Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 47017 del 07/10/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 47017 Anno 2017
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Grillo Domenico, nato a Vibo Valentia il 30/09/1990
Todarello Francesco, nato a Vibo Valentia il 22/07/1966
Zinnà Luigi, nato a Vibo Valentia il 21/11/1986

avverso la sentenza del 28/04/2015 della Corte di assise di appello di Catanzaro,

con la costituzione di parte civile di Raso Eleonora, nata a San Calogero (VV), il
19/10/1957;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
sentita la relazione svolta dal componente Antonella Patrizia Mazzei;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Felicetta Marinellí, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
rilevato che il difensore della parte civile non è comparso;
udito per Grillo Domenico il difensore, avvocato Pietro Chiodo, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento dei motivi del ricorso;
udito per Todarello Francesco il difensore, avvocato Patrizio Cuppari, che ha
concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi del ricorso;
udito per Zinnà Luigi il difensore, avvocato Francesco Muzzopappa, che ha
concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi del ricorso.

Data Udienza: 07/10/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Nel presente processo l’azione penale è stata promossa per i seguenti
delitti: concorso in tentata rapina aggravata dall’essere stata commessa da più
persone riunite e travisate, introdottesi nell’abitazione di Raso Isabella (artt.
110, 628, commi primo e terzo, nn. 1 e 3-bis, cod. pen.: capo A); concorso

per asfissia meccanica da soffocazione diretta, con l’aggravante del nesso
teleologico rispetto alla rapina (artt. 110, 575 e 576, comma primo, n. 1, in
relazione all’art. 61, comma primo, n. 2, cod. pen.: capo B).
Di tali fatti, uniti nella continuazione, commessi in San Calogero, piccolo
Comune in provincia di Vibo Valentia, nella notte tra il 14 ed il 15 luglio 2011,
sono stati imputati e dichiarati responsabili, all’esito di giudizio abbreviato,
Domenico Grillo, Luigi Zinnà e Francesco Todarello: i primi due, rispettivamente
di venti e ventiquattro anni al tempo dei fatti, sono stati condannati alla pena
(ridotta per il rito) di anni dodici di reclusione, ciascuno, con le attenuanti
generiche equivalenti alla circostanza aggravante contestata per il più grave
delitto di omicidio; il terzo, quasi quarantacinquenne al tempo dei fatti e ritenuto
l’ispiratore dell’azione criminosa, alla pena (parimenti ridotta per il rito) di anni
sedici di reclusione, senza riconoscimento di attenuanti.
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Vibo Valentia, nella
sentenza del 26 marzo 2014, oltre a modificare l’originaria imputazione di rapina
consumata in quella di rapina tentata pluriaggravata, di cui al capo A), ha
riconosciuto la responsabilità degli imputati per concorso in omicidio
preterintenzionale teleologicamente aggravato, così modificando anche
l’originaria contestazione di omicidio volontario, di cui al capo B).
La rilevata, in appello, discrasia tra il delitto di omicidio preterintenzionale,
così definito nella motivazione della sentenza di primo grado, e l’omessa
riqualificazione in tali termini del fatto, già contestato come omicidio volontario,
nel dispositivo della medesima sentenza, è stata risolta dalla Corte di assise di
appello, nella sentenza emessa il 28 aprile 2015, attribuendo prevalenza alla
definizione del fatto come omicidio preterintenzionale, giusta motivazione della
prima sentenza, tale da rivelare l’errore materiale nella formulazione del
dispositivo, coerentemente alla ritenuta responsabilità degli imputati secondo il
titolo di reato meno grave e all’entità delle pene irrogate ad esso commisurate.
La Corte di assise di appello, tuttavia, avvalendosi del potere riconosciutole
dall’art. 597, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., ferme restando le pene
inflitte per il divieto di reformatio in peius, nel respingere gli appelli proposti
2

nell’omicidio di Raso Isabella, imbavagliata con un panno di stoffa e deceduta

dagli imputati Zinnà e Todarello anche in punto di dichiarata responsabilità per il
delitto di omicidio, ha ritenuto che tale fatto dovesse essere definito come
omicidio volontario con dolo eventuale, confermando la già ritenuta aggravante
del nesso teleologico rispetto al delitto di rapina tentata; ha, inoltre, escluso che
potesse configurarsi la desistenza volontaria con riguardo al tentativo di rapina;
ha, infine, confermato le pene inflitte agli imputati dal primo giudice.

giudizio di merito, può essere così riassunta: nella notte tra il 14 ed il 15 luglio
2015 Todarello, Grillo e Zinnà, travisati da calze di nylon, si introdussero
nell’abitazione della cinquantenne, Raso Isabella, dove la stessa viveva da sola;
a tal fine Todarello forzò la serratura della porta, in via Alvaro, sita al pianterreno
dell’immobile ubicato su due livelli; tramite una scala a chiocciola i tre imputati
salirono al primo piano dove erano situati i locali abitati e Todarello si introdusse
nella camera da letto della Raso poiché, avendo in precedenza effettuato lavori di
falegnameria sull’armadio ubicato nella medesima stanza, conosceva la casa e
sapeva che, proprio nell’armadio da lui riparato, la Raso deteneva una cospicua
somma di denaro insieme ad oggetti preziosi ed altri valori; entrato nella camera
da letto, Todarello non vi trovò la Raso, la quale dormiva su un divano ubicato
nell’attiguo soggiorno-cucina, e neppure riuscì a trovare il denaro, sicché ordinò
a Greco e Zinnà di svegliare la Raso perché indicasse loro dove aveva nascosto
denaro e valori; una volta destatasi, però, la Raso oppose attiva resistenza fisica
e verbale ai suoi aggressori e, in particolare, a Grillo che tentò di trascinarla nel
corridoio per portarla in camera da letto; la Raso graffiò Grillo (sulle sue unghie
furono, infatti, rinvenuti frammenti di epidermide che gli esami biologici
attribuirono con certezza allo stesso imputato confrontandoli col suo DNA
estratto da un mozzicone di sigaretta) ed emise alte grida nel disperato tentativo
di difendersi ed attirare l’attenzione altrui; tale strenua resistenza, testimoniata
anche da aloni rinvenuti sul muro del corridoio e attribuiti ai piedi della Raso
sfregati contro l’intonaco, mobilitarono i tre imputati che, insieme, tentarono di
zittire la vittima con panni di stoffa, utilizzati sia per tapparle la bocca sia per
serrarle i polsi, mentre la Raso, che continuava ad opporsi ai suoi aggressori, era
trattenuta per le gambe e le braccia; al termine di queste concitate manovre, la
donna apparve come svenuta e articolante solo versi indistinti, e, a quel punto, i
tre intrusi, presi dal panico, lasciarono la casa senza nulla asportare, uscendo
per primo Zinnà, seguito da Grillo e Todarello, attraverso la porta d’ingresso al
primo piano, aperta sulla via Campanella.
Il mattino del 16 luglio 2011, intervenuti su segnalazione di un vicino di
casa, i Carabinieri trovarono la Raso esanime, distesa sul pavimento del corridoio
3

La ricostruzione dei fatti, come emerge dalle sentenze del doppio grado del

in posizione supina, con la parte posteriore del collo e tutto il volto, in particolare
la bocca, il naso e gli occhi avvolti da una fascia in tessuto chiaro e con un nodo
del medesimo tessuto al polso destro.
Dal sopralluogo eseguito nell’immediatezza del rinvenimento del cadavere
solo l’armadio della camera da letto risultò messo a soqquadro, con alcune borse
della Raso sparpagliate sul letto, all’interno di una delle quali, in un portafogli e

somma più cospicua fu poi trovata, all’esito di più accurato sopralluogo,
all’interno dell’armadio, in parte custodita in alcuni portafogli, in parte dentro
buste da lettera e in altra parte nelle tasche di vestiti e indumenti vari, per
l’importo totale di quasi 15.500 euro; nulla risultò sottratto.
Secondo la Corte di assise di appello non ricorrevano nel tentativo di rapina
gli estremi della desistenza volontaria o del recesso attivo: non la desistenza
poiché l’abbandono della scena del crimine da parte degli agenti non era stato
volontario, ma determinato dal panico, una volta avvedutisi che la vittima, la
quale aveva opposto una resistenza vigorosa e inaspettata fino al punto di
graffiare uno dei suoi aggressori, non dava più segni di vita, dovendo peraltro
ritenersi incompatibile la desistenza con il tentativo compiuto che, secondo la
Corte di merito, fu attuato dagli imputati; e, neppure, il recesso attivo che
postula un comportamento positivo per interrompere il processo causale ed una
discontinuità o rottura temporale tra la condotta intrapresa e l’intervento
successivo, ritenuto insussistente nel caso di specie.
Quanto all’omicidio, la Corte territoriale non ha ritenuto giuridicamente
corretta la sua qualificazione come omicidio preterintenzionale, operata dal
primo giudice. In conformità dell’originaria contestazione, esso doveva ritenersi
omicidio volontario con dolo eventuale, poiché gli imputati, pur non avendo
avuto l’intenzione di provocare la morte della Raso, agirono accettando l’elevata
probabilità che la loro azione, per le modalità particolarmente aggressive che la
contraddistinsero, potesse cagionare l’evento letale, effettivamente prodottosi.
Al riguardo la Corte ha sottolineato che la strenua resistenza della Raso rese
necessario l’intervento congiunto dei tre imputati, che la imbavagliarono con
panni recuperati sul posto fino al punto di procurarle la totale occlusione delle vie
respiratorie (la vittima fu trovata con la parte posteriore del collo e l’intero volto
-bocca, naso ed occhi- avvolti da una fascia in tessuto chiaro); gli aggressori non
si arrestarono neppure quando si avvidero che la Raso respirava a fatica,
accettando dunque di procurarle un danno irreparabile, a quel punto
chiaramente e largamente prevedibile.

4

in un portamonete, fu rinvenuta la somma in contanti di euro 1.150,00; una

La Corte territoriale ha anche confermato la circostanza aggravante
teleologica, poiché l’omicidio era stato commesso al fine di sottrarre denaro e
altri beni dall’abitazione della vittima.
Tutti gli imputati dovevano ritenersi concorrenti nei delitti loro ascritti, anche
alla luce dei contenuti di conversazioni registrate in carcere tra gli stessi ed i loro
familiari, poiché tutti presenti e attivamente coinvolti nella condotta criminosa.

adeguato, con il riconoscimento delle attenuanti generiche ai soli Grillo e Zinnà,
ferma l’esclusione per la gravità dei fatti del richiesto giudizio di prevalenza sulla
circostanza aggravante inerente il più grave delitto di omicidio; mentre nei
riguardi di Todarello, benché incensurato, è stata ribadita la negazione delle
medesime attenuanti per la notevole gravità dei fatti e perché lo stesso imputato
è stato ritenuto l’ideatore dell’impresa criminosa, come concordemente riferito
dai coimputati, Grillo e Zinnà; l’entità delle pene inflitte a ciascuno, incluso
l’aumento di due anni per la continuazione tra l’omicidio e la tentata rapina, è
stata stimata come equa in relazione ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione tutti gli
imputati: Grillo Domenico tramite l’avvocato Pietro Chiodo, che ha formulato tre
motivi; Zinnà Luigi tramite l’avvocato Francesco Muzzopappa, che ha articolato
cinque motivi; Todarello Francesco tramite l’avvocato Patrizio Cuppari, che ha
dedotto quattro motivi.

