Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47022 del 03/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 47022 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Stefano Prontera, quale difensore di
Caracciolo Umberto (n. il 23.09.1934) avverso la sentenza della Corte
d’appello di Lecce, Il Sezione penale, in data 04.02.2013.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Roberto
Aniello, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

OSSERVA:

Data Udienza: 03/10/2013

Con sentenza del 17.02.2009, il Tribunale di Lecce dichiarò Caracciolo
Umberto responsabile del reato di ricettazione di cui al secondo comma
dell’art. 648 c.p. e lo condannò alla pena di anni 1 di reclusione ed € 200,00
di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte
d’appello di Lecce, con sentenza del 04/02/2013, confermò la decisione di

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo l’erronea
applicazione dell’art. 213 e ss. del c.p.p. perché i Giudici di merito danno lo
stesso valore probatorio alla ricognizione di cose informale che è stata
effettuata nel presente procedimento e quella regolata dal predetto articolo.
Deduce la mancanza, la contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in ordine: al diniego delle attenuanti generiche; al fatto che pur
essendo stato l’imputato condannato per ricettazione la Corte di merito
richiama le condotte tipiche del furto; sulla sussistenza dell’elemento
psicologico del reato di ricettazione.
Il difensore del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.

motivi della decisione

li

ricorso è manifestamente infondato. Si deve, preliminarmente,

circoscrivere l’ambito dell’esame del presente ricorso. Infatti, con l’appello
l’imputato si doleva, genericamente, per una presunta insufficienza delle
prove e, in particolare, contestava l’iter procedimentale seguito per il
riconoscimento dell’oggetto della ricettazione; inoltre, chiedeva la
concessione delle attenuanti generiche con conseguente riduzione della
pena. E’, quindi, evidente: 1) che la Corte di appello doveva — e, come si dirà
più avanti, lo ha fatto in modo incensurabile – rispondere solo a tali doglianze;
2) che non è consentito presentare nuove censure, con il ricorso per
cassazione, in quanto dipendenti da valutazione di merito effettuate dal primo
Giudice e non gravate da doglianze, e che dunque si intendono coperte da
giudicato per conseguenza dell’effetto devolutivo dell’appello. (Sez. 4,
Sentenza n. 4853 del 03/12/2003 Ud. – dep. 06/02/2004 – Rv. 229374; si

primo grado.

veda anche Sez. 3, Sentenza n. 3445 del 17/12/2008 Cc. – dep. 26/01/2009 Rv. 242169).
Tanto premesso si deve, comunque, rilevare: 1) l’assoluta genericità
della doglianza relativa alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato a
fronte, tra l’altro, di una sentenza di primo grado che ha condannato
l’imputato per ricettazione anziché per furto come originariamente era stato

intervenuta la condanna. Infatti, a pagina 2 dell’impugnata sentenza la Corte
— nel narrare lo svolgersi della vicenda processuale — ha subito evidenziato
che il ricorrente è stato condannato per il reato di ricettazione e ha aggiunto

“così riqualificando l’originaria imputazione di cui all’art. 624 bis e 625 n. 7 del
c.p.” ed ha, di seguito, solo riportato l’originaria contestazione allorché ha
scritto “perché al fine di trarne un profitto, si impossessava di una vecchia

giara in terracotta….”. In punto di diritto occorre, infine, rilevare che la
sentenza di primo grado e quella di appello, quando non vi è difformità sulle
conclusioni raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutt’uno
organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre
fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Pertanto, il
giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può
limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del
fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 4827 del 28/4/1994 – ud. 18/3/1994 – Rv. 198613; Sez. 6,
Sentenza n. 11421 del 25/11/1995 – ud. 29/9/1995 – Rv. 203073). A tal
proposito si deve rilevare che lo stesso ricorrente contesta (alle pagine 10 e
11 del ricorso) la decisione della Corte di appello di confermare — per
relationem – la decisione del giudice di primo grado, che ha ritenuto la
sussistenza dell’elemento psicologico solo perché l’imputato non ha fornito
alcuna giustificazione sul possesso della giara. Ebbene, al solo fine di
eliminare ogni dubbio in proposito (dato che la doglianza sull’elemento
psicologico, per quanto sopra rilevato, non costituisce oggetto di giudizio di
questa Corte), si deve rilevare che la decisione dei Giudici di merito è
perfettamente conforme al principio, più volte affermato dalla consolidata
giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale ai fini della configurabilità
del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere

contestato; 2) l’impossibilità che nascano dubbi sul tipo di reato per il quale è

raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile – indicazione della
provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della
volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede
(Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 27/02/1997 Ud. – dep. 13/03/1997 – Rv.
207313; Sez. 2, Sentenza n. 16949 del 27/02/2003 Ud. – dep. 10/04/2003 Rv. 224634; Sez. 2, Sentenza n. 25756 del 11/06/2008 Ud. – dep.

dep. 26/07/2010 – Rv. 248265).
Chiarito ciò, appare evidente che gli unici due motivi di ricorso sui quali
questa Corte deve rispondere sono inammissibili per violazione dell’ad. 591
lettera c) in relazione all’ad. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le
doglianze (già affrontate dalla Corte di appello) sono prive del necessario
contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni,
ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si
palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti, la Corte di appello
ha ben evidenziato con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria e
in linea con i principi di questa Suprema Corte le ragioni per le quali ritiene
corretto l’iter procedimentale seguito per il riconoscimento, da parte della
persona offesa del reato, della sua giara alla stessa sottratta. Invero, in primo
luogo sottolinea come la persona offesa prima del riconoscimento abbia
descritto la giara e precisamente abbia indicato vari particolari che la
rendevano inconfondibile (la giara era priva di un manico, aveva un foro sul
fondo e una riparazione con filo di ferro e cemento sulla pancia). Inoltre, ha
richiamato, sul punto, una costante giurisprudenza di questa Corte che,
seppur datata, è pienamente condivisa dal Collegio perché logica e
perfettamente compatibile con il sistema. Questa Corte Suprema ha, infatti,
più volte affermato che per il riconoscimento della refurtiva da parte del
derubato non devono essere necessariamente osservate le formalità stabilite
per la ricognizione di cose; in questo caso, infatti, il derubato, avendo avuto il
possesso delle cose rubate, è in grado di identificarle direttamente, come
chiunque altro ne avesse avuto per ragioni analoghe personale conoscenza,
e, quindi, la relativa operazione, costituendo un mero accertamento di fatto e
non un atto processuale formale, può essere liberamente utilizzato dal
giudice nella formazione del suo convincimento (Sez. 1, Sentenza n. 5926

25/06/2008 – Rv. 241458; Sez. 2, Sentenza n. 29198 del 25/05/2010 Ud. –

del 15/04/1998 Ud. – dep. 20/05/1998 – Rv. 210618; sentenza, questa,
preceduta da molte altre citate correttamente a pagina 2 dell’impugnata
sentenza).
Per quanto riguarda il diniego delle attenuanti generiche si deve rilevare
che entrambi i Giudici di merito hanno ritenuto congrua la pena irrogata,
tenendo conto della “pessima personalità” del ricorrente gravato di numerosi

sentenza). Si deve, allora, ricordare quale è la funzione delle attenuanti
generiche. In proposito questa Corte di Cassazione ha stabilito il principio —
condiviso dal Collegio — che in tema di attenuanti generiche, posto che la
ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al
giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione
prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili
connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso
responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può
mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il
giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni
possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata
meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza,
di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che
sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento
sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso,
adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di
specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in
questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta
richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della
contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa
si fonda (Sez. 1, Sentenza n. 11361 del 19/10/1992 Ud. – dep. 25/11/1992 Rv. 192381; Sez. 2, Sentenza n. 2769 del 02/12/2008 Ud. – dep. 21/01/2009
– Rv. 242709). Inoltre, l’obbligo di motivazione in materia di circostanze
attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle
condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez. 2,
Sentenza n. 38383 del 10/07/2009 Ud. – dep. 01/10/2009 – Rv. 245241).
Infine, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le

precedenti per reati contro il patrimonio (si veda pagina 3 dell’impugnata

possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato in
considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano
sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere dello
stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi
di segno positivo (Sez. 3, Sentenza n. 19639 del 27/01/2012 Ud. – dep.
24/05/2012 – Rv. 252900).

comunque, correttamente i vari elementi fissati dall’articolo 133 del c.p. per la
concessione delle attenuanti generiche. Questa suprema Corte ha più volte
affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di
cui all’art. 62 bis cod. pen., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art.
133 del codice penale, ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti,
essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento
(nel caso di specie — per quanto sopra osservato – l’assenza di elementi utili
ai fini del riconoscimento di tali attenuanti e i numerosi precedenti penali
specifici; si veda sul punto ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del
11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv. 230691; Sez. 6, Sentenza n. 34364
del 16/06/2010 Ud. – dep. 23/09/2010 – Rv. 248244).
Inoltre, sempre secondo i principi di questa Corte — condivisi dal
Collegio – ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al
diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto
a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato
essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale
conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla
concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo. Ad esempio
in un caso posto all’attenzione di questa Suprema Corte – che ha considerato
corretta la relativa motivazione – il giudice di merito aveva ritenuto che non
potessero concedersi le attenuanti generiche in relazione ai precedenti penali
dell’imputato (Sez. 2, Sentenza n. 106 del 04/11/2009 Ud. – dep. 07/01/2010
– Rv. 246045). Infine, per la concessione o il diniego delle circostanze
attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli
elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a
determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo
elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle

Tanto premesso si deve rilevare che la Corte territoriale valuta,

modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Sez. 2,
Sentenza n. 3609 del 18/01/2011 Ud. – dep. 01/02/2011 – Rv. 249163).
Orbene a fronte di quanto sopra esposto, la difesa dell’imputato
contrappone solo astratti principi generali e generiche contestazioni, che non
tengono conto delle argomentazioni della Corte di appello. In particolare non
evidenzia alcuna illogicità o contraddizione nella motivazione della Corte di

Corte Suprema ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che
sono inammissibili i motivi di ricorso per Cassazione quando manchi
l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non
può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel
vizio di aspecificità, che conduce, ex ad. 591, comma primo, lett. c), cod.
proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n.
39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634). Infine, si deve
osservare che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve
essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato
a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime
incongruenze (che tra l’altro nel caso di specie non si ravvisano).
Ne consegue, per il disposto dell’ad. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in
favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di
colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, il 03.10.2013.

appello allorchè conferma la decisione del Tribunale. In proposito questa

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