Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4706 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 4706 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

Data Udienza: 08/01/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GAGLIARDE DONATO N. IL 18/06/1952
avverso la sentenza n. 12516/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
22/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il ProcuratorePenerate ilgon
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che ha concluso per A

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RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 22/6/2012, confermava la
sentenza del Tribunale di Benevento, che aveva dichiarato Gagliarde Donato
colpevole del reato di tentato omicidio di Morganella Donatina e, previa
concessione delle attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6,
cod. pen., lo aveva condannato alla pena di anni tre e mesi due di reclusione.
Secondo l’imputazione il Gagliarde, mosso da gelosia, aveva colpito con calci

avvolgendolo intorno al collo; la vittima era riuscita a divincolarsi e a fuggire con
la sua autovettura, fino a rifugiarsi in un agriturismo dove era giunto anche
l’imputato che si era posto al suo inseguimento.

Secondo l’appellante, nella deposizione dibattimentale la persona offesa
aveva precisato che non era stata lei a divincolarsi dal tentativo di
strangolamento dell’uomo, ma era stato Gagliarde a lasciare la presa perché ella
urlava.
Secondo la Corte territoriale la persona offesa aveva confermato il tentativo
di strangolamento e il suo divincolamento, ma, incoerentemente, aveva
sostenuto che ella aveva urlato – azione impossibile alla luce della forza con cui il
tubo le era stretto intorno al collo, tanto da farle mancare il respiro, secondo
quanto da lei stessa riferito, forza dimostrata anche dalle ecchimosi refertate alla
donna – e che Gagliarde aveva desistito: si trattava, quindi, di un tentativo di
ridimensionare la gravità della condotta dell’imputato, essendo intervenuta la
riappacificazione tra i due, con remissione di querela.
La Corte sottolineava che il tentativo di strangolamento era stato il culmine
di una escalation di violenza ai danni della Morganella, ed era rappresentativo
della volontà del Gagliarde di mettere in essere un gesto estremo: non a caso, la
donna si era presentata all’agriturismo con i vestiti strappati e gridando di
chiudere la porta e di chiamare i carabinieri perché c’era un uomo che la seguiva
e che voleva ucciderla. Per di più, lo strangolamento era stato accompagnato da
minacce di morte.
La versione dell’imputato era inverosimile: egli aveva negato di avere
utilizzato il tubo di gomma e aveva sostenuto di avere seguito la donna fino
all’agriturismo solo per chiederle scusa.
Secondo la Corte, sussistevano i presupposti oggettivi e soggettivi del
tentato omicidio: gli atti posti in essere erano idonei ed univoci e le
caratteristiche e le circostanze dell’azione rivelavano in sé la direzione causale
univoca a cagionare l’evento morte; in effetti, la condotta di strangolamento è

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e pugni la convivente e aveva poi tentato di strangolarla con un tubo di gomma,

inequivoca nell’indicare la finalità dell’agente di provocare la morte, al contrario
di quella di percosse o lesioni; l’utilizzo di un tubo di gomma costituiva una
riprova dell’intento omicidiario dell’imputato.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Gagliarde Donato, deducendo distinti
motivi.
In un primo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione e violazione dei
criteri di valutazione della prova.

interpretazioni, poiché la Morganella aveva affermato esplicitamente che era
stato Gagliarde a lasciare il tubo di gomma, in ciò risultando la prova della
desistenza.
Invece la Corte territoriale aveva valorizzato la contraddittorietà della
testimonianza della donna nel punto in cui ella aveva sostenuto di avere urlato vizio che proprio l’appellante aveva evidenziato al fine di dimostrare che non vi
era stato strangolamento – per affermare la sussistenza dell’animus necandi nel
ricorrente. La donna, in realtà, aveva gridato quando Gagliarde aveva lasciato la
presa con il tubo.
Secondo il ricorrente, la Corte avrebbe dovuto dare prevalenza alle
dichiarazioni rese in sede dibattimentale rispetto a quelle – poco chiare sul punto
– rese in sede di indagini preliminari, acquisite al fascicolo per il dibattimento.
Sussisteva, quindi, la desistenza volontaria e comunque, mancava l’animus
necandi, che nemmeno la persona offesa era stata in grado di valutare e che non
le minacce di morte non dimostravano affatto.

In un secondo motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione.
La Corte territoriale aveva ritenuto che la Morganella fosse inattendibile
quando aveva sostenuto che era stato Gagliarde a lasciare la presa sul collo, ma
non aveva offerto nessuna diversa giustificazione plausibile del modo con cui la
donna era riuscita a sfuggire alla stretta; né era pensabile che ciò fosse
avvenuto con una propria azione, tenuto conto che ella aveva riferito di essere
rimasta senza respiro per la stretta al collo.

In un terzo motivo, il ricorrente deduce omessa motivazione su un fatto
decisivo: nell’atto di appello, il ricorrente aveva censurato la sentenza del
Tribunale di Benevento per avere utilizzato le sue dichiarazioni rese senza
l’assistenza del difensore nel corso delle indagini preliminari.
La sentenza di appello, riportandosi alle argomentazioni del Tribunale, aveva
omesso ogni motivazione sul punto.

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La deposizione testimoniale della persona offesa non permetteva

In un quarto motivo, il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento
alla determinazione della pena, sulla quale mancava ogni motivazione.

Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Come si ricava dalla sentenza di primo grado e conferma lo stesso ricorso
per cassazione, il verbale di sommarie informazioni rese dalla Morganella nel
corso delle indagini preliminari era stato acquisito al fascicolo per il dibattimento
sull’accordo delle parti; esso era, quindi, utilizzabile per la decisione, né la
deposizione dibattimentale possedeva un valore di prova superiore a quel
verbale: ai sensi dell’art. 526, comma 1, cod. proc. pen., sia il verbale che la
deposizione dibattimentale erano “prove legittimamente acquisite nel
dibattimento”.
Il Giudice di merito, quindi, poteva fondare il suo convincimento sull’una o
sull’altra prova, senza la limitazione posta dall’art. 500, comma 2, cod. proc.
pen..

Le due prove differivano su un punto decisivo: mentre nel verbale di
sommarie informazioni la persona offesa riferiva che “facendo leva su tutte le
sue forze, era riuscita a svincolarsi e a sottrarre la presa”, in dibattimento aveva
sostenuto di essere fuggita dopo che l’imputato aveva lasciato la presa, aveva
desistito, cioè, nell’azione di strangolamento che aveva iniziato utilizzando il tubo
di gomma.

Alla luce di questo quadro, risulta palesemente infondato il primo motivo di
ricorso in cui si sostiene che, poiché la testimonianza dibattimentale della
Morganella non lasciava spazio ad interpretazioni sul punto della desistenza, la
Corte territoriale avrebbe dovuto, in sostanza, prenderne atto ed assolvere
l’imputato: il motivo riflette, appunto, la tesi implicita che la prova dibattimentale
abbia valore superiore a quella derivante dall’acquisizione delle dichiarazioni rese
nel corso delle indagini preliminari; ma, appunto, il consenso delle parti
all’acquisizione del verbale di sommarie informazioni rese nel corso delle indagini
preliminari lo ha assurto al rango di prova di uguale valore.

2. La decisione deve, quindi, essere valutata in questa sede alla luce del

Il ricorso è infondato.

criterio posto dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., potendosi giungere
all’annullamento richiesto solo se in presenza di motivazione manifestamente
illogica o contraddittoria con altri atti del processo.
Questa censura viene sviluppata dal ricorrente nel primo e nel secondo
motivo di ricorso, ma il vizio denunciato è insussistente. In effetti, la Corte
territoriale ha motivato adeguatamente la scelta operata a favore della versione
inizialmente resa dalla persona offesa, ricordando i segni lasciati sul collo dal
tubo di gomma, la progressione nelle lesioni da parte dell’imputato, le minacce di
morte pronunciate contestualmente all’azione e le parole assolutamente esplicite

proprietaria dell’agriturismo, ma anche sottolineando la inverosimiglianza della
versione dibattimentale e rinvenendo il motivo della diversità delle due versioni
nella avvenuta riconciliazione tra i due soggetti.

Né quanto evidenziato nel secondo motivo di ricorso dimostra la manifesta
illogicità della motivazione: la versione iniziale resa dalla donna di un suo
divincolamento “con le ultime forze rimaste” non era affatto implausibile, ben
rappresentando l’energia residua messa in opera dal prepotente istinto di
sopravvivenza della donna, che aveva compreso che rischiava di morire.

3. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato: la Corte non ha utilizzato le
dichiarazioni rese da Gagliarde immediatamente dopo l’arresto, ma quelle rese in
dibattimento, ritenendole inverosimili.

4. Infine, il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato: la Corte
territoriale non si è soffermata sulla determinazione della pena perché il Giudice
di primo grado l’aveva già determinata nel minimo, partendo da quella di sette
anni di reclusione (riduzione massima per il tentativo sulla pena edittale prevista
per l’omicidio volontario) e riducendola nella misura massima possibile prima per
le attenuanti generiche e poi per l’attenuante del risarcimento del danno.

In mancanza di impugnazione del P.M., pertanto, la determinazione della
pena non era modificabile, salvo una diversa qualificazione giuridica della
condotta: ma, sulla qualificazione della condotta come tentato omicidio, le
considerazioni dei Giudici di merito sulla direzione non equivoca dello
strangolamento e sulla idoneità della condotta a provocare la morte, nonché
sull’animus necandi che muoveva l’imputato sono convincenti e del tutto logiche.

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che la Morganella aveva pronunciato quando aveva chiesto aiuto e rifugio alla

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso 1’8 gennaio 2014

Il Consigliere estensore

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