3.1. Comune ai ricorsi dei tre imputati è la denuncia di violazione di legge e
vizio della motivazione per l’operata ridefinizione del delitto di omicidio da
preterintenzionale a volontario con dolo eventuale. Essa corrisponde ai primi due
motivi dei ricorsi presentati dai difensori di Grillo e Zinnà ed al primo motivo del
ricorso del difensore di Todarello. E’, dunque, opportuno esaminare
unitariamente tali censure.
Dopo aver richiamato i più recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di dolo
eventuale (in particolare il difensore di Todarello nelle pagine 3-10 del ricorso),
con la rilevanza attribuita alla componente volitiva rispetto a quella meramente
rappresentativa, in adesione alla definizione di dolo contenuta nell’art. 43 cod.
pen., e la conseguente esclusione dell’accettazione del rischio ovvero del pericolo
di produzione dell’evento dalla nozione di dolo eventuale, che postula invece non
solo la previsione ma anche l’accettazione e volizione dell’evento, seppure come
conseguenza indiretta e accessoria rispetto al risultato primariamente perseguito
dall’agente, i ricorrenti rilevano come sia stato erroneamente ravvisato, nel caso
5

Infine, il trattamento sanzionatorio inflitto dal primo giudice è stato ritenuto

di specie, il dolo eventuale dell’omicidio per una serie di ragioni, tali da
evidenziare anche vizi della motivazione della sentenza d’appello per manifesta
illogicità o contraddittorietà. Questi i rilievi mossi dai ricorrenti: a) la
ricostruzione del fatto, come avallata dalle dichiarazioni degli imputati e dagli
esiti delle indagini, rivela che i tre amici si introdussero nella casa della Raso per
commettere un furto; b) l’imbavagliamento fu finalizzato ad impedire alla donna

estranea alla volontà degli autori; c) gli imputati si introdussero nell’abitazione
della vittima travisati per non essere riconosciuti, ciò che sarebbe stato inutile se
avessero voluto ucciderla; d) il repentino abbandono della scena del crimine, una
volta verificatasi la morte della Raso, senza nulla asportare dalla casa della
vittima, è incompatibile e contraddittorio rispetto alla ritenuta accettazione del
verificarsi dell’evento letale, che, una volta prodottosi, avrebbe consentito agli
agenti di portare a compimento, senza essere intralciati da alcuna resistenza,
l’azione criminosa primariamente perseguita e non a fuggire, presi dal panico,
come riconosciuto nella sentenza impugnata, senza prendere nemmeno il denaro
rinvenuto in una delle borse della Raso prelevate dall’armadio: proprio tale
comportamento dimostra che la morte della vittima fu un evento del tutto
imprevisto e non voluto dal quale gli imputati si affrettarono a prendere le
distanze, abbandonando precipitosamente la scena del crimine; e) sulla Raso,
come rilevato dalla consulenza autoptica, fu esercitata solo una violenza
manuale, segno che l’azione posta in essere era diretta esclusivamente ad
imbavagliarla e non a soffocarla, e, d’altronde, il fatto che gli imputati non
portarono con sé arma alcuna conferma che il loro intento era solo predatorio e
non di violenza contro la persona; f) non deve essere trascurata la distinzione tra
lo strangolamento posto in essere nel corso di una rapina, di per sé idoneo a
cagionare la morte della vittima, e l’imbavagliamento della persona offesa per
non farla urlare, che, nel caso di specie, attuato in modo maldestro, aveva
purtroppo determinato la morte della Raso per soffocamento: tale evento,
quindi, non essendo voluto, rientra nella fattispecie criminosa dell’omicidio
preterintenzionale correttamente ritenuto dal primo giudice.
Il difensore di Todarello accentua la denuncia di vizio della motivazione,
poiché la Corte di merito non aveva spiegato da quali elementi gli imputati
potevano desumere che la loro condotta nei confronti della Raso sarebbe stata
idonea a cagionare, con ogni probabilità, la morte della stessa. Denuncia, altresì,
la contraddittorietà della sentenza laddove sostiene, a suo avviso, due cose
diametralmente opposte: da un lato, il panico degli imputati al cospetto della
morte della Raso, indicativo del fatto che l’evento letale non fu previsto e tanto
6

di urlare e non certo a provocarne la morte per soffocamento, completamente

meno voluto, al punto di determinare l’immediata fuga dei tre aggressori;
dall’altro, la ritenuta accettazione della morte della vittima per le concrete
modalità della violenza esercitata, tali da rendere, secondo la sentenza,
altamente probabile il verificarsi dell’evento letale, che pertanto non avrebbe
potuto sorprendere gli agenti e gettarli nel panico, come invece ritenuto.
3.2. I ricorsi dei difensori di Zinnà e Todarello denunciano, nei rispettivi

riconosciuta aggravante del nesso teleologico tra l’omicidio e la rapina tentata
(art. 61, primo comma, n. 2 cod. pen.).
In realtà la dinamica del fatto, come ricostruita da entrambi i giudici di
merito, non consentirebbe di ravvisare alcun nesso teleologico tra l’omicidio
(reato mezzo) e il tentativo di rapina (reato fine): la morte della Raso, lungi
dall’essere funzionale alla rapina, fu in realtà l’evento che ne impedì la
consumazione provocando la fuga degli imputati in preda al panico.
Zinnà, in particolare, si duole del vizio di motivazione della sentenza
impugnata con riguardo al suo specifico ruolo nella vicenda criminale; la sua
responsabilità sarebbe stata affermata sulla base di una sorta di estensione
solidaristica e di forza di attrazione indotta dalla posizione dei coimputati.
Egli avrebbe invitato i compagni a desistere dall’azione criminosa, a fronte
della strenua e incontenibile resistenza opposta dalla vittima; si sarebbe
allontanato per primo dalla casa della Raso quando la donna era ancora in vita e
sarebbe stato, quindi, estraneo alle manovre di maldestro imbavagliamento che
ne determinarono la morte.
Anche Todarello, dopo aver annotato che la violenza esercitata nei confronti
della vittima non fu superiore a quella insita nello stesso delitto di rapina,
assorbendo quindi nella fattispecie tipica di quest’ultimo reato la pretesa
aggravante teleologica, lamenta l’omessa motivazione della sentenza impugnata
sulle sue specifiche censure, laddove aveva rappresentato che a compiere la
maldestra manovra di imbavagliamento della vittima, che ne cagionò la morte
per soffocamento, furono i soli coimputati, Grillo e Zinnà, mentre egli rimase in
camera di letto alla ricerca del denaro e dei preziosi, senza partecipare ad alcuna
azione violenta nei confronti della Raso da lui non voluta né prevista, con la
conseguenza della sua estraneità al delitto più grave e, comunque, dell’illegittima
estensione a suo carico della circostanza aggravante del nesso teleologico che ha
natura soggettiva.
3.3. Il solo difensore di Zinnà, nel quarto motivo, deduce anche la violazione
di norma processuale in relazione all’art. 597 cod. proc. pen. e con riferimento ai
principi enunciati nell’art. 6 della Cedu, come interpretato dalla Corte Edu in
7

motivi terzo é quarto, la violazione di legge e il vizio di motivazione per la

particolare nella sentenza Drassich c. Italia: l’imputato ha diritto di essere
informato, in tempo utile, non soltanto dei fatti materiali posti a suo carico, ma
anche -e in modo dettagliato- della qualificazione giuridica ad essi data.
Nel caso di specie, la sentenza d’appello avrebbe attribuito all’omicidio, già
definito preterintenzionale, una diversa e più grave qualificazione come omicidio
volontario, senza che Zinnà avesse avuto modo di interloquire preventivamente

conseguente nullità della medesima sentenza per violazione del diritto di difesa.
3.4. Il solo difensore di Todarello, nel secondo motivo, denuncia inoltre
violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’esclusa desistenza dal
tentativo di rapina.
Contrariamente all’assunto della Corte di assise di appello, l’abbandono della
scena del crimine e l’interruzione della condotta criminosa non furono
determinati da una causa esterna indipendente dalla volontà degli agenti; il
panico che colse gli imputati quando percepirono che la vittima non dava più
segni di vita non fu un fattore esterno che li indusse ad abbandonare l’impresa
criminosa, ma determinò una loro volontaria decisione di interrompere l’azione,
seppure condizionata dalla paura ovvero da uno stato psicologico soggettivo;
illegittimamente e illogicamente, quindi, la Corte di merito avrebbe escluso la
desistenza e ritenuto già compiuto il tentativo di rapina con essa incompatibile.
3.5. Gli altri motivi proposti dai ricorrenti (il terzo del ricorso Grillo, il quinto
del ricorso Zinnà ed il terzo del ricorso Todarello) attengono, tutti, a denunciate
violazioni di legge e vizi motivazionali in tema di trattamento sanzionatorio,
lamentando i primi due (Grillo e Zinnà) il mancato giudizio di prevalenza delle
riconosciute attenuanti generiche sulla circostanza aggravante relativa
all’omicidio; e il terzo (Todarello) la negazione delle attenuanti generiche,
nonostante la mancanza di precedenti penali, sulla base di una pretesa maggiore
intensità del dolo per avere organizzato l’azione criminosa e di un carico
pendente per altro fatto di rapina; tutti e tre si dolgono poi dell’eccessiva entità
delle pene loro inflitte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati per le ragioni che seguono.
Nell’esame dei motivi si seguirà un duplice criterio: a) illustrazione delle
censure secondo un ordine logico-pregiudiziale, partendo dalle questioni di rito e
formali che saranno anteposte alle critiche motivazionali; b) concentrazione dei
motivi affini proposti dai ricorrenti che saranno trattati unitariamente.
8

e di discutere tale differente definizione giuridica della sua condotta, con la

1.1. Secondo l’ordine proposto, va innanzitutto esaminato il quarto motivo
del ricorso del difensore di Zinnà Luigi che, come detto, denuncia violazione
dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (abbreviata in Cedu), firmata a Roma il 4 novembre
1950 e ratificata in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato
dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (abbreviata in Corte Edu) nella sentenza

Come anticipato, la qualificazione del fatto di cui al capo B), già contestato
in termini di concorso in omicidio volontario, come omicidio preterintenzionale,
giusta sentenza di primo grado sul punto non impugnata, è stata seguita dalla
ridefinizione del medesimo fatto secondo l’originaria più grave contestazione di
omicidio volontario, operata dal giudice di appello a norma dell’art. 597, comma
3, cod. proc. pen., ferme restando le pene applicate sulla base del ritenuto meno
grave delitto. Tale ridefinizione, secondo il ricorrente, è avvenuta in contrasto
con i principi del giusto processo posti dall’art. 6 della Cedu e, segnatamente, del
diritto dell’imputato, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Edu, di
essere informato del contenuto non solo materiale, ma anche formale,
dell’accusa elevata contro dì lui, sicché l’aggravamento del titolo del reato
contestato, operata dal giudice di appello in contrasto con quanto ritenuto dal
primo giudice, violerebbe il diritto di difesa.
La censura è infondata.
La riqualificazione del fatto di omicidio come delitto doloso e non
preterintenzionale è avvenuta, innanzitutto, entro i limiti del devoluto, poiché i
ricorsi in appello proposti, in particolare, da Todarello e Zinnà investivano anche
il tema della rispettiva responsabilità per il delitto di omicidio di cui al capo B) (v.
sentenza d’appello, pagg. 4-6); è stata recuperata l’originaria contestazione del
fatto come concorso in omicidio volontario aggravato (artt. 110, 575 e 576,
primo comma, n. 1, cod. pen.), per cui era stata promossa l’azione penale; la
ridefinizione è stata preceduta dal contraddittorio tra le parti, nel corso del
giudizio di appello, sulla corretta qualificazione del fatto di cui al capo B), dopo
che il presidente della Corte di merito, avendo rilevato la discrasia tra
motivazione e dispositivo della sentenza di primo grado con riguardo alla
definizione giuridica dell’omicidio, aveva espressamente invitato le parti alla
discussione sul punto (v. sentenza d’appello, pag. 6, ultimo periodo, con
continuazione a pag. 7).
Tale

iter deve ritenersi pienamente rispettoso dei principi del giusto

processo e, segnatamente, del diritto di difesa e del contraddittorio tra le parti,
in conformità della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: «Il giudice
9

emessa nel caso Drassich c. Italia.

di appello può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del
principio del giusto processo previsto dall’art. 6 Cedu, come interpretato dalla
Corte europea dei diritti dell’uomo, anche senza disporre una rinnovazione totale
o parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente
prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato
sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione

trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione» (Sez. 6, n. 7195 del
08/02/2013, Sema, Rv. 254720; conformi: Sez. 2, n. 38049 del 18/07/2014, De
Vuono, Rv. 260585; Sez. 2, n. 2884 del 16/01/2015, Peverello, Rv. 262285;
Sez. 4, n. 23186 del 13/04/2016, Suffer, Rv. 268995).
Nel caso in esame tutte le predette condizioni sono state rispettate, donde il
rigetto del motivo.
1.2. Conviene, ora, esaminare le censure comuni ai tre imputati (primo
motivo del ricorso di Todareilo, primi due motivi dei ricorsi di Grillo e Zinnà) che
investono, proprio, la definizione del fatto di omicidio come volontario con dolo
eventuale, anziché omicidio preterintenzionale, operata dalla Corte di assise di
appello, a norma dell’art. 597, comma 3, ultima parte, cod. pen.
Tale qualificazione, secondo i ricorrenti, sarebbe errata in diritto e sostenuta
da motivazione palesemente illogica e contraddittoria.
L’assunto è infondato e impone un’ulteriore correzione in diritto della
sentenza di appello sul punto.
La Corte territoriale richiama in più passaggi (e si tratta di rilievo oggettivo
incontroverso in causa) che il corpo senza vita di Raso Isabella fu trovato dai
carabinieri, nel mattino del 16 luglio 2011, « disteso sul pavimento in posizione
supina […]; la parte posteriore del collo e il volto della donna, in particolare
bocca, naso e occhi erano avvolti da una fascia in tessuto di colore chiaro mentre
un’altra fascia dello stesso materiale era legato con un nodo al polso destro della
vittima» (pag. 11 della sentenza impugnata); la morte della donna, secondo gli
accertamenti medico legali, era sopraggiunta, nel giro di qualche minuto, «per
asfissia meccanica violenta da soffocazione diretta causata dall’occlusione
esterna simultanea degli orifizi respiratori» (pag. 15, ib.); la reazione della Raso
all’azione degli imputati, intesa ad immobilizzarla e imbavagliarla, fu
inaspettatamente violenta e caratterizzata da un’accanita resistenza; si rese,
pertanto, necessario l’intervento dei tre aggressori per averne ragione, i quali le
procurarono la «quasi totale occlusione delle vie respiratorie (… bocca, naso e
occhi erano avvolti da una fascia.., la causa della morte è stata accertata in sede

10

giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica “in peius” del

autoptica nella “asfissia meccanica violenta da soffocazione diretta)» (pag. 18,
ib.).
Tali descrizioni, testualmente riportate, delle condizioni in cui giaceva la
vittima rivelano con certezza che nei suoi confronti non fu attuato un
imbavagliamento limitato al tamponamento della bocca per non farla urlare e,
neppure, uno strangolamento inteso come pressione sul collo di forza tale da

varchi respiratori (naso e bocca) estesa a tutto il volto, occhi compresi,
interamente e fortemente compresso col panno utilizzato dagli aggressori per
bloccare ogni possibile reazione della persona offesa.
Tale condotta corrisponde ad un’azione di soffocazione diretta, come definita
in sede autoptica, certamente letale nella misura in cui si palesava idonea ad
ostruire ogni possibilità di respirazione e, come tale, sostenuta da dolo diretto,
ancorché di impeto, indotto dalla imprevista strenua reazione della vittima ai
suoi aggressori.
Corretta, dunque, si profila la qualificazione dell’omicidio come fatto
volontario, con la rettifica del dolo ritenuto eventuale dal giudice di appello in
dolo diretto per le modalità dell’azione palesemente letali e come tali percepibili
secondo la comune esperienza.
Al riguardo, giova richiamare la giurisprudenza di legittimità secondo la
quale: «Il dolo diretto sussiste quando la realizzazione dell’evento si presenta
all’autore del fatto come altamente probabile, anche se non integra lo scopo
finale della sua azione, sicché il soggetto non si limita ad accettarne il rischio, ma
accetta il verificarsi dell’evento» (Sez. 1, n. 12954 del 29/01/2008, Li, Rv.
240275; conformi: Sez. 6, n. 1367 del 26/10/2006, dep. 2007, Biscotti, Rv.
235789, e, più recentemente, Sez. 5, n. 23618 del 11/04/2016, Ganapini, Rv.
266915, laddove, in tema di tentato omicidio, è stato affermato che «ai fini della
sussistenza del reato è sufficiente il dolo diretto rappresentato dalla cosciente
volontà di porre in essere una condotta idonea a provocare, con certezza o alto
grado di probabilità in base alle regole di comune esperienza, la morte della
persona verso cui la condotta stessa si dirige, non occorrendo, invece, la
specifica finalità di uccidere, e quindi il dolo intenzionale inteso quale
perseguimento dell’evento come scopo finale dell’azione»).
In particolare, a sostegno della classica tripartizione dell’elemento
psicologico doloso, è stato affermato che «l’azione posta in essere con
accettazione del rischio dell’evento può implicare per l’autore un maggiore o
minore grado di adesione della volontà, secondo che egli consideri maggiore o
minore la probabilità dell’avverarsi dell’evento. Se questo viene ritenuto certo o
11

impedire il movimento respiratorio, ma fu operata una totale costrizione dei

altamente probabile, l’autore non si limita ad accettare il rischio, ma accetta
l’evento stesso che vuole; se l’evento, oltre che accettato, è perseguito, il dolo si
colloca in un più elevato livello di gravità. Sicché, in relazione a tali diversi gradi
di intensità, il dolo va qualificato come eventuale nel caso di accettazione del
rischio e come diretto negli altri casi, con la precisazione che, se l’evento è
perseguito come scopo finale, si ha il dolo intenzionale» (Sez. 1, n. 10795 del

211082; Sez. U, n. 3571 del 14/02/1996, Mele, Rv. 204167; Sez. U, n. 748 del
12/10/1993, dep. 1994, Cassata, Rv. 195804).
Tale giurisprudenza non è in contrasto con la più recente sentenza emessa
dalle sezioni unite della Corte, n. 38343 del 24/04/2014, citata dai ricorrenti a
perorazione dell’esclusione di qualsiasi tipo di dolo nell’azione omicidiaria posta
in essere, correttamente qualificata, a loro avviso, come preterintenzionale dal
primo giudice.
Nella predetta sentenza è stata sottolineata la differenza tra dolo eventuale
e colpa cosciente, nel senso che il primo «ricorre quando l’agente si sia
chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento
concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale
prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di
causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; mentre
ricorre la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso
l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra
la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene dall’agire
doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro
biasimevole motivo» (Sez. U, n. 38343 del 2014, cit., Espenhahn, Rv. 261104).
Resta però fermo, anche secondo quest’ultimo autorevole enunciato
giurisprudenziale, che costituiscono indici rivelatori di un’intensità più elevata di
dolo, che si configura quindi come diretto e non eventuale, tra gli altri, la
probabilità di verificazione dell’evento; la lontananza della condotta tenuta da
quella doverosa; il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione.
Tali elementi, nel caso in esame, concorrono a qualificare l’elemento
psicologico della condotta di soffocamento manuale, con un panno stretto intorno
all’intero volto della vittima, come omicidio volontario con dolo diretto per
l’elevatissima probabilità rasentante la certezza, secondo le regole della comune
esperienza, che l’azione posta in essere, per la violenta compressione di bocca e
naso, togliesse completamente il respiro alla vittima, deceduta infatti per
“asfissia meccanica violenta” nel giro di pochi minuti, senza trascurare il contesto
illecito in cui fu commesso il fatto, nel corso di un accesso predatorio notturno
12

25/06/1999, Gusinu, Rv. 214112; Sez. 6, n. 6880 del 15/04/1998, Pilato, Rv.

nell’abitazione della persona offesa, che viveva da sola, e nello scomposto timore
degli agenti di essere scoperti a causa delle alte urla e dell’intensa quanto
imprevista resistenza opposta dalla vittima.
La circostanza che la volontà degli autori non fosse diretta alla soppressione
della persona offesa esclude il dolo intenzionale, ma non quello diretto di impeto,
desumibile, come detto, dalle modalità dell’azione connotata dall’elevatissima

della vittima, e dal precipitoso abbandono della scena del delitto, una volta
avvedutisi che l’aggredita non dava più segni di vita, a conferma del fatto che gli
aggressori, pur non avendo perseguito l’evento più grave, agirono nella
consapevole volontà di poter cagionare la morte della vittima e cercarono subito
di prendere le distanze da tale tragico epilogo della loro condotta.
Erroneamente i ricorrenti confondono la reazione emotiva degli imputati a
fronte dell’evento mortale non perseguito, essendo loro intenzione quella di
derubare la persona offesa anche a costo di usarle violenza, con l’elemento
psicologico della condotta lesiva, poiché il panico che accompagnò e seguì
l’azione omicida, nelle affannose manovre attuate per contenere la resistenza
della vittima, attiene alla sfera soggettiva dell’agente (art. 98 cod. pen.) e va
distinto dall’elemento psicologico del reato inerente all’azione di soffocamento
diretto, commessa nella consapevole volontà delle sue conseguenze (art. 43,
primo comma e primo alinea, cod. pen.), stante l’altissima probabilità dell’evento
letale effettivamente cagionato.
Pertanto nell’elemento psicologico della compartecipazione omicida deve
essere ravvisata, riguardo a tutti i ricorrenti, la ricorrenza del dolo diretto
(seppure non intenzionale) anziché del dolo eventuale, erroneamente ritenuto
dai Giudici territoriali nella motivazione della sentenza impugnata.
Sicché le censure proposte dagli imputati (primi due motivi dei ricorsi di
Grillo e Zinnà e primo motivo del ricorso di Todarello), tendenti ad escludere
anche il dolo eventuale, ravvisato dalla corte territoriale, ed a riaffermare la
componente psicologica preterintenzionale, secondo la qualificazione operata dal
giudice di primo grado, sono dunque infondate e devono essere respinte.
A norma dell’art. 619, comma 1, cod. proc. pen., si impone, al riguardo, la
correzione in diritto (non

influente sul dispositivo) della motivazione della

sentenza impugnata, laddove ha definito eventuale il dolo del delitto di omicidio

(capo B), che, invece, deve essere qualificato diretto. E, per l’effetto, ai sensi
dell’art. 625, comma 3, cod. proc. pen., copia di questa sentenza deve essere
trasmessa alla Corte di merito, che ha emesso la sentenza qui rettificata.

13

probabilità di determinare l’esito letale pur di contrastare la disperata reazione

1.3. Restando nell’ambito del delitto di omicidio, vanno ora esaminati il terzo
e il quarto motivo dei ricorsi proposti, rispettivamente, da Zinnà e Todarello, i
quali denunciano violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al
ritenuto loro concorso nel detto omicidio e alla riconosciuta aggravante del nesso
teleologico tra quest’ultimo delitto di cui al capo B) e quello di tentata rapina
aggravata di cui al capo A).

imputati nell’omicidio di Raso Isabella sono inammissibili, perché deducono in
realtà una diversa valutazione, non consentita nel giudizio di legittimità, delle
risultanze istruttorie, correttamente e coerentemente apprezzate dai giudici del
doppio grado del giudizio di merito come indicative del concorso dei tre imputati,
Todarello, Zinnà e Grillo, nella commissione di entrambi i reati contestati e,
segnatamente, nel delitto di omicidio volontario con dolo generico diretto, come
sopra definito.
I tre imputati, invero, hanno ammesso sia pure con accenti diversi di aver
convenuto la commissione del furto in casa della Raso, dove si introdussero
travisati da calze di nylon in piena notte, e di aver esercitato violenza fisica sulla
stessa, una volta svegliatasi, trascinandola nel corridoio per indurla a riferire loro
il nascondiglio dei soldi e degli oggetti preziosi all’interno dell’armadio in camera
da letto, dove si era introdotto Todarello alla ricerca dei valori.
La violenza letale con soffocamento della vittima sarebbe stata esercitata,
secondo Todarello, dai soli Grillo e Zinnà che trattennero con forza la povera
Raso in rivolta, serrandole la bocca e i polsi, mentre egli si era fermato in camera
da letto alla ricerca dei beni da sottrarre; secondo Zinnà, invece, egli si sarebbe
limitato a trattenere la vittima prima del suo imbavagliamento, ammonendo i
complici a desistere dall’azione criminosa a fronte della forte resistenza opposta
dalla Raso.
Tali versioni sono state ragionevolmente smentite dall’analisi delle risultanze
istruttorie condotta dai giudici di merito, sulla base delle dichiarazioni auto ed
etero accusatorie rese da Grillo negli interrogatori del 10 e 3 dicembre 2011,
nell’ immediatezza del suo fermo all’esito dell’indagine sui reperti biologici trovati
sotto le unghie della vittima, corrispondenti a quelli prelevati da un mozzicone di
sigaretta da lui fumata; e, ancora, nell’interrogatorio del 17 maggio 2012 e nel
corso dell’esame reso dal medesimo imputato, il 4 novembre 2013, in sede di
giudizio abbreviato.
Tali dichiarazioni di Grillo, confortate dalla dinamica dell’azione letale come
ricostruita sulla base dei risultati dell’esame autoptico, e dalle versioni
parzialmente confessorie rese dagli stessi Todarello e Zinnà, indicano come

ur-

Le censure attinenti alla ritenuta responsabilità concorsuale dei predetti

solidali i tre imputati sia nella spedizione predatoria notturna in danno della
Raso, sia nella violenza congiuntamente esercitata sulla donna nella fase
culminante dell’azione criminosa, come correttamente e logicamente
argomentato nella sentenza impugnata (v. pagg. 10-15), la cui ineccepibile
motivazione, in punto di prova specifica raggiunta a carico di tutti e tre gli
accusati, non è sindacabile da questa Corte di legittimità.

e il reato di rapina tentata, nel senso della negata finalizzazione del primo alla
commissione del secondo, parimenti avanzata nei motivi (terzo e quarto) dei
ricorsi di Zinnà e Todarello, è infondata.
La violenza esercitata fino al soffocamento della vittima fu intrapresa, come
correttamente sottolineato nella sentenza impugnata, al fine di assicurare il
successo dell’azione predatoria per indurre la Raso ad indicare i posti dove
custodiva denaro e valori, dopo che una prima veloce verifica compiuta da
Todarello in camera da letto, prelevando dall’armadio borse e portafogli della
donna, non aveva portato al rinvenimento dei valori cercati, distribuiti in vari
posti, anche nelle tasche degli indumenti, come sarebbe emerso dal successivo
sopralluogo delle forze dell’ordine.
In particolare, come osserva la Corte territoriale in motivazione (pag. 19
della sentenza impugnata), l’azione aggressiva commessa dagli imputati,
ponendo in essere un tipo di imbavagliamento così stretto e costrittivo da
frapporre un forte impedimento al normale espletamento della funzione
respiratoria, implicò un quid pluris rispetto alla violenza prevista dall’art. 628
come elemento proprio del reato di rapina, configurando l’ulteriore e più grave
delitto di omicidio volontario in rapporto finalistico col primo.
Discende il rigetto dei motivi di ricorso in tema di pretesa violazione di legge
e vizio della motivazione nel riconoscimento della circostanza aggravante di cui
all’art. 61, primo comma, n. 2, cod. pen., inerente al delitto di omicidio
contestato nel capo B).
1.4. Altro motivo di ricorso (il secondo) proposto dal solo Todarello riguarda
denunciati vizi di legittimità per violazione di legge e difetto di motivazione in
punto di esclusa desistenza dal tentativo di rapina pluriaggravata di cui al capo
A).
L’inopinata morte della vittima, gettando nel panico gli imputati, li avrebbe
indotti ad astenersi volontariamente ancorché non spontaneamente, senza
essere necessitati a farlo da cause esterne, voltesi al contrario in loro favore per
il maggiore agio che la soppressione della Raso avrebbe loro consentito nella

15

L’ulteriore censura in tema di aggravante teleologica tra il delitto di omicidio

ricerca dei beni da sottrarre, sicché illegittimamente e contraddittoriamente
sarebbe stato negato il riconoscimento della desistenza dal tentativo di rapina.
La censura è infondata.
La Corte di merito ha adottato al riguardo una doppia motivazione,
ritenendo che l’abbandono dell’azione criminosa non fosse stato volontario, ma
determinato da cause esterne ravvisate nella strenua resistenza opposta dalla

compiutezza del tentativo già posto in essere dagli imputati, prima
dell’abbandono della scena del delitto, incompatibile col riconoscimento
dell’invocata desistenza.
Ritiene la Corte che sia fondato specialmente quest’ultimo rilievo.
E, invero, quando i tre imputati si allontanarono dalla casa della Raso
avevano già esercitato violenza sulla stessa in funzione della sottrazione dei beni
in suo possesso, consistita, ancor prima del soffocamento letale di cui al capo B),
nel tamponamento della bocca per impedirle di urlare e nel trascinamento della
vittima, destata dal sonno, dal locale in cui riposava nel corridoio adducente alla
camera da letto, dove la Raso avrebbe dovuto loro indicare i posti in cui
custodiva il denaro e gli oggetti di valore.
Indipendentemente dall’azione letale, determinante l’allontanamento degli
agenti in preda al panico per il più grave delitto commesso, il tentativo di rapina
si era già perfezionato col compimento di atti idonei a sottrarre, con violenza nei
confronti della persona offesa, i beni in suo possesso. E ciò è sufficiente ad
escludere la desistenza, come da costante giurisprudenza di legittimità che
ritiene non configurabile la desistenza quando gli atti posti in essere integrano
già gli estremi del tentativo (Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, Di Salvo, Rv.
241340; Sez. 1, n. 43036 del 23/10/2012, Ortu, Rv. 253616; Sez. 2, n. 24551
del 08/05/2015, Supino, Rv. 264226).
Segue il rigetto del motivo di ricorso esaminato.
1.5. Restano le censure pertinenti al trattamento sanzionatorio, proposte da
tutti gli imputati.
Esse sono inammissibili perché deducono solo formalmente vizi di
legittimità, mentre sono intese a sollecitare una diversa valutazione del
trattamento sanzionatorio riservato a ciascun imputato, reiterando doglianze cui
la Corte di merito ha già dato corretta, completa e coerente risposta.
In particolare, le attenuanti generiche sono state negate a Todarello perché
ritenuto l’ispiratore della condotta criminosa, come concordemente riferito da
Grillo e Zinnà; per le modalità dell’azione delittuosa, la pervicacia dimostrata
nonostante la disperata resistenza della vittima, la gravità del danno cagionatole
16

vittima arginata solo col ricorso all’estrema azione omicidiaria, e apprezzando la

.,
l

li
e i motivi a delinquere per conseguire un vantaggio patrimoniale; elementi tutti
connotanti il fatto, riqualificato come omicidio volontario, in termini di elevata
gravità e di intensa capacità a delinquere manifestata da Todarello.
sono state stimate equivalenti

Per analoghe ragioni

alla circostanza

aggravante contestata per il più grave delitto di omicidio volontario le attenuanti
generiche già riconosciute,

invece, agli altri imputati, Grillo e Zinnà, in

collaborativo comportamento processuale di Grillo e del ruolo secondario di
Zinnà.
L’entità della pena base applicata a ciascuno e dell’aumento per la
continuazione col delitto di rapina sono state, poi, determinate sulla base dei
criteri indicati dall’art. 133 cod. pen. , di cui la Corte di merito ha dato adeguata e
coerente ragione a norma dell’art. 132 cod. pen.
Consegue l’inammissibilità di tutte le censure attinenti al trattamento
sanzionatorio.

2. L’esito complessivo del giudizio comporta il rigetto dei ricorsi con
condanna

dei

rettificazione,

ricorrenti

al

pagamento delle spese

in diritto, della sentenza

processuali,

impugnata in

ferma

la

punto di elemento

psicologico del delitto di omicidio, da intendersi come dolo diretto e non
eventuale, a norma dell’art. 619, comma l, cod. proc. pen., cui consegue la
trasmissione prevista dall’art. 625, comma 3, dello stesso codice

P.Q . M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Manda la cancelleria per la trasmissione di copia della presente sentenza alla
Corte di assise di appello di Catanzaro ai sensi dell’art. 625, comma 3, cod. proc.
pen., in relazione all’art. 619, comma l, cod. proc. pen.
Così deciso il 07/10/2016.

l

l

considerazione della loro giovane età, della mancanza di precedenti penali, del

Il

CORTE SU?REMA ul CASSAZIONE
UFFICIO COP!E UNIFICATO

Jo~ fbrJL 0:ur~ Jv·· Gma!è,~w_- P'”‘~~ s{)b
\ ~ _ C9 l2..9{ f ; LL (b~ .Q (;.J. e)
~c-cc cL~ dò.:
ll

Q-l

(L

a

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA