Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4704 del 09/11/2012


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 4704 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) TURBANTE GIOVANNA ROSA N. IL 28/12/1969
avverso l’ordinanza n. 401/2012 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 14/05/2012
a la relazione fatta dal Consigliere Dot GIACOMO ROCCHI;
$ e/sentite le conclusioni del PG Dott.
;tr
Ct Pr3k-

°#1’549/b’

Uditi idifensoitAvv.;

Data Udienza: 09/11/2012

RITENUTO IN FATI»

1. Con ordinanza del 14/5/2012 il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria,
provvedendo ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen, sulla richiesta di riesame
proposta nell’interesse di Turbante Giovanna Rosa avverso l’ordinanza del G.I.P.
del medesimo Tribunale che applicava nei suoi confronti la misura della custodia
cautelare in carcere, confermava l’ordinanza impugnata.
La ricorrente è indagata, in concorso con il marito Lo Giudice Domenica

pen. in relazione alla partecipazione al clan Lo Giudice, facente parte della
‘ndrangheta) del reato di cui all’art. 12 quinquies del decreto legge 8 giugno
1992, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, con
l’aggravante di cui all’art. 7 della legge n. 203 del 1991, in relazione
all’attribuzione fittizia alla stessa di un terreno, il 22/8/2008, e di un edificio a
due piani, il 10/8/2011; attribuzione che si contesta essere stata messa in atto al
fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione
patrimoniali e al fine di favorire l’attività della cosca Lo Giudice.
L’ordinanza cautelare esponeva gli argomenti sulla base dei quali la Ditta
Ingralsud, costituita il 29/7/1991, intestata alla moglie e di cui Lo Giudice
Domenica risultava dipendente, fosse riconducibile allo stesso Lo Giudice: la
circostanza era stata ammessa da entrambi gli indagati.
La Ingralsud aveva acquistato nel 2008 un terreno in Fraz. Gallina e la ditta
individuale di costruzioni Lo Giudice Domenica aveva edificato nel 2011 un
edificio a due piani, fatturando nei confronti della Ingralsud la somma di euro
330.000.
La fittizia intestazione integrava la condotta dell’art. 12 quinquies d.l. 306
del 1992, reato a condotta istantanea ad effetto permanente, plurisoggettivo
Improprio. Quanto all’immobile, la apparente titolarità della abitazione
conseguiva alla fittizia intestazione della Ingralsud, di cui il Lo Giudice era il reale
titolare. L’acquisto del terreno e la costruzione dell’abitazione venivano finanziati
con i proventi Illeciti dell’esercizio della Ingralsud: l’attività della Ingralsud aveva
prodotto utili e con questi utili erano stati acquistati gli immobili tra cui quelli
oggetto dell’imputazione.
Il Tribunale rilevava che la norma incriminatrice non richiede l’ulteriore
presupposto della provenienza illecita dei redditi usati per l’acquisto del bene,
essendo sufficiente l’appartenenza del bene al soggetto e il ragionevole timore di
essere sottoposto a misure di prevenzione patrimoniali, nonché il dolo specifico.
La dilatazione dell’elemento materiale è temperata dalla particolare connotazione
dell’elemento psicologico, costituito dal dolo specifico. In questo caso il dolo

(indagato, a sua volta, anche in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis cod.

specifico era individuabile nella specifica volontà di mantenere nell’alveo
familiare la formale intestazione dei beni, al fine chiaramente elusivo, in vista
delle probabili misure di prevenzione patrimoniale. La contestuale presenza di
ragioni di elusione fiscale non escludeva il dolo specifico del reato, ben potendo
concorrere entrambe le finalità.
Il fatto che Lo Giudice fosse divenuto titolare di una nuova impresa (la
Italgross) veniva spiegato dal Tribunale con l’avvedutezza di non abusare
dell’intestazione fittizia, perché, se avesse intestato tutti i beni ai familiari,

palese e l’effetto sarebbe stato opposto a quello sperato.
L’elemento soggettivo veniva ritenuto esistente in entrambi i coniugi, alla
luce della circostanza che il Lo Giudice era già stato condannato per
appartenenza ad associazione mafiosa e sottoposto a misure di prevenzione
personale, cosicché era evidente la finalità di eludere quelle patrimoniali.
Secondo il Tribunale, sussisteva anche l’aggravante di cui all’art. 7 d.l. 152
del 1991: l’attività imprenditoriale oggetto dei trasferimenti fraudolenti era
riferibile al patrimonio della cosca Lo Giudice, di cui Lo Giudice Domenico fa
parte, e costituiva anche lo strumento utilizzato per l’occultamento e il reimpiego
degli introiti illeciti, per cui le condotte criminose contestate erano funzionali a
preservare il patrimonio della cosca e a favorire l’operatività del sodalizio
criminoso. L’aggravante è compatibile con la fattispecie di cui all’art. 12

quinquies cit. quando risulta che il responsabile voglia prestare ausilio in favore
delle risorse personali o materiali della organizzazione, funzionale al
conseguimento delle sue finalità criminali.
Il Tribunale riteneva irrilevante la circostanza che il Lo Giudice fosse
dipendente della Ingralsud, essendo ciò conseguenza della intestazione fittizia;
respingeva la censura difensiva relativa all’inidoneità dell’intestazione fittizia alla
moglie e alla figlia ad eludere la normativa sulle misure di prevenzione
patrimoniali, sul presupposto che la fattispecie era a dolo specifico e non a dolo
intenzionale. La mancata attuazione della finalità, quindi, è irrilevante per la
consumazione del reato, così come è irrilevante la circostanza che la situazione
di apparenza creata sia idonea sul piano oggettivo ad eludere con certezza
l’applicazione di eventuali misure di prevenzione.
Il fatto che l’art. 2 bis della legge 575 del 1965 permetta indagini anche nei
confronti di coniuge e figli non comporta con assoluta automaticità che la misura

preventiva reale sia estesa ai beni dei prossimi congiunti, ben potendo essere
fornita la prova contraria: ciò comporta una evidente maggiore difficoltà ad
aggredire il patrimonio dei prossimi congiunti rispetto al patrimonio
destinatario diretto della misura.

3

del

l’intenzione di eludere le misure di prevenzione patrimoniale sarebbe stata

Il Tribunale, infine, riteneva sussistenti le esigenze cautelar’ ed applicava la
presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.

2. Ricorre per cessazione li difensore di Turbante Giovanna Rosa, deducendo
distinti motivi.
In un primo motivo si eccepisce la violazione degli artt. 606, comma 1, lett.

b) ed e) cod. proc. perì. in relazione all’art. 273 cod. proc. pen., all’art. 49,
comma 2, cod. pen. e agli artt. 2 bis e 2 ter legge 575 del 1965.

nessun caso l’intestazione fittizia di beni al coniuge o a familiari conviventi
Integra condotta idonea ad eludere le misure di prevenzione, nemmeno sotto il
profilo della maggiore difficoltà delle indagini, che sono estese di diritto ai
prossimi congiunti del soggetto proposto per l’applicazione di una misura di
prevenzione. Il bene intestato alla moglie o a un figlio convivente si presume
essere nella disponibilità del proposto, salvo prova contraria. Le considerazioni
sulla questione del Tribunale erano da censurare, sia con riferimento alla natura
del dolo (che non rileva rispetto alla prospettazione), sia con riferimento alla
possibilità di prova del legittimo acquisto del bene.

In un secondo motivo, si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett.

b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 273 cod. proc. pen. e all’art. 12
quinquies d.l. 306 del 1992 in punto di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza
circa la natura illecita dei proventi utilizzati per la realizzazione dell’immobile
menzionato nell’imputazione.
Per ritenere sussistente il reato contestato, occorre che i beni fittiziamente
intestati a terzi provengano da attività illecite o illegittime oppure che il loro
valore sia sproporzionato al reddito dichiarato dall’indagato: requisito che il
Tribunale, errando, negava.

