Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47043 del 27/10/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 47043 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da:

MOZZILLO ANTONIO, n. 31/08/1957 a Frattaminore (NA)
MOZZILLO FERDINANDO, n. 4/09/1953 a Succivo (CE)

RUSSO ANNA, n. 9/02/1955 ad Orta di Atella (CE)
VARRERA DOMENICO, n. 6/06/1950 ad Orta di Atella (CE)
CHIANESE LUIGI, n. 23/06/1948 ad Orta di Atella (CE)

IOMMELLI CONCETTA, n. 9/07/1959 ad Orta di Atella (CE)

LAVINO LUIGI, n. 18/02/1966 a Frattaminore (NA)

avverso l’ordinanza del tribunale della libertà di NAPOLI in data 7/07/2015;
visti gli atti, il provvedimento denunziato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.ssa M. Di Nardo, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi;

Data Udienza: 27/10/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 6/07/2015, depositata in data 22/07/2015, il
tribunale della libertà di NAPOLI rigettava la richiesta di riesame proposta
nell’interesse degli indagati MOZZILLO ANTONIO, MOZZILLO FERDINANDO,
RUSSO ANNA, VARRERA DOMENICO, CHIANESE LUIGI, IOMMELLI CONCETTA e
LAVINO LUIGI, avente ad oggetto l’ordinanza applicativa della misura cautelare

tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 10/06/2015; gli stessi, in
particolare, risultano indagati per i reati di cui agli artt. 640, cpv, cod. pen. e 55
quinquies, d. Igs. n. 165 del 2001, per i fatti meglio descritti nell’imputazione
cautelare.

2.

Hanno proposto ricorso MOZZILLO ANTONIO, MOZZILLO FERDINANDO,

RUSSO ANNA, VARRERA DOMENICO, CHIANESE LUIGI, IOMMELLI CONCETTA e
LAVINO LUIGI a mezzo del comune difensore fiduciario cassazionista,
impugnando la predetta ordinanza con cui deducono due motivi, di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp.
att. cod. proc. pen.:
a) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 27, cod.
proc. pen., 9, d. Igs. n. 155 del 2012 (si censura l’ordinanza impugnata in
quanto la competenza a giudicare spetterebbe al tribunale di Napoli Nord e non a
quello di Santa Maria Capua Vetere; solo 1’8/01/2014 risulterebbe protocollata la
c.n.r. contenente la descrizione dei fatti del procedimento, mentre solo in data
6/0672014 il P.M. avrebbe proceduto all’iscrizione degli indagati nel r.g.n.r.,
sicchè, trattandosi di c.n.r. acquisita od iscritta dopo il 13/09/2013, data di
istituzione del tribunale di Napoli Nord, sarebbe incompetente a giudicare il
tribunale di S.M.C.V., che avrebbe dovuto quindi, ex art. 27, c.p.p., trasmettere
gli atti alla Procura della Repubblica presso l’istituito nuovo Tribunale
napoletano; a sostegno di tale assunto militerebbe la circostanza che, nella truffa
a consumazione prolungata, il momento consumativo coincide con quello in cui è
stata posta in essere l’ultima azione utile; non rileverebbe la circostanza,
valorizzata nell’ordinanza, secondo cui prima del 13/09/2013, sarebbe stata
eseguita una perquisizione presso gli uffici comunali di Orta di Atella);
b) vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 121,
273, c.p.p. e 640 c.p. e 55 quinquies, d. Igs. n. 165 del 2001 (l’ordinanza si
fonderebbe su argomentazioni presuntive, poggiando sull’assunto secondo cui la
mera registrazione di immagini aventi ad oggetto l’indebito utilizzo del badge
2

dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria emessa dal GIP presso il

dimostrerebbe l’assenza sul posto di lavoro e, dunque, sarebbe sufficiente ad
integrare le fattispecie di reato contestate; diversamente, si sostiene in ricorso,
le ipotesi di reato contestate presuppongono l’assenza dal posto di lavoro del
soggetto per cui è registrata la timbratura posticcia, con la differenza che l’art.
640, cpv, c.p. richiede anche il pregiudizio patrimoniale; in ordine alla prova
dell’assenza dei dipendenti dal posto di lavoro, i giudici di merito avrebbero in
sintesi ritenuto che l’avvenuta timbratura, se pure non consente di stabilire se il

che non lo sia stato per l’intera giornata lavorativa; detta motivazione sarebbe
illogica e giuridicamente inconferente, contrastando con i principi più volte
affermati dalla giurisprudenza di legittimità nelle vicende connesse all’improprio
utilizzo dei cartellini marcatempo che richiede, da un lato, la prova dell’assenza
del lavoratore dal posto di lavoro negli orari e nei giorni in cui si registrano le
timbrature irregolari e, dall’altro, l’esistenza di un pregiudizio economicamente
apprezzabile legato ad un’assenza non risultante dalla timbratura superiore ai
15/30 minuti, ciò che non emergerebbe nell’ordinanza impugnata; infine, si
sostiene in ricorso che il tribunale del riesame non avrebbe motivato su una serie
di circostanza ulteriori rappresentate dalle difese nella memoria depositata
all’udienza camerale, in particolare laddove emergerebbe che tutti i dati di rilievo
decisivi ai fini della cristallizzazione delle contestazioni sarebbero tratti dalle due
telecamere installate in data 21/03/2013 all’interno della struttura comunale e
non, invece dalla terza, installata il 17/04/2013, esterna alla struttura comunale
medesima, sicchè – deducono i ricorrenti – non essendo stata rilevata alcuna
immagine dalla terza telecamera, non sarebbe stato rilevato l’allontanamento dal
posto di lavoro degli impiegati per cui sono state denunciate le irregolarità;
ancora, si osserva, non sarebbero stati effettuati controlli incrociati sul posto di
lavoro dalla PG al fine di verificare la presenza effettiva in servizio degli indagati,
emergendo anche la mancata sincronizzazione degli orologi della macchina
marcatempo con l’orologio delle telecamere; ancora, dal regolamento comunale
acquisito al procedimento, emergerebbe la tolleranza di un’assenza dal posto di
lavoro di 30 minuti, ciò che renderebbe congrui persino i ritardi posti a base
dell’assenza totale dal posto di lavoro; il modus operandi seguito avrebbe
condotto alla descrizione di marchiane incongruità sugli orari di timbratura di
alcuni degli indagati, per come richiamate all’ultima pagina del ricorso;
conclusivamente, le predette carenze motivazionali avrebbero dovuto indurre a
valutare in senso favorevole agli indagati il quadro indiziario).

CONSIDERATO IN DIRITTO
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lavoratore comunque sia stato presente in ufficio, farebbe per ciò solo presumere

3. I ricorsi sono manifestamente infondati.

4. Deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell’adozione
di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee
direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio
prognostico di “elevata probabilità di colpevolezza”, tanto lontano da una

presuntivo, poiché di tipo “statico” e condotto, allo stato degli atti, sui soli
elementi già acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte
Cost., sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent.
n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).
La specifica valutazione prevista in merito all’elevata valenza indiziante degli
elementi a carico dell’accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico
di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori
garanzie per la libertà personale e a sottolineare l’eccezionalità delle misure
restrittive della stessa.
Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela è evidenziato
anche dagli adempimenti previsti per l’adozione dell’ordinanza cautelare.
L’art. 292 c.p.p., come modificato dalla L. n. 332 del 1995, prevedendo per detta
ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di
merito dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), impone, invero, al giudice della
cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di
indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l’esito positivo
della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni
per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque
a favore dell’accusato (comma 2, lett. c) e c bis).

5. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure
cautelari personali, per “gravi indizi di colpevolezza” devono intendersi tutti
quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in
nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova non valgono di per sé a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità
dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che,
attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a
dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità
di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e
altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995,
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sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure

dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep.
15/04/1999, Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep.
03/07/2000, Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep.
09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511).
A norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, nella valutazione dei gravi indizi di
colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le
altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n.

29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n.
36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441
del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del
04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601). Si è, al riguardo,
affermato che, se la qualifica di gravità che deve caratterizzare gli indizi di
colpevolezza attiene al quantum di “prova” idoneo a integrare la condizione
minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilità, del
potere cautelare, e si riferisce al grado di conferma, allo stato degli atti,
dell’ipotesi accusatoria, è problema diverso quello delle regole da seguire, in
sede di apprezzamento della gravità indiziaria ex art. 273 c.p.p., per la
valutazione dei dati conoscitivi e, in particolare, della chiamata di correo (Sez. U,
n. 36267 del 30/05/2006, dep. 31/10/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv.
234598).
Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del
condivisibile orientamento espresso da questa Corte, dell’art. 273 c.p.p., comma
1 bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il
richiamo alle regole di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un
espresso limite legale alla valutazione dei “gravi indizi”.

6. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia
denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento
emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare
natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del contenuto
dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del
tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del
17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del
12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del

31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n.

22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del
22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500
del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa
integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre,
Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez.
1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n.

7. Il detto limite del sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi
riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed
esclusivo del giudice della cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle
stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del
20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).
Peraltro, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in
tema di misure cautelari, “l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il
provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale
provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo
di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze
motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni
addotte a sostegno dell’altro” (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008,
Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998,
Panebianco R., Rv. 212685).

8. Premesso quanto sopra – e osservato che il perimetro del sindacato di questa
Corte è delimitato dall’impugnazione rivolta esclusivamente in ordine alla
ritenuta gravità indiziarla per i delitti contestati, non investendo i ricorsi
l’ordinanza nella parte in cui conferma la misura emessa dal GIP sotto il profilo
delle esigenze cautelari – ritiene il Collegio che la stretta connessione dei profili di
doglianza di cui al secondo motivo di ricorso e le censure che questi muovono
all’ordinanza impugnata ne consente il loro esame congiunto (quanto al primo
motivo, v. § 9 in fra).
Ed invero, tutti i profili di doglianza di cui al secondo motivo di ricorso evocano
sia il vizio di violazione di legge che quello vizio motivazionale ex art. 606, lett.
b) ed e), cod. proc. pen., riconducendone la rilevanza al procedimento logico giuridico con cui la Corte territoriale ha ritenuto sussistere la configurabilità dei
delitto di cui agli artt. 640, cpv. cod. pen. e 55, d. Igs. n. 165 del 2001 e
l’individuale ascrivibilità degli stessi agli indagati, sicchè anche il denunciato vizio
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6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331).

di violazione di legge non può non riverberarsi sul percorso logico argomentativo espresso nella motivazione dell’ordinanza.
Ritiene il Collegio che l’impugnazione proposta dagli indagati debba dichiararsi
inammissibile per manifesta infondatezza in quanto, con il ricorso, gli stessi, più
che prospettare un vizio di motivazione, chiedono a questa Corte di operare una
lettura del materiale indiziario in senso più favorevole alla difesa, operazione non
consentita in questa sede.

su cui i ricorrenti fondano l’impugnazione di legittimità, ritenendo che agli stessi
potesse essere attribuita quella rilevanza necessaria per il superamento della
soglia di gravità indiziaria prevista dalla legge per l’emissione dell’ordinanza
custodiale.

9. Prima di esaminare il secondo motivo, può procedersi all’esame del primo
motivo, di ordine processuale, con cui si censura l’incompetenza territoriale del
tribunale di S.M.C.V. indicando la competenza del nuovo Tribunale di Napoli Nord
per le ragioni dianzi esposte in sede di illustrazione del motivo.
Il tribunale del riesame, sul punto, motiva ricordando che l’indagine aveva preso
impulso da un’informativa 20/01/2013 redatta da militari dell’Arma dei CC di
Orta di Atella che illustrava le risultanze di un controllo effettuato in data
16/01/2013 presso gli uffici comunali, appurando che alcuni dipendenti del
Comando di P.M. e alcuni lavoratori socialmente utili che ivi prestavano la loro
attività, pur avendo registrato l’ingresso attraverso il badge in loro possesso, non
erano fisicamente presenti; all’esito del sopralluogo era stata accertata l’assenza
dal servizio di alcuni dipendenti comunali ed LSU, nonostante le macchinette
marcatempo lo indicassero presenti, con conseguente predisposizione di un
servizio di videoriprese apposte in prossimità delle macchinette marcatempo, dal
21/03 al 17/05/2013, periodo in cui va ricondotta la vicenda processuale in
esame; ne conseguirebbe, per i giudici del riesame, l’infondatezza dell’eccezione
di incompetenza territoriale sollevata dalla difesa, in quanto l’operatività del
Tribunale di Napoli Nord è successiva al settembre 2013, in riferimento ai soli
procedimenti penali iscritti da tale data in poi, laddove, invece, nel caso in esame
l’acquisizione della notizia di reato è avvenuta con il deposito dell’informativa del
20/01/2013, con la conseguenza che la c.n.r. era iscritta presso la Procura della
Repubblica presso il Tribunale di S.M.C.V. prima del settembre 2013, anche se
l’unico nominativo iscritto era quello di Maria Eragona, iscrizione del 30/01/2013.
9.1. L’art. 9, comma 2-quinquies, del D.Lgs. 7 settembre 2012, n. 155 (recante
Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a
7

Diversamente, il giudice del riesame ha sottoposto a valutazione quegli elementi

norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148:
pubblicato nella Gazz. Uff. 12 settembre 2012, n. 213, S.O.), prevede che
“l’istituzione del tribunale di Napoli nord non determina effetti sulla competenza
dei tribunali di Napoli e di Santa Maria Capua Vetere per i procedimenti penali
pendenti a norma del comma 2-bis alla data di cui all’articolo 11, comma 2, oltre
che per i procedimenti relativi a misure di prevenzione per i quali, alla stessa
data, è stata formulata la proposta al tribunale. Il comma 2-bis del predetto art.

28 febbraio 2014, ai sensi di quanto disposto dall’ art. 14, comma 1, del
medesimo D.Lgs. n. 14/2014), prevede, per quanto di interesse, che “I
procedimenti penali si considerano pendenti dal momento in cui la notizia di
reato è acquisita o è pervenuta agli uffici del pubblico ministero”; l’art. 11,
comma 2, del medesimo D. Lgs. n. 155 del 2012, rilevante agli effetti della data
di operatività dell’istituito tribunale di Napoli Nord, prevede poi che “2. Salvo
quanto previsto al comma 3, le disposizioni di cui agli articoli 1, 2, 3, 4, 5 e 7
acquistano efficacia decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del
presente decreto”, dunque, essendo entrato in vigore il predetto decreto il giorno
successivo alla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (ossia il 13/09/2012),
l’operatività del tribunale di Napoli Nord è quella del 13/09/2013.
Orbene, questa Corte ha già avuto modo di affermare che in tema di
competenza, ai fini della applicazione delle disposizioni introdotte con i decreti
legislativi nn. 155 e 156 del 2012 in materia di revisione delle circoscrizioni
giudiziarie, si considerano già “pendenti” davanti al tribunale che costituisce sede
principale, con conseguente attribuzione della regiudicanda alla sua cognizione, i
procedimenti penali relativi a notizie di reato acquisite o pervenute agli uffici del
pubblico ministero presso di esso entro il 13 settembre 2013, data di efficacia del
D.Lgs. n. 155 del 2012, come chiarito dalla disposizione interpretativa contenuta
nell’art. 8 del D.Lgs. 19 febbraio 2014, n. 14 (Sez. 1, n. 20344 del 08/04/2014 dep. 15/05/2014, Confl. comp. in proc. Gagliardo, Rv. 259799; Sez. 1, n. 34750
del 11/07/2014 – dep. 07/08/2014, Confl. comp. in proc. De Vizia e altri, Rv.
260645; Sez. 1, n. 41757 del 16/09/2014 – dep. 07/10/2014, Confl. comp. in
proc. c/ Ignoti, Rv. 260934). In tutti e tre i casi oggetto di esame, in
applicazione del principio, questa Corte ha dichiarato la competenza del tribunale
costituente sede principale del circondario al quale spettava la cognizione del
procedimento al momento della ricezione della notizia di reato, anche se il
Comune nel quale erano stati commessi i fatti, per effetto del D.Lgs. n. 155 del
2012, e con decorrenza dalla data della sua entrata in vigore, era stato poi
compreso nel circondario di altro tribunale.
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9 (inserito dell’ art. 8, comma 1, D.Lgs. 19 febbraio 2014, n. 14, a decorrere dal

Orbene, nel caso in esame, i ricorrenti hanno eccepito l’incompetenza territoriale
del tribunale di S.M.C.V. indicando quale A.G. competente quella di Napoli Nord
in base all’assunto che la c.n.r. risulterebbe essere stata protocollata in data
8/01/2014 e che solo in data 6/06/2014 il P.M. avrebbe proceduto ad iscrivere i
nominativi degli indagati nel r.g.n.r., dunque in data successiva al 13/09/2013.
La censura difensiva appare, ictu oculi, infondata, posto che corretto è quanto
argomentato dai giudici del riesame del tribunale di NAPOLI secondo cui in data

rendevano noti gli esiti del controllo eseguito dai CC presso gli uffici comunali di
Orta di Atella il precedente 16/01/2013, con la conseguente esclusione della
competenza del tribunale di Napoli Nord atteso che l’acquisizione della c.n.r.
sarebbe pervenuta in data antecedente al settembre 2013.
La lettera della legge, sul punto, non lascia adito a dubbi interpretativi, posto che
è la data di acquisizione della notitia crimínis (o in cui è pervenuta la c.n.r.) ad
essere stata individuata dal Legislatore – in particolare dall’art. 9, comma 2-bis
del d. Igs. n. 155 del 2012 – quale discrimen al fine della individuazione del
momento della “pendenza” del procedimento penale e, dunque, ai fini
dell’individuazione del tribunale di nuova istituzione come competente
territorialmente. E, poiché, come evidenziato dal tribunale del riesame, la prima
informativa venne acquisita in data 20/01/2013, non rileva la circostanza per la
quale la notitia crimínis venne acquisita solo in data 8/01/2014 (o che l’iscrizione
dei nominativi degli indagati – ovviamente diversi dalla Eragona – venne
effettuata in data 6/06/2014), per effetto del chiaro disposto del combinato
disposto del comma 2-bis e del comma 2-quinquies citati, in quanto il
procedimento penale era da considerarsi pendente dal gennaio 2013, dunque in
epoca antecedente al 13/09/2013, con conseguente esclusione della competenza
del tribunale di Napoli Nord.
La disciplina transitoria di cui al D.Lgs. n. 14 del 2014, art. 8, che ha integrato il
precedente D.Lgs. n. 155 del 2012, art. 9, con l’inserimento tra gli altri del
comma 2 bis e 2 quinquies, già sopra trascritti, ha riconosciuto dunque il criterio
discriminante della pendenza dei procedimenti penali ai fini dell’individuazione, in
relazione al tempo di avvio delle indagini preliminari, dell’ufficio giudiziario
competente, e ciò in coerenza con i principi

tempus regit actum e della

perpetuati° iuridictionis che governano la successione nel tempo delle norme
processuali; del resto, la chiara indicazione contenuta nel citato comma 2-bis (I
procedimenti penali si considerano pendenti dal momento in cui la notizia di
reato è acquisita o è pervenuta agli uffici del pubblico ministero), esclude che
possano aver rilievo eventuali atti successivi quali l’invio della c.d. informativa
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20/01/2013 venne acquisita la prima informativa di reato dei Carabinieri che

riassuntiva o l’iscrizione del nominativo degli indagati nel r.g.n.r. in date
successive al settembre 2013, posto che è lo stesso Legislatore ad essersi
riferito, al fine dell’individuazione del momento della pendenza del procedimento
penale, ad un momento ben preciso, la cui rilevanza formale è in equivoca,
costituito o dalla “acquisizione” o dal “pervenimento” della notizia di reato, da
individuarsi processualmente in quella che, ex art. 347 cod. proc. pen., è la c.d.
notitia críminis che genera tre effetti: a) determina il passaggio dalla funzione di

ricerca di eventuali reati che possono essere commessi, su di “un” reato
ravvisabile dall’informazione acquisita;

b) determina l’obbligo per la polizia

giudiziaria di informare il P.M.; c) impone a quest’ultimo di provvedere
all’immediata iscrizione nel registro delle notizie di reato. Trattasi, cioè, dell’atto
con cui la P.G. investe l’autorità giudiziaria della notizia di reato acquisita comunemente definita l’informativa” – la quale deve precisare gli elementi
essenziali del fatto, nonché gli elementi di prova e le attività compiute.

10. Può quindi procedersi all’esame del secondo motivo di ricorso, con cui
vengono svolte censure di violazione di legge e vizio motivazionale quanto alla
sussistenza del fumus dei reati per cui si procede, come da illustrazione del
relativo motivo dianzi descritta.
Osserva, sul punto, il Collegio che condizione generale per l’emissione di
qualsiasi provvedimento cautelare è la sussistenza di gravi indizi che,
quantitativamente e qualitativamente valutati nella loro essenza e nella loro
coordinazione logica, resistano a interpretazioni alternative e conducano a
ritenere in modo altamente probabile, pur senza raggiungere la certezza propria
del giudizio di cognizione, che il reato per cui si indaga sia attribuibile
all’imputato (Sez. 1, n. 4117 del 06/07/1995 – dep. 21/09/1995, Franzese e
altro, Rv. 202435; nella specie, gli elementi valutati dal tribunale, secondo una
valutazione prognostica tipicamente di merito, risultavano idonei a superare la
soglia di gravità indiziarla richiesta dall’art. 273 cod. proc. pen. per la conferma
della misura custodiale).
E’ questo quanto avvenuto nel caso in esame, avendo dato scrupolosamente
conto il tribunale del riesame della esistenza di quella gravità indiziaria rispetto
ad ambedue le imputazioni cautelari contestate nei fatti oggetto di indagine.
Ed invero, dall’ordinanza impugnata e dal provvedimento del GIP la cui
motivazione si salda reciprocamente con quella dell’ordinanza gravata, i cui
contenuti vengono condivisi dal tribunale della libertà, è sinteticamente emerso:

10

polizia di sicurezza a quella di polizia giudiziaria, spostando l’indagine dalla

a)

che dall’attività di controllo operata attraverso l’installazione delle due

videocamere nascoste nelle vicinanze delle due timbratrici installate all’ingresso
del Comune do Orta di Atella per rilevare l’ingresso e l’uscita dei dipendenti
comunali e degli L.S.U. impiegati presso il predetto Comune (registrazioni
protrattesi per due mesi circa, dal 21/03 al 17/05/2013) era emerso che un
nutrito gruppo di dipendenti comunali aveva approntato un sistema di scambi
reciproci dei badge personali, alcuni registrando in ingresso o in uscita non solo il

ad inizio e fine lavoro;
b) che i gruppi erano composti da due o più dipendenti che vicendevolmente si
scambiavano il badge per la rilevazione delle presenze per conto dei colleghi
assenti, ed altri sistematicamente entravano ed uscivano dalla sede di lavoro
timbrando non solo il badge personale ma contestualmente utilizzavano altri 3 o
4 badges dei colleghi;
c) che dall’esame individuale della posizione di tutti gli attuali ricorrenti, era
emerso che tale condotta era stata tenuta reiteratamente;
d) che, al fine di effettuare gli opportuni riscontri incrociati, erano stati acquisiti
anche i tabulati relativi alla presenze dei dipendenti coinvolti, gli statini paga e le
effige fotografiche, al fine di confrontarle con quelle estrapolate dai filmati;
e) che, in particolare, il riscontro effettuato sui cartellini marcatempo, aveva
evidenziato che nelle date soggetto di osservazione risultavano numerose
obliterazioni in entrata ed in uscita falsamente effettuate vicendevolmente dai
predetti indagati, così consentendo agli stessi eludere il controllo sull’orario di
ingresso e godere della retribuzione pur se assenti dal luogo di lavoro, assenza
che si protraevano per un considerevole lasso di tempo, peraltro reiterandosi la
condotta con notevole frequenza, pur nel limitato periodo di osservazione durato
meno di due mesi ed anche successivamente la scoperta delle telecamere
avvenuta il 16/04/2015 da parte di due L.S.U.

10.1. Quanto, poi, alla qualificazione giuridica dei fatti, il tribunale del riesame,
nel condividere l’impostazione del GIP nell’ordinanza genetica, riteneva
sussistere sia il delitto di truffa aggravata ex art. 640, comma 2, n. 1, cod. pen.
che quello di cui all’art. 55- quinquies, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

10.2. In ordine al primo reato, il tribunale del riesame ha rilevato che in ragione
della funzione autocertificativa che la timbratura del cartellino elettronico assume
in punto di rispetto degli orari di lavoro e dell’espletamento in concreto delle
proprie mansioni, qualsiasi condotta manipolativa delle risultanze di quella
11

proprio badge ma anche quello di altri colleghi, in modo da farli risultare presenti

attestazione è di per sé idonea a trarre in inganno l’amministrazione presso la
quale presta servizio in merito alle circostanze di fatto che quella attestazione è
intesa a dimostrare, ossia la presenza del dipendente sul luogo di lavoro;
l’indebito utilizzo dei badges, con le modalità dianzi descritte, configura, quindi,
per il tribunale, quegli artifici e raggiri che compongono l’elemento materiale del
reato di truffa aggravata ai danni dell’Ente pubblico, non potendosi dubitare, per
i giudici della cautela, della ricorrenza del danno, essendo certamente da

alla luce dell’allarmante reiterazione della condotta tenuta; su tale ultimo profilo,
in particolare, i giudici del tribunale della libertà, evidenziano come proprio
l’evidente ingiustificato protrarsi delle predette condotte di marcatura in orari in
cui gli indagati erano assenti dal posto di lavoro, necessariamente ha prodotto
un danno patrimoniale per l’ente, chiamato a retribuire una frazione della
prestazione giornaliera che in effetti non era stata effettuata, con ulteriore danno
patrimoniale e d’immagine conseguente alla mancata presenza del dipendente
nel presidio lavorativo, rimasto così sguarnito della corrispondente unità di
lavoro; l’apprezzabilità del danno, peraltro, emergerebbe proprio dal carattere
quasi quotidiano del raggiro e dal numero di ore lavorative evase, non ostando
alla configurabilità del reato la difficoltà di quantificazione del danno atteso che,
nella specie, osserva il collegio cautelare, non può porsi in dubbio la rilevanza
economica dello stesso né appare rilevate l’omessa quantificazione del danno
determinabili in termini monetari nel corso del procedimento. A ciò va aggiunto
quanto correttamente argomentato dal collegio cautelare circa, da un lato, la
irrilevanza della mancata verifica dell’assenza del singolo dipendente dal posto di
lavoro ovvero all’assenza giustificata dallo svolgimento di attività lavorativa in
altra sede, atteso che la contestazione riguarda l’assenza al momento della
timbratura; dall’altro, irrilevante il tribunale del riesame ha considerato la
circostanza che nel corso della giornata la P.G. operante non abbia verificato se i
soggetti in favore dei quali i complici avevano timbrato il cartellino informatico,
fossero al lavoro o meno, essendo invero significativa la circostanza che al
momento della timbratura elettronica il dipendente, il cui badge veniva utilizzato
dal complice di turno per attestarne la presenza, non fosse stato presente,
circostanza quindi che veniva attestata falsamente.

Trattasi di argomentazioni del tutto condivisibili, immune da vizi logici e conformi
del resto alla giurisprudenza di questa Corte, essendosi più volte affermato in
consimili ipotesi che la falsa attestazione del pubblico dipendente, circa la
12

ritenersi come “economicamente apprezzabili” i periodi di assenza, soprattutto

presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è
condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore
l’amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro, ed è
dunque suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata, ove il pubblico
dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o
della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare
economicamente apprezzabili (Sez. 2, n. 34210 del 06/10/2006 – dep.

della cautela di sono soffermati evidenziando come, proprio la reiterazione quasi
giornaliera della condotta destinata a celare l’assenza dal lavoro, non poteva non
provocare un danno economico apprezzabile all’Amministrazione. A ciò peraltro
va aggiunto, osserva il Collegio, come sia priva di pregio l’obiezione difensiva
fondata sulla possibilità che sembrerebbe riconosciuta dal regolamento comunale
(censura, peraltro, inammissibile, in quanto implicante un accertamento di fatto,
che sfugge all’ambito cognitivo di questa Corte) di una “tolleranza” di 30 minuti
dal luogo di lavoro, atteso che, da un lato, ciò che si contesta agli indagati non è
solo l’assenza dal luogo di lavoro ma anche, e soprattutto, la modalità truffaldina
impiegata per garantirsi piena libertà di movimento nell’arco della giornata
lavorativa avvalendosi della compiacente collaborazione degli altri colleghi
disponibili alla marcatura, scambiandosi reciprocamente i badges per coprirsi a
vicenda, con cadenza quasi quotidiana, donde non può ragionevolmente
dubitarsi sia dell’apprezzabilità economica che l’assenza ha comportato per
ciascuna posizione (peraltro dettagliatamente descritta, senza che abbiano
pregio le doglianze difensive sulla presunta mancata prova dell’assenza dal luogo
di lavoro che sarebbe comprovata da elementi probatori la cui valutazione,
peraltro, come già evidenziato in precedenza, richiederebbe a questa Corte lo
svolgimento di apprezzamenti fattuali che, lo si ricorda, esulano dalla
giurisdizione di legittimità) sia della attribuibilità delle condotte ai singoli
indagati.

10.3. Ad analogo approdo deve pervenirsi quanto alla residua imputazione
cautelare (art. 55- quinquies, d. Igs. n. 165 del 2011), in relazione alla quale i
giudici del riesame evidenziano come la predetta fattispecie, a differenza della
truffa, si consuma con la mera falsa attestazione della presenza in servizio
attraverso un’alterazione dei sistemi di rilevamento delle presenze; in relazione a
tale fattispecie, è evidente che il comportamento fraudolento dei dipendenti,
esplicantesi proprio nell’irregolare utilizzo dei sistemi di rilevazione delle
presenze, costituisce prova della mancata erogazione della prestazione
13

12/10/2006, Buttiglieri, Rv. 235307): e sull’apprezzabilità economica, i giudici

lavorativa, quantomeno nell’arco temporale in cui il cartellino marcatempo viene
utilizzato da soggetti che non ne sono i titolari, come avvenuto nel caso in
esame.
Anche sotto tale profilo, l’ordinanza non merita censura, essendo giuridicamente
corretta la configurabilità del delitto previsto dal d. Igs. n. 165 del 2001, non
essendovi peraltro dubbio in ordine alla configurabilità del concorso materiale
delle due fattispecie penali, desumibile dalla volontà dello stesso legislatore

“Fermo quanto previsto dal codice penale”), che – anche in applicazione dell’art.
15 cod. pen. per come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U,
n. 1235 del 28/10/2010 – dep. 19/01/2011, Giordano ed altri, Rv. 248864) consente di ritenere configurabile il concorso tra la fattispecie di truffa aggravata
e quella di false attestazioni o certificazioni, posto che è lo stesso legislatore a
prevedere l’applicazione congiunta della fattispecie penale di cui all’art. 55quinquies con quelle previste dal codice penale, essendo evidente, quindi, la
congiunta applicabilità anche della previsione sanzionatoria dell’art. 640, comma
secondo, n. 1, cod. pen.

11. Conclusivamente, quindi, con l’impugnazione i ricorrenti chiedono a questa
Corte di operare una lettura del materiale indiziario in senso più favorevole alla
difesa, non considerando, invece, che l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del
legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari
punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti,
dai poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la
mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione
delle risultanze processuali, come ad esempio, quando offre una personale
lettura di alcune conversazioni telefoniche, ciò che implicherebbe una valutazione
di fatto non consentita in questa sede (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 – dep.
02/07/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944).
Va peraltro ribadito, ancora una volta, che la valutazione del peso probatorio
degli indizi è compito del giudice di merito e, in sede di legittimità, tale
valutazione può essere contestata soltanto sotto il profilo della manifesta
14

(come si evince dall’inciso contenuto nel comma primo dell’art. 55-quinquies:

illogicità della motivazione (Sez. 1, n. 3017 del 17/05/1995 – dep. 22/06/1995,
Modafferi, Rv. 201732), tale dovendosi intendere quella frattura logica evidente
tra una premessa, o più premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che
se ne traggono, vizio non rilevabile quanto all’impugnata ordinanza (v., tra le
tante: Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999 – dep. 23/07/1999, Commisso ed altri,
Rv. 215132).
Né, infine, rileva quanto dedotto dagli stessi ricorrenti circa la necessità di

proprio la sentenza citata dalla difesa nel ricorso (Sez. 2, n. 28865 del
14/06/2013 – dep. 08/07/2013, Cardella, Rv. 256657), afferma chiaramente
come in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza ai
sensi dell’art. 273 cod. proc. pen. devono intendersi tutti quegli elementi a
carico, di natura logica o rappresentativa che – contenendo “in nuce” tutti o
soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non
valgono, di per sè, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato e
tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la
futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale
responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di
colpevolezza. La valutazione allo stato degli atti in ordine alla “colpevolezza”
dell’indagato, per essere idonea ad integrare il presupposto per l’adozione di un
provvedimento de libertate, deve quindi condurre non all’unica ricostruzione dei
fatti che induca, al di là di ogni ragionevole dubbio, ad uno scrutinio di
responsabilità dell’incolpato, ma è necessario e sufficiente che permetta un
apprezzamento in termini prognostici che, come tale, è ontologicamente
compatibile con possibili ricostruzioni alternative, anche se fondate sugli stessi
elementi. E ciò è quanto è avvenuto nel caso in esame.

12. I ricorsi devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili.
All’inammissibilità segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna di ciascun
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni
di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di
sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in euro 1000,00
(mille/00) ciascuno.

P.Q.M.

15

valutare in loro favore i presunti elementi di equivocità indiziaria. Ed infatti,

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.
La Corte dispone inoltre che copia del presente dispositivo sia trasmessa
all’Amministrazione di appartenenza dei dipendenti pubblici a norma dell’art. 70,
D. Lgs. 150/09.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 27 ottobre 2015

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