritto a quanto registrato,
secondo la convincente ricostruzione offerta dal perito nel contraddittorio
delle parti, non possono poi trarsi nemmeno dal fatto che le battute trascritte
abbiano superato la durata temporale della registrazione. Ciò può essere
stato, infatti, l’effetto della trascrizione integrale anche di battute pronunciate
contemporaneamente da soggetti diversi e, quindi, in tutto o in parte
sovrapposte nella registrazione, ma non nella trascrizione (si veda ancora
pagina 14 del verbale stenotipico della menzionata udienza di incidente
probatorio). Ciò che, del resto, si pone, come subito si dirà, in pieno rapporto
di coerenza con la metodologia utilizzata dagli imputati”.
Peraltro, nella ricostruzione del giudice di merito, minore importanza
assume l’ipotesi del miraggio acustico, certamente rilevante nella sentenza
annullata con rinvio, ma ridimensionato a p. 19 della sentenza di rinvio qui
impugnata.

\

13

Con riferimento al secondo punto (ma anche riguardo al primo) il
G.U.P., ancorché non del tutto esplicitamente, ha richiamato la dichiarazione
resa dall’imputato Puzzo nel corso dell’interrogatorio del 21.11.2008 secondo
la quale “aggancia una timbrica e la segue fino alla fine, isolando tutte le altre
voci per poi tornarci indietro e riprendere un’altra timbrica…” sicché
“L’isolamento dei singoli passaggi attribuibili ad un determinato soggetto ed il
loro riascolto reiterato sino ad ottenere la loro massima possibile

come,

comprensione è una metodologia che, non solo da conto di

empiricamente, sia possibile trascrivere anche voci sovrapposte, ma anche e
soprattutto del perché le trascrizioni incriminate abbiano una portata
maggiore (anche per effetto dell’inserimento di numerosi nomi propri),
rispetto a quelle dei periti Baldo e Pititto …” (p. 18 sentenza impugnata).

In relazione al terzo punto, il G.U.P. — dopo aver premesso che “era dal
contenuto degli elaborati incriminati che si evincevano plurimi indicatori di
assoluta buona fede, elementi cui, anche in ossequio alla sentenza di
annullamento con rinvio pronunciata dalla Suprema Corte, metteva conto
fare analitico richiamo” —

ha conseguentemente proceduto all’esame

dettagliato di tali elementi dai quali “risultava la estrema difficoltà delle
operazioni di trascrizione che investivano le intere conversazioni e quindi
anche ogni singolo passaggio” (pag. 13 — 18 sent. imp.), pervenendo, così,

alla seguente coclusione: “in ogni caso deve essere ribadito, come, persino
alla stregua della rigorosa impostazione del perito Delfino, sia impossibile
provare che le registrazioni di cui al presente procedimento avessero un
contenuto diverso da quello oggetto delle trascrizioni di cui alle imputazioni”

(pag. 19).
In sostanza, secondo il convincente e logico argomentare del G.I.P. “le
risultanze delle indagini preliminari e del supplemento istruttorio disposto ai
sensi dell’art. 422 c.p.p. erano nel senso di escludere che sia stata acquisita
la prova della falsità delle trascrizioni di cui alle imputazioni e che una simile
prova potesse essere mai raggiunta anche all’esito di una eventuale fase
dibattimentale”.

In definitiva, il GUP – dopo aver seguito le indicazioni della sentenza di
annullamento — è pervenuto alla corretta conclusione che il dibattimento si
appalesava inutile per l’impossibilità di provare la falsità delle trascrizioni e
14

che, anzi, nel corso delle indagini erano “emersi semmai elementi coerenti
con l’ipotesi della fedeltà delle trascrizioni incriminate, specie in alcuni dei
passaggi più contestati dalle parti civili, al reale contenuto delle conversazioni
intercettate” (p. 14 e 15 della sentenza impugnata).

Inoltre, il G.U.P. ha escluso, comunque, la configurabilità in capo agli
imputati dell’elemento soggettivo del reato essendo

“impossibile trovare

eventuali divergenze tra quanto registrato e quanto trascritto sia da ascrivere

a mala fede dei trascrittori” (pag. 16 sent. imp.). Sul punto, il GUP — dopo

aver escluso, nel modo più categorico, con adeguate argomentazioni
ancorate a precise risultanze processuali, (pagg. 10 — 12), l’ipotesi di un
complotto — ha ritenuto “anche nella prospettiva dibattimentale, impossibile
ipotizzare l’accertamento di un plausibile movente della supposta condotta
calunniosa e, quindi, pure, a ben vedere, della coscienza e volontà di
trascrivere frasi o espressioni in contrasto con le reali risultanze delle
intercettazioni, in tal modo accusando falsamente chi si sapeva innocente”.

Si tratta di valutazione di merito, motivata in modo perfettamente logico,
come tale non sindacabile in questa sede, tanto più che, come ha rilevato la
sentenza di annullamento con rinvio, “a questa Corte è precluso il compito di
verificare il contenuto degli atti processuali”.

2. Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Savoca Giuseppe
è infondato.
Va premesso che sono irrilevanti le dichiarazioni di rinunzia alla
prescrizione degli imputati Davì Santo e Puzzo Michele.
È infatti ammissibile la rinuncia alla prescrizione del reato già dichiarata
con sentenza, solo qualora l’imputato non sia stato in grado, senza sua
colpa, di avere notizia della pendenza del processo a suo carico, cosicché il
primo momento utile per la manifestazione della volontà coincide con quello
dell’impugnazione. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4946 del 17/01/2012 dep.
08/02/2012 Rv. 251985).
La doglianza secondo la quale le trascrizioni delle intercettazioni
sarebbero atti fidefacienti fino a querela di falso, sicché la loro falsità
integrerebbe la circostanza aggravante di cui all’art. 476 comam 2 cod. pen.
non è fondata.

A
15

Questa Corte ha chiarito (ed il Collegio condivide l’assunto) che, ciò che
caratterizza l’atto pubblico fidefaciente è, oltre all’attestazione di fatti
appartenenti all’attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione,
la circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova, ossia precostituito a
garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato,
nell’Esercizio di una speciale funzione certificatrice, diretta, cioè, per legge,
alla prova di fatti che lo stesso funzionario redigente riferisce come visti, uditi

o compiuti direttamente da lui (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 10414 del
12/12/1989 dep. 17/07/1990 Rv. 184934. Nella specie si trattava di un atto in
cui un notaio aveva attestato di aver identificato un soggetto, firmatario di Atti
di Costituzione di una società e di accettazione di carica, che non era invece
comparso alla sua presenza. Conf. mass n 158265).
Nel caso in esame tali atti non sono precostituito a pubblica fede,
potendo il loro contenuto essere liberamente apprezzato dall’autorità
giudiziaria.
Peraltro nell’attività di trascrizione, è necessario tenere distinta la parte
relativa all’ascolto dei suoni dalla parte relativa all’interpretazione degli stessi,
alla quale non si adattano i predicati di vero o falso, ma soltanto quelli di
esatto od errato.
Ne consegue l’esattezza, sotto ogni profilo, dell’argomentazione del
G.U.P. secondo cui “non si poteva sostenere, peraltro in contrasto con il
tenore dell’imputazione, che, nel caso in esame, il reato contro la fede
pubblica sia aggravato ai sensi dell’art.476, comma 2, c.p .. Un “verbale di
operazioni compiute inerenti l’ascolto e la consecutiva trascrizione di
conversazioni tratte da intercettazioni ambientali”, redatto da un ufficiale e
da un agente di p.g. (gli odierni imputati PUZZO e DAVI’, per l’appunto)
ha certamente natura di atto pubblico nell’accezione di cui all’art.476c.p.,
ma, evidentemente, allo stesso potrà essere riconosciuta la fede
privilegiata di cui godono gli atti pubblici in senso stretto, presi in
considerazioni solo dall’ipotesi aggravata ora in disamina, esclusivamente
nella parte priva di natura valutativa, laddove i pp.uu. redigenti si limitano
ad attestare di avere svolto l’attività loro delegata, indicando tempi, luogo

e modalità della stessa ed i soggetti che vi abbiano, a qualunque titolo,
preso parte (in specie, oltre a loro stessi, il perito Carmelo Fumar!).

16

Ebbene, in indagini non è emerso elemento alcuno da cui poter desumere
che in parte qua il verbale sia affetto da falsità di sorta. Basti qui
richiamare la credibile versione resa sul punto dal “coindagato” Fumari,
che ha confermato di avere fornito supporto tecnico (peraltro
presso locali a lui in uso) all’attività dei due odierni imputati, da ritenere
pertanto svolta secondo le modalità e con i tempi di cui al verbale. È

dell’intercettazione, al verbale in parola non possa essere attribuito alcun
carattere fidelfacente. Nel procedimento penale vige, infatti, il principio del
libero apprezzamento della prova, incompatibile con qualsivoglia ipotesi di
prova legale, quale sarebbe un mezzo probatorio a cui fosse riconosciuta
l’efficacia rafforzata di cui all’ad. 476, comma 2, c.p.” (pagg. 8 e 9 sent.
imp.).

3. Entrambi i ricorsi proposti dalle parti civili devono pertanto essere
rigettati.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta il ricorso, le parti private che li hanno proposti devono essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna le parti civili ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.

Così deliberato in data 7.11.2013.
Il Consigliere estensore
Piercami

Il Pre dente
A

o Esposito

evidente invece come, nella parte recante la trascrizione

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