In un terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 606, comma
1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 273 cod. proc. pen. e 12

quinquies d.l. 306 del 1992, con riferimento ai gravi indizi sulla circostanza che il
Lo Giudice, al momento dell’intestazione dei beni alla moglie, potesse presumere
di essere destinatario di misure di prevenzione.
Il fatto che, in un’epoca lontana, Lo Giudice fosse stato condannato per
partecipazione ad associazione mafiosa, non era sufficiente a dimostrare che egli
temesse di essere destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale, anche
perché il Tribunale di Reggio Calabria aveva revocato nei suoi confronti la misura
di prevenzione. Le argomentazioni del Tribunale erano, quindi, apodittiche.

4

Alla luce della normativa in tema di misure di prevenzione patrimoniale, in

In un quarto motivo, la ricorrente eccepisce la violazione dell’art. 606,
comma 1, lett. b) ed e) cod, proc. pen. in relazione all’art. 273 cod. proc. pen. e
all’art. 12 quinquies d.l. 306 del 1992 in punto di sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza circa il dolo specifico finalizzato all’elusione delle disposizioni in
materia di misure di prevenzione.
L’intestazione fittizia dell’immobile alla Turbante deriverebbe da una
precedente intestazione fittizia della ditta Ingralsud, con i cui proventi sarebbero
stati acquistati nel corso degli anni vari immobili, tra i quali quello oggetto del

dal 2004 e che la sua attività era stata svolta dalla Italgros, ditta intestata al Lo
Giudice che fatturava, dal 2004 al 2010, un milione e mezzo l’anno.
Nel 1991 e nel 2005 il Lo Giudice e la moglie erano stati colpiti da
provvedimenti di sequestro, la donna quale intestataria dei beni del marito,
cosicché era palesemente illogico ritenere che, successivamente, il Lo Giudice
avesse intestato beni alla moglie per fini elusivi. In realtà, da una parte
l’immobile era quello in cui risiedeva la famiglia, dall’altra i fini dell’intestazione
alla moglie dell’immobile, che l’aveva poi in parte dato in locazione alla ditta del
marito, erano di elusione fiscale, circostanza non negata dal Tribunale.
Le ulteriori considerazioni svolte dal Tribunale, peraltro, erano palesemente
illogiche: l’intestazione dell’immobile alla moglie non poteva essere fatta derivare
da quella della Ingralsud (che era intestata alla moglie), tenuto conto che questa
non era operativa e non produceva redditi dal 2004; inoltre, successivamente, il
Lo Giudice aveva intestato a proprio nome una ditta che fatturava un milione e
mezzo di euro l’anno, fatto giustificato dal Tribunale con il fine di non abusare
dello strumento dell’intestazione fittizia. In realtà l’intestazione dell’immobile alla
moglie era avvenuta per motivi comuni ad una pluralità di famiglie.

In un quinto motivo, si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett.

b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 273 cod. proc. pen. e all’art. 7 legge
203 del 1991.
Mentre la giurisprudenza di questa Corte pretende la prova della finalità di
agevolazione dell’associazione mafiosa per ritenere sussistente l’aggravante, la
motivazione del provvedimento impugnato era del tutto apparente e disancorato
dagli elementi acquisiti e segnalati nello stesso provvedimento.
Da nessun elemento emerge che l’immobile in questione è di proprietà o in
qualche modo afferente alla cosca: si tratta di immobile in cui vive la ricorrente
con il coniuge e la famiglia e in parte destinato a deposito della ditta del marito,
cosicché non era ipotizzabile che l’intestazione fittizia dell’immobile potesse
avvantaggiare l’associazione criminale.

5

provvedimento. In realtà la difesa aveva dimostrato che la Ingralsud era inattiva

In un sesto motivo, si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b)
ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 274 cod. proc. pen.: atteso che la
ricorrente è persona estranea all’associazione mafiosa, la presunzione di
sussistenza delle esigenze cautelari può essere superata valutando in via
prognostica la ripetibilità della condotta.
Nel caso di specie, si era dimostrata l’insussistenza delle esigenze cautelari,
alla luce dell’avvenuto sequestro dell’immobile oggetto dell’imputazione, così
come della società Ingralsud e del sequestro, in sede di un procedimento per

quest’ultimo raggiunto da misura cautelare.
Tali eventi rendevano impossibile la reiterazione da parte della ricorrente
delle condotte contestate: la valutazione del Tribunale della sussistenza del
pericolo che la Turbante, se liberata, potrebbe rendersi disponibile ad ulteriori
intestazioni fittizie è, quindi, del tutto sganciata dalla situazione di detenzione del
marito e dalla mancata disponibilità in capo a Lo Giudice del proprio patrimonio.

In un settimo motivo, si eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett.

b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 275 comma 2 bis cod. proc. pen.: la
difesa aveva fatto rilevare che era del tutto presumibile la concessione
all’indagata del beneficio della sospensione condizionale della pena, alla luce
della concessione del beneficio a coindagati cui sono imputate condotte assai più
gravi.
Il Tribunale si era limitato ad escludere apoditticamente che la pena potesse
essere contenuta nei limiti della sospensione condizionale della pena.

In un ottavo motivo, si eccepisce la violazione dell’alt 606, comma 1, lett.

b) ed e) cod, proc. pen. in relazione all’art. 275, comma 3, cod, proc. pen.: la
presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. opera esclusivamente
nella fase dell’adozione del provvedimento genetico della misura cautelare; il
Tribunale del Riesame non aveva motivato sul punto, benché fosse ben possibile
per la ricorrente la concessione degli arresti domiciliari.
La ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’art. 12 quinquies di. 8 giugno 1992, n. 306 stabilisce che, salvo che il
fatto non costituisca più grave reato, chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la
titolarità o disponibilità di denaro, beni, o altre utilità al fine di eludere le
disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, è punito

6

misure di prevenzione, di tutto il patrimonio di Lo Giudice Domenico,

con la reclusione da due a sei anni.
La principale misura di prevenzione patrimoniale è la confisca, prevista
dall’art. 2 ter, comma 3, legge n. 575 del 31 maggio 1965: in base a tale norma,
il Tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona indiziata dei
reati indicati nell’art. 1 (tra cui, come Lo Giudice Domenico, di appartenenza ad
associazione mafiosa), non possa giustificare la legittima provenienza e di cui,
anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la
disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito,

nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il
reimpiego.
Per quanto in questa sede interessa, l’art. 2 bis della stessa legge dispone
che le indagini sull’attività economica dei soggetti nei cui confronti possono
essere proposte le misure di prevenzione sono effettuate anche nei confronti del
coniuge e dei figli, nonché nei confronti delle persone fisiche o giuridiche,
società, consorzi od associazioni del cui patrimonio i soggetti medesimi risultano
poter disporre, in tutto o in parte, direttamente o indirettamente.
Ai sensi dell’art. 2 ter cit., inoltre, la confisca può colpire anche i beni che
risultano essere stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi; ai sensi dell’ultimo
comma dello stesso articolo, introdotto con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92
(precedente, quindi, all’acquisto del terreno e alla costruzione su di esso
dell’immobile), fino a prova contraria si presumono fittizi i trasferimenti e le
intestazioni effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di
prevenzione nei confronti dell’ascendente, del discendente e del coniuge.

2. Il secondo motivo di ricorso, concernente la sussistenza del gravi indizi di
colpevolezza circa la natura illecita dei proventi utilizzati per la realizzazione
dell’immobile e per l’attribuzione fittizia della titolarità della ditta alla Turbante, è
fondato.
Il Tribunale, dopo avere rilevato che la fittizia intestazione della Ingralsud
era stata ammessa dai due indagati nel corso degli interrogatori, nega che la
norma incriminatrice richieda il requisito della provenienza illecita dei redditi
usati per l’acquisto del bene o quello dell’assenza di sproporzione con i redditi
leciti, essendo sufficiente l’appartenenza del bene al soggetto e il ragionevole
timore di essere sottoposto a misure di prevenzione patrimoniale.
Nel prosieguo della motivazione il Tribunale analizza, comunque,
l’Infondatezza della versione del Lo Giudice secondo cui il terreno era stato
acquistato con la somma ricevuta a titolo di ingiusta detenzione (la somma è

7

dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica,

stata versata dopo l’acquisto); ritiene irrilevante la circostanza che la Ingralsud
avesse ottenuto un mutuo per la costruzione di un edificio (“la fittizietà di tale
operazione è una conseguenza diretta e logica di quanto sopra esposto e
rappresentato”) e conclude sul tema, osservando che “ovviamente, la gestione
nel tempo della Ingralsud ha prodotto utili e con questi utili sono stati acquistati
vari immobili, tra cui quelli oggetto di contestazione”.

L’affermazione del Tribunale deriva da una errata lettura della fattispecie

Il fatto che l’elusione delle disposizioni di legge in materia di misure di
prevenzione patrimoniale sia menzionata per descrivere l’elemento soggettivo
del reato (“… al fine di eludere …”) non autorizza affatto la conclusione che la

oggettiva elusione sia irrilevante.
Il Tribunale, in un passaggio motivazionale, richiama la necessità che, sul
piano soggettivo, l’agente abbia “il ragionevole timore di essere sottoposto a
misure di prevenzione patrimoniale”. Ci si deve chiedere: tale condizione
soggettiva esiste anche quando l’agente abbia “il ragionevole timore di essere
sottoposto ingiustamente a misure di prevenzione patrimoniale”?

Il legame tra la fattispecie incriminatrice e l’art. 2 ter della legge 575 del
1965 deve, quindi, essere approfondito.
Come è pacifico, nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di
tipo mafioso non può essere disposta la confisca indiscriminata di tutti i beni di

cui essi sono titolari, anche per interposta persona o hanno la titolarità. Al
contrario, non possono essere confiscati i beni di cui il soggetto può giustificare
la legittima provenienza; così come non possono essere confiscati beni di cui
l’indiziato ha la disponibilità in valore proporzionato al proprio reddito o alla
propria attività economica; sì, perché anche un indagato di appartenere ad
associazione mafiosa può avere un’attività economica lecita.
La norma dell’art. 2 ter cit. prevede, inoltre, la confisca dei beni “che

risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”: la forma
verbale utilizzata dal legislatore indica la necessità che venga raggiunta la prova
delle attività illecite e dell’acquisto del bene da confiscare con i conseguenti
proventi. Questa Corte, non a caso, ha affermato che, in virtù dell’art. 2 ter della
legge n. 575 del 1965, il sequestro e la successiva confisca non possono
indiscriminatamente colpire tutti i beni di coloro che sono sottoposti a misure di
prevenzione personali, bensì solo quelli che si ha motivo di ritenere frutto di
attività illecite o che ne costituiscano il reimpiego. Ne consegue che nelle ipotesi
in cui il reimpiego del denaro, proveniente da fonte sospetta di illiceità penale,

8

incriminatrice.

avvenga mediante addizioni, accrescimenti, trasformazioni o miglioramenti di
beni già nella disponibilità del soggetto medesimo, in virtù di pregresso acquisto
del tutto giustificato da dimostrato titolo lecito, il provvedimento ablativo deve
essere rispettoso del generale principio di equità e, per non contrastare il
principio costituzionale di cui all’art. 42 Cost., non può coinvolgere il bene nel
suo complesso, ma, nell’indispensabile contemperamento delle generali esigenze
di prevenzione e difesa sociale con quelle private della garanzia della proprietà
tutelabile, deve essere limitato soltanto al valore del bene medesimo,

profitti illeciti. (Sez. 1, n. 33479 del 04/07/2007 dep. 28/08/2007, Richichi, Rv.
237448)

Ciò premesso – si è ribadito un dato pacifico – appare inevitabile concludere
che la fittizia intestazione di beni che non potrebbero essere oggetto di confisca
a titolo di misura di prevenzione patrimoniale non può integrare il reato di cui
all’art. 12 quinquies di. 8 giugno 1992, n. 306: tale condotta, infatti, già sotto il
profilo oggettivo, non elude le disposizioni di legge in materia di misure di
prevenzione patrimoniale; e se tale elusione oggettivamente non esiste, è del
tutto irrilevante la finalità che hanno perseguito i soggetti che hanno proceduto a
fittizia intestazione.
“Eludere”, infatti, significa “sfuggire, evitare scaltramente” gli effetti di una
legge che, in mancanza della condotta di elusione, determinerebbe un certo
effetto (la confisca del bene).

L’art. 12 quinquies cit., in definitiva, deve essere interpretato nel senso che
la fittizia intestazione

deve essere oggettivamente idonea ad eludere la

normativa in misura di prevenzione e deve essere, inoltre, sorretta dal dolo
specifico descritto dalla fattispecie (finalità elusiva o di agevolazione dei delitti di
cui agli artt. 648, 648 bis e 648 ter cod. pen.).

La motivazione sul punto dell’ordinanza impugnata, quindi, appare
decisamente contraddittoria e illogica, sotto tre profili.
Il primo concerne la natura illecita dei proventi dell’attività della Ingralsud
che, si ricordi, esercita il commercio di generi alimentari. Tale illiceità pare del
tutto presunta, tenuto conto che il commercio viene effettivamente svolto: ciò è
pacifico e risulta, tra l’altro, dal testo dell’intercettazione menzionata a pag. 31,
In cui Fortunato Pennestrì chiede a Domenico Lo Giudice se si trova “al banco”
dell’esercizio commerciale e Lo Giudice risponde che deve “portare il latte” al bar
Ficara. Quindi Lo Giudice divide il suo tempo nell’esercizio commerciale o

9

proporzionato all’incremento patrimoniale per il reimpiego in esso effettuato di

consegnando i prodotti alimentari che la Ingralsud tratta.
Il secondo profilo attiene alla mancata considerazione dei proventi della
Italgross, la seconda impresa che fa capo a Lo Giudice Domenico, che tratta i
medesimi articoli e che (a dire della difesa) fattura la somma di un milione e
mezzo di euro l’anno. La illiceità anche di tali proventi è ritenuta anch’essa almeno così appare – presunta: tali introiti, peraltro, rilevano certamente per
permettere al Lo Giudice di dimostrare il reddito “della propria attività
economica” e per “giustificare la legittima provenienza delle somme” utilizzate

Il terzo profilo concerne il denaro ottenuto con un mutuo dalla Ingralsud per
la costruzione dell’immobile. Si afferma: il denaro ottenuto con il mutuo dalla
impresa di cui il Lo Giudice è effettivamente titolare sono stati versati alla ditta
individuale Lo Giudice Domenico e, comunque, la Ingralsud ha destinato parte
dell’edificio a deposito della ditta individuale; si tratterebbe, quindi, di
“un’articolata manovra finanziaria, dettata probabilmente anche da motivi di
sgravio fiscale, che certamente, però, non assume alcuna valenza probatoria in
questa sede in relazione alla genuinità dell’intestazione a carico della Turbante”.
Ma la questione sembra diversa: se il contratto di mutuo è effettivo (come
sembra pacifico), la provenienza del denaro immesso in questa “articolata
manovra finanziaria” è

lecita (una banca o una società finanziaria); la

concessione del mutuo ha determinato un incremento delle disponibilità della
società da fonte lecita (anche se, ovviamente, ha fatto sorgere un obbligo di
restituzione rateizzato). Il tema della provenienza illecita riguarda, quindi, al più
le somme utilizzate per pagare la rate del mutuo.

3. Anche il quarto motivo di ricorso, concernente la sussistenza del dolo
specifico del reato contestato, appare fondato.
Questa Corte ha recentemente affermato che, in tema di reato di
trasferimento fraudolento di valori, la valutazione della natura fittizia, e quindi
fraudolenta, rispetto a procedimenti di prevenzione patrimoniale anche soltanto
eventuali, del trasferimento di beni o valori in capo a soggetti (quali il coniuge, i
figli, i conviventi nell’ultimo quinquennio, ecc.) che, in forza della normativa di
prevenzione, sono comunque interessati dalle indagini patrimoniali prodromiche
all’emissione dei provvedimenti di cautela e di ablazione, non può prescindere
dall’apprezzamento di ulteriori elementi di fatto, rispetto all’atto del
trasferimento, che siano capaci di concretizzare la capacità elusiva
dell’operazione patrimoniale (Sez. 1, n. 17064 del 02/04/2012 – dep.
08/05/2012, Ficara, Rv. 253340).
In sostanza, anche ritenendo infondata la tesi (esposta nel primo motivo di

10

per gli acquisiti del terreno e dell’immobile.

ricorso) della oggettiva inidoneità della fittizia intestazione ad eludere in ogni

caso le norme sulle misure di prevenzione patrimoniale, in conseguenza
dell’estensione delle indagini anche al coniuge e ai figli del soggetto destinatario
della richiesta (art. 2 bis, comma 3, legge n. 575 del 1965), tenuto conto che
non tutti i trasferimenti e le intestazioni a detti soggetti si presumono fittizi, ma
solo quelli eseguiti nei due anni precedenti alla proposta (art. 2 ter, u.c., legge
575 cit.), tuttavia la normativa non può non incidere sulla

verifica della

sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie incriminatrice.

per fini elusivi e non per altri fini (fiscali, familiari ecc.), se i soggetti erano
consapevoli (come sicuramente Lo Giudice e Turbante, che erano già stati
sottoposti ad altre misure dello stesso tipo) che l’intestazione non avrebbe
sortito effetto.

Nel caso di specie l’intestazione fittizia è ammessa, e niente affatto
contestata, dagli indagati. Il Tribunale, pur dando atto dell’esistenza certa di
ragioni fiscali dell’intestazione, motiva del tutto illogicamente sulla finalità elusiva
perseguita da Lo Giudice e Turbante osservando che la seconda era “soggetto
incensurato e fidato, assolutamente adatto allo scopo”; ebbene: che la moglie di
un soggetto già condannato per partecipazione ad associazione mafiosa sia
soggetto

assolutamente adatto allo scopo della fittizia intestazione

deve

decisamente escludersi, perché, appunto, i due coniugi possono certamente
temere nuove indagini sul conto dell’uno o di entrambi e sanno perfettamente
che i beni intestati alla moglie, pur incensurata, saranno oggetto di attenzione e,
verosimilmente, sottoposti a sequestro, con il rischio della confisca.
Quanto all’essere la moglie “soggetto fidato” dell’indiziato di appartenere ad
associazione mafiosa, si tratta sicuramente di un’affermazione esatta, ma che
deve fare i conti con una domanda implicita: possibile che l’appartenente ad
un’associazione mafiosa abbia come unico soggetto fidato la propria moglie?
La motivazione è, quindi, decisamente insufficiente, alla luce della
considerazioni della difesa.

4. Anche il quinto motivo di ricorso, attinente alla contestazione
dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. 152 del 1991, appare fondato.
La contestazione provvisoria addebita ai due indagati di avere posto in
essere l’intestazione fittizia del terreno e dell’immobile sullo stesso costruito al
fine di agevolare l’attività della cosca mafiosa Lo Giudice.
Questa Corte ha affermato che la circostanza aggravante del metodo
mafioso, di cui all’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. nella legge n. 203 del 1991,

11

Appare, infatti, assai arduo provare che la fittizia intestazione sia avvenuta

può trovare applicazione anche in relazione al delitto di trasferimento fraudolento
di valori (art. 12 quinquies D.L. n. 306 del 1992, conv in legge n. 356 del 1992),
quando si tratti di condotte funzionali a favorire l’operatività di un sodalizio di
stampo mafioso in quanto strumentali a sottrarre i beni e le attività illecitamente

accumulate dall’associazione

a misure ablatorie. (Sez. 1, n. 21256 del

05/04/2011 – dep. 26/05/2011, lana, Rv. 250240)
Nel caso di specie, l’intera esposizione del provvedimento impugnato e
dell’ordinanza del G.I.P. sembra dare per scontato che terreno e immobile non

indagato di far parte, ma siano di proprietà esclusiva dello stesso Lo Giudice, che
utilizza l’immobile per abitarvi con la sua famiglia e per adibirlo a magazzino per
la ditta individuale di cui è titolare.
Il provvedimento impugnato afferma, al contrario, che le condotte criminose
“sono indiscutibilmente funzionali a preservare il patrimonio della cosca e,
quindi, a favorire l’operatività del sodalizio criminoso”, ma si tratta di
affermazione del tutto priva di motivazione, non a caso subito dopo attenuata
con l’affermazione che “la salvaguardia della ditta sia stata finalizzata,

quanto

meno in misura concorrente, a garantire alla cosca di appartenenza uno
strumento utile per la realizzazione dei propri fini e per il controllo del territorio”.

In definitiva, l’aggravante contestata è sì, compatibile con il delitto di cui
all’art. 12 quinquies cit., ma una motivazione inadeguata o apparente non può
condurre ad una sua applicazione sostanzialmente automatica: se i beni sono di
proprietà esclusiva del soggetto che li ha fittiziamente intestati e se non vi sono
indizi (attesa la fase cautelare in atto) che gli stessi siano utilizzati per agevolare
l’associazione mafiosa, l’aggravante non può essere ritenuta sussistente.

Il Giudice di rinvio, pertanto, solo nel caso ritenga sussistente il delitto
contestato dal punto di vista dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo, che è
chiamato ad analizzare nuovamente in ragione dell’accoglimento dei due
precedenti motivi di ricorso, dovrà adeguatamente motivare anche in ordine alla
sussistenza dell’aggravante in questione.

5. Mentre l’ottavo motivo di ricorso è infondato, atteso che, come affermato
dalle Sezioni Unite, la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere di cui
all’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. opera non solo nel momento di
adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva ma anche nelle
successive vicende che attengono alla permanenza delle esigenze cautelari
(Sez. U, n. 34473 del 19/07/2012 – dep. 10/09/2012, Lipari, Rv. 253186),

12

siano accumulati dall’associazione criminosa di cui Lo Giudice Domenico è

dovendosi inoltre ritenere allo stato applicabile tale normativa ai delitti aggravati
dall’art. 7 cit., in attesa della decisione della Corte Costituzionale sulla questione
sollevata con la medesima ordinanza, il sesto e settimo motivo di ricorso
dovranno essere rivalutati all’esito delle decisioni in ordine alla sussistenza del
reato e dell’aggravante di cui all’art. 7 cit.

P.Q.M.

Reggio Calabria.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att.
cod. proc. pen.

Così deciso il 9 novembre 2012

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA