Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4707 del 21/11/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 4707 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: RECCHIONE SANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI PALMA NICOLA N. IL 23/02/1971
MIELE CARMINE N. IL 30/06/1963
avverso la sentenza n. 18194/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
21/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. +a_e_zh \ o
che ha concluso per
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Data Udienza: 21/11/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Napoli confermava la responsabilità degli imputati in
relazione al delitto di tentata estorsione aggravato dall’art. 7 della legge n. 203
del 1991 ai danni di D’Avanzo Gianfranco. Questi aveva denunciato di avere
patito una azione estorsiva da parte di esponenti del clan Di Domenico. Il Di
Palma era inoltre accusato di diversi delitti relativi al porto, alla detenzione ed
ricettazione di armi.

La Corte territoriale rideterminava la pena nei confronti del Miele nella misura di
anni cinque, mesi quattro di reclusione ed euro 2000 di multa e nei confronti
del Di Palma nella misura di anni otto di reclusione ed euro 8000 di multa.

2. Avverso tale sentenza proponevano ricorso le difese degli imputati Di Palma
e Miele.
2.1. La difesa Di Palma deduceva tre motivi di ricorso:
2.1.1. erronea applicazione dell’articolo 110 del codice penale e 530 comma 2
cod. proc. pen. in relazione al capo f) della rubrica.
Si lamentava l’erronea applicazione della disciplina sul concorso di persone.
Nella prospettiva difensiva il ricorrente interveniva solo nel corso della trattativa
già in atto tra estorsori e vittima e dunque non era a lui addebitabile alcuna
responsabilità a titolo concorsuale. In particolare, si rimarcava che l’incontro
avvenuto tra la persona offesa ed il Di Palma non produceva alcun effetto sulla
determinazione della volontà dell’offeso di aderire alla richiesta estorsiva ideata e
trasmessa esclusivamente dai coimputati.
2.1.2. Mancanza di motivazione ed erronea applicazione dell’articolo 110 cod.
pen. dell’art. 7 legge n. 203 del 1991 e dell’art. 530 cod. proc. pen. in relazione
alla contestazione relativa alle armi.
Si lamenta la carenza di motivazione in ordine alla dimostrazione della
responsabilità del ricorrente in relazione ai delitti concernenti le armi. Si
rimarcava che le armi non erano nella disponibilità del Di Palma, ma del Di
Domenico.
2.1.3. Violazione di legge in relazione all’aumento di pena

inflitto in

continuazione e carenza di motivazione in relazione alle ragioni che hanno
condotto la Corte a ritenere congruo un aumento della pena per la
continuazione della misura di anni quattro di reclusione.

2.2. La difesa Miele deduceva cinque motivi di ricorso:
2.2.1. Mancanza di motivazione.

2

alla

Ci si doleva della mancata considerazione da parte della Corte territoriale delle
doglianze avanzate con l’atto d’appello. In particolare si censurava la mancanza
di motivazione in ordine alle allegazioni difensive che consentivano di
inquadrare il ruolo dell’imputato non come estorsore, ma piuttosto come colui
che aveva offerto il proprio aiuto all’estorto.
2.2.2.Mancanza di motivazione illogicità della motivazione travisamento del fatto
della prova.
Si censurava il fatto che la Corte territoriale non avesse preso in considerazione

rilevante in quanto si evidenziava come lo stesso fosse in una posizione di
contrasto e non di solidarietà rispetto agli stessi. Si ribadiva che il Miele era
stato coinvolto dall’offeso nella vicenda al fine di prendere tempo. Nella
prospettiva difensiva l’attività dell’imputato si era rivelata funzionale alla
mancata adesione alle richieste estorsive: il che impediva di ritenere che il Miele
fosse cointeressato alle attività del clan.
2.2.3. Mancanza di motivazione. Violazione di legge.
Si censurava il riconoscimento della aggravante prevista dall’art. 7 della legge
n. 203 del 1991 in assenza di elementi che potessero giustificarne l’applicazione.
2.2.4. Mancanza di motivazione; violazione di legge in relazione all’articolo 110
cod. pen.
Si evidenziava il difetto di proporzionalità nella individuazione della pena che
emergeva dal confronto tra la pena inflitta al ricorrente ed il trattamento
sanzionatorio riservato ai coimputati.
2.2.5. Mancanza di motivazione in relazione all’ articolo 132 cod. pen.
La Corte d’appello operava una riduzione della pena inflitta al Miele portandola
da sei anni a cinque anni e quattro mesi di reclusione.
La riduzione, nella prospettiva difensiva, non era l’effetto di una diversa
valutazione del trattamento sanzionatorio, come annunciato in parte motiva
con il riferimento alla applicazione dei parametri indicati dall’art. 133 cod. pen.,
ma solo di una legittima applicazione dell’art. 63 comma 4 cod. pen. in materia
di applicazione di più circostanze ad effetto speciale.
Si denunciava, infine, la carenza di motivazione relativamente alla riduzione
operata sulla pena base in relazione all’applicazione della disciplina del tentativo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 ricorsi proposti sono infondati.

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che il Miele aveva ricevuto una minaccia da parte dei coimputati, circostanza

2.1. Con riferimento al primo motivo di doglianza del Di Palma si osserva che
la Corte territoriale ha legittimamente applicato le regole sul concorso di
persone in coerenza con le emergenze processuali, oltre che con le linee
interpretative tracciate dalla Corte di legittimità in materia.
Dalla

motivazione del provvedimento impugnato si evince infatti la

partecipazione dell’imputato ad un decisivo incontro con la persona offesa
presso il bar la gardenia di Casamarciano nel corso del quale veniva avanzata la
richiesta estorsiva. Il Di Palma, peraltro, veniva riconosciuto in fotografia

articolata e convincente motivazione.
La Corte di cassazione, ha chiarito con orientamento che il collegio condivide
che in tema di concorso di persone nel reato, anche la semplice presenza sul
luogo dell’esecuzione del reato può essere sufficiente ad integrare gli estremi
della partecipazione criminosa quando, palesando chiara adesione alla condotta
dell’autore del fatto, sia servita a fornirgli stimolo all’azione e un maggiore senso
di sicurezza (Cass. sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013, Rv. 257979). Nel caso di
specie il Miele indicava nel Di Palma colui che governava l’attività estorsiva nel
territorio di Tufino, sicchè la partecipazione del ricorrente all’incontro nel corso
del quale veniva avanzata la richiesta di denaro è una condotta che,
diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, si configura come idonea ad
essere inquadrata nella fattispecie contestata. La ricostruzione effettuata dai
giudici di merito con motivazione priva di fratture logiche e coerente con le
emergenze processuali f individua il Di Palma come il promotore dell’attività
estorsiva attivata nell’interesse del clan Di Domenico
2.2. Il motivo di ricorso con

il quale il ricorrente sostiene che le armi

rinvenute nei locali in uso al Di Palma fossero nella disponibilità esclusiva del
Di Domenico si presenta generico e dunque inammissibile.
Non viene

proposto alcun rilievo critico specifico nei confronti delle

argomentazioni offerte dalla Corte territoriale a sostegno della responsabilità
dell’imputato. Si offre, invece una ricostruzione dei fatti alternativa a quella
emergente dagli atti che valorizza le dichiarazioni del Di Domenico non
proponibile in sede di legittimità senza che sia indicato alcun vizio logico del
tessuto motivazionale. Esula infatti dai poteri della Cassazione, nell’ambito del
controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una
nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito,
potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell'”iter”
argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato

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dall’offeso, testimone sulla cui attendibilità i giudici di merito fornivano

conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la
decisione (Cass. Sez. 6, 14.4.1998 n. 1354).
2.3.Con riferimento alle doglianze relative alla applicazione dell’aumento per la
continuazione in relazione ai reati satellite nella misura di quattro anni di
reclusione il collegio condivide l’orientamento espresso dalla Corte di legittimità
secondo cui in tema di determinazione della pena nel reato continuato non
)
t
sussiste l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena effettuati ai
sensi dell’art. 81 cod. pen, valendo a questi fini le ragioni a sostegno della

250465; Cass. sez. 5, n. 11945 del 22/09/1999, Rv. 214857). La corte non
ignora diverso orientamento che ha indicato la necessità di offrire una
motivazione specifica in relazione agli aumenti per la continuazione nel caso in
cui tali aumenti si presentino differenziati in relazione a reati satelliti omogenei
(Cass. sez. 6, n. 7777 del 29/01/2013, Rv. 255052). Nel caso di specie, tuttavia /
la Corte territoriale applicava un unico aumento per la continuazione che deve
ritenersi giustificato, nella dimensione, dalle ragioni offerte per la
quantificazione della pena base.
Il consolidamento della progressione criminosa che viene effettuato con il
riconoscimento del vincolo della continuazione consente infatti di
giustificati gli aumenti per i reati satellite con

ritenere

i parametri indicati per la

determinazione del reato principale.

3.1. Con riferimento alle doglianze proposte dal Miele si rileva che i primi due
motivi di ricorso si fondano sulla proposizione di una lettura alternativa degli
atti che tende a configurare il Miele non come un attore della estorsione
contestata, ma come un alleato dell’offeso nel ritardare il pagamento del
prezzo del reato.
Nel proporre tale lettura la difesa evidenzia un vizio di motivazione rilevando
carenze nella trattazione delle doglianze proposte con l’atto d’appello.
Si tratta di motivi infondati nella misura in cui non evidenziano vizi logici o
carenze motivazionali patologiche del provvedimento impugnato, ma si limitano
a proporre una lettura delle emergenze processuali diversa da quella offerta dai
giudici di merito.
Peraltro, in presenza di una “doppia conforme” la sentenza di appello deve
essere letta insieme con la pronuncia di primo grado (Cass., sez. n. 4 n.. 44765
del 22/10/2013, Rv. 256837; Cass., sez. 4 n. 44765 del 22.10.13; Rv. 256837;
Cass sez. 4 n. 19710 del 3.2.2009 Rv. 243636, Cass. Sez. U,n. 6682 del
4.2.1992, rv 191229). La lettura combinata dei due provvedimenti evidenzia la

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quantificazione della pena-base (Cass. sez. 5, n. 27382 del 28/04/2011, Rv.

coerenza e logicità della motivazione in ordine all’accertamento di responsabilità
del Miele che si presenta immune da censure.
In particolare: a pag. 7 ed 8 della sentenza si dimostra che il Miele svolgeva la
funzione di delegato del clan Di Domenico per attivare le trattative estorsive
con il D’ Avanzo.
E’ proprio il Miele infatti che rende noto l’interesse del clan ad ottenere dal
D’Avanzo una somma in relazione ai lavori che stava svolgendo in Tufino; inoltre
l’incontro nel corso del quale il Di Palma avanzava la richiesta estorsiva si

provvedimento impugnato evidenziava inoltre una serie di elementi di prova che
convergevano univocamente nel definire il Miele non come un alleato
dell’offeso, ma come un delegato del clan Di Domenico. La Corte evidenziava
che Miele invece che tendere a ribassare il prezzo dell’estorsione lo alzava
portandolo dalla somma di euro 14.000 proposta dal D’Avanzo alla somma di
euro 20.000; che di fronte alle resistenze dell’offeso a pagare la somma
richiesta il Miele minacciava di interrompere l’attività che stava svolgendo per
conto dello stesso presso il cantiere di Carmosino, con conseguente ritardo nella
consegna dei lavori e prevedibili ricadute negative nella sfera patrimoniale del
D’ Avanzo. Dalla testimonianza del D’ Avanzo si rilevava, infine, che il Miele
continuava ad agire per conto del clan anche dopo l’arresto del Di Palma e del Di
Domenico Marcello, riferendo al D’ Avanzo che il «posto di Marcello era stato
preso dal fratello Ciro» (pag. 13 della sentenza impugnata).
3.2. Quanto al secondo motivo di ricorso che valorizza il fatto che il Miele
avrebbe patito delle minacce ad opera del clan Di Domenico, le quali, nella
prospettiva difensiva, sarebbero indicative della distanza del Miele dal clan, si
osserva che la Corte territoriale ha offerto una lettura della circostanza addotta
che rafforza, piuttosto che indebolire, le ragioni a sostegno dell’accertamento di
responsabilità.
Nella lettura proposta dalla Corte territoriale la “minaccia” di «non scendere
più a lavorare» avanzata dagli estorsori al Miele deve essere inquadrata come
la sollecitazione a porre in essere una condotta finalizzata ad operare ulteriori
pressioni nei confronti del D’ Avanzo. A pag 12 della sentenza impugnata la
Corte d’appello evidenzia infatti come Miele avesse minacciato il D’Avanzo di
interrompere l’attività che stava svolgendo per conto di questi presso il cantiere
di Carmosino, con conseguente danno economico per l’offeso. La richiesta di
«non scendere più a lavorare» dunque, più che una minaccia rivolta al Miele,
nella lettura offerta dalla Corte territoriale, è l’indicazione di una ulteriore
modalità di pressione da azionare nei confronti dell’offeso.

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svolgeva nel bar del Miele sito in Casamarciano. Alle pagg. 10, 11 e 12 il

Si tratta di una lettura degli elementi processuali priva di fratture logiche e
coerente con le emergenze probatorie, dunque insindacabile in sede di
legittimità.
3.2.

Anche le

doglianze relative al trattamento sanzionatorio risultano

infondate.
3.2.1. Con riguardo alle censure proposte nei confronti dell’aggravante di cui
all’art. 7 della legge n. 203 del 1991, si rileva come la motivazione offerta
dalla Corte territoriale a sostegno del suo riconoscimento faccia riferimento alla

all’accertamento della responsabilità per un fatto estorsivo pacificamente
maturato in ambiente mafioso, interamente gestito dal clan Di Domenico,
attento ad imporre il “pizzo” in relazione ai lavori pubblici eseguiti nel territorio
dallo stesso controllato; gli elementi analizzati ai fini dell’accertamento della
responsabilità in ordine al fatto estorsivo risultano univocamente indicativi del
fatto che la condotta contestata sia stata posta in essere con metodo mafioso
ed al fine di agevolare il clan Di Domenico. Nessuna censura può muoversi alla
tecnica di motivazione utilizzata che deduce l’esistenza dell’aggravante dal
complesso degli elementi di prova analizzati per l’accertamento della
responsabilità, in relazione alla pregnanza della loro efficacia dimostrativa
anche in relazione al fatto circostanziale.
3.2.2. Con riferimento alle doglianze rivolte alla determinazione della sanzione
si rileva come la rideterminazione della pena conseguente alla corretta
applicazione dell’art. 63 comma 4 cod. pen. si presenti immune da censure,
essendo stata effettuata nel pieno rispetto dei parametri di legge che governano
l’esercizio della discrezionalità giudiziale. In particolare, il richiamo ai parametri
indicati dell’art. 133 cod. pen. risulta utilizzato dalla Corte per giustificare la
scelta del trattamento sanzionatorio, non rilevandosi alcuna contraddizione tra
il doveroso riferimento ai parametri di legge che circoscrivono l’esercizio della
discrezionalità nella individuazione del trattamento sanzionatoria e la,
altrettanto doverosa, applicazione della regola indicata dall’art. 63 comma 4
cod. pen. in caso di riconosciuta coesistenza di due aggravanti ad effetto
speciale
3.2.3. Nessun vizio insiste, infine, sulla scelta della pena relativa al tentativo
data la natura autonoma del delitto tentato rispetto alla fattispecie consumata.
Tale autonomia di fattispecie non richiede alcuna specifica motivazione circa la
entità della scelta della pena base, che non si configura come pena diminuita,
ma come sanzione autonoma. Sul punto il collegio condivide la consolidata
giurisprudenza della corte di cassazione secondo cui il delitto tentato costituisce
figura autonoma di reato, qualificato da una propria oggettività giuridica e da

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descrizione degli elementi di prova descritti in sentenza, che avevano condotto

una propria struttura, delineate dalla combinazione della norma incriminatrice
specifica e dalla disposizione contenuta nell’art. 56 cod. pen., che rende punibili,
con una pena autonoma, fatti non altrimenti sanzionabili, perché arrestatisi al di
qua della consumazione. Da tale autonomia dell’illecito e della sanzione
consegue che, in presenza di delitto tentato, la determinazione della pena può
effettuarsi con il cosiddetto metodo diretto o sintetico, cioè senza operare la
diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato,
oppure con il calcolo “bifasico”, cioè mediante scissione dei due momenti indicati,

normativi relativi al contenimento della riduzione da uno a due terzi, la cui
inosservanza comporta violazione di legge (Cass. sez. 1, n. 37652 del
16/05/2001, Rv. 220189; Cass. sez. 5 n. 3526 del 15/10/2013, dep. 2014, Rv.
258461).

4.Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il
ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al
pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
Così deciso in Roma, il giorno 21 novembre 2014

L’estensore

Il Presidente

fermo restando che nessuno dei due sistemi può sottrarsi al rispetto dei vincoli